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Patrimonio pubblico, 3,9 miliardi per far rinascere gli immobili dello Stato

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Patrimonio pubblico, 3,9 miliardi per far rinascere gli immobili dello Stato

Non più palazzi chiusi e caserme abbandonate, ma spazi produttivi, culturali e sociali. È l’ambizione del piano da 3,9 miliardi di euro varato per valorizzare il patrimonio immobiliare pubblico, un tesoro spesso dimenticato che oggi lo Stato prova a trasformare in una leva di sviluppo economico, sociale e ambientale.

Patrimonio pubblico, 3,9 miliardi per far rinascere gli immobili dello Stato

Negli ultimi decenni il destino di molti immobili pubblici era stato quello della vendita “per fare cassa”. Il nuovo approccio, invece, punta sulla rigenerazione: recuperare edifici storici, aree dismesse, ex strutture militari per farne hub per imprese, residenze per studenti, centri culturali e di welfare di comunità. Un cambio di paradigma che incrocia l’esigenza di contenere i costi di gestione, ma soprattutto di riattivare territori in declino.

Dalla spesa al valore
La logica è rovesciare la prospettiva: da peso per i conti pubblici a motore di crescita locale. Con un mercato immobiliare privato che fatica a investire in aree marginali, il ruolo dello Stato diventa quello di apripista.
Le risorse – sottolineano i tecnici – dovranno servire a innescare partenariati pubblico-privati, portando nuovi capitali e idee. L’effetto atteso è duplice: nuova occupazione nei cantieri e nell’indotto e, a regime, ritorni stabili in termini di gettito fiscale e sviluppo urbano.

Impatto sui territori
La rigenerazione degli immobili pubblici, spiegano i promotori, potrà agire come volano di coesione sociale: spazi riqualificati per il co-housing, per l’accoglienza di studenti e lavoratori stagionali, per start-up e attività culturali.
Un effetto che si traduce anche in riqualificazione ambientale: riuso degli edifici significa meno consumo di suolo, minori emissioni, più efficientamento energetico.

Nel piano, città d’arte e piccoli centri sono entrambi destinatari di interventi: recuperare caserme, stazioni ferroviarie dismesse, complessi storici significa anche rilanciare intere aree urbane, spesso periferiche o svuotate dallo spopolamento.

Ostacoli e opportunità

La sfida, però, è anche burocratica e politica. Molti di questi immobili necessitano di interventi costosi e sono vincolati dal punto di vista storico-artistico.
Serve quindi una governance rapida e trasparente, che riduca al minimo i tempi di autorizzazione, e un coinvolgimento reale di enti locali e imprese.

“Se restiamo impantanati in procedure e ricorsi – avverte un dirigente coinvolto nel progetto – rischiamo di perdere l’occasione di trasformare questi luoghi in risorse per il Paese”.

La sfida del tempo
La riuscita del piano si giocherà sulla tempistica: l’immissione dei fondi dovrà procedere di pari passo con l’avvio dei cantieri, evitando che i progetti restino sulla carta.
Il valore dell’operazione è anche politico: dimostrare che lo Stato può non solo tagliare spese ma creare valore duraturo, intrecciando economia, welfare e sostenibilità.

Con 3,9 miliardi di euro sul tavolo, la partita è aperta: da un patrimonio spesso visto come un fardello potrebbe nascere un nuovo pezzo di politica industriale italiana, capace di rigenerare quartieri, sostenere imprese e attrarre capitali, restituendo al tempo stesso identità e futuro a luoghi dimenticati.

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