Le pensioni delle donne continuano a essere significativamente inferiori rispetto a quelle degli uomini, riflettendo una disparità di genere che affonda le sue radici nelle dinamiche del mercato del lavoro italiano. Secondo il Monitoraggio sui flussi di pensionamento pubblicato dall'INPS, le pensioni liquidate alle donne con decorrenza nel 2024 hanno un importo medio di 1.047,71 euro mensili, una cifra inferiore di quasi il 29% rispetto all’importo medio percepito dagli uomini, che si attesta a 1.475,28 euro al mese. In termini assoluti, il divario supera i 400 euro mensili, rendendo ancora più evidente la fragilità economica delle pensionate rispetto ai pensionati.
Nuove pensioni: il gap di genere penalizza le donne, assegni più bassi del 29%
Se si analizzano le pensioni anticipate, erogate in base agli anni di contributi versati, la disparità si riduce, ma rimane comunque significativa. Le donne percepiscono un assegno medio di 1.886,83 euro, mentre per gli uomini l’importo sale a 2.231,06 euro, con una differenza del 15,43%. Questo dato suggerisce come il problema non riguardi soltanto gli assegni calcolati in base al sistema contributivo, ma anche il monte contributivo accumulato durante la vita lavorativa, che risulta nettamente inferiore per le lavoratrici rispetto ai colleghi uomini.
Le cause strutturali del divario pensionistico
Il divario di genere nelle pensioni è il risultato di un insieme di fattori strutturali e culturali che condizionano l'intero percorso professionale delle donne. Da un lato, le carriere femminili sono spesso più frammentate e discontinue, a causa della necessità di conciliare lavoro e famiglia. Le donne italiane, ancora oggi, dedicano un numero maggiore di ore al lavoro domestico e di cura rispetto agli uomini, un impegno che spesso le costringe a optare per forme di occupazione più flessibili, come il part-time, o a interrompere temporaneamente la loro carriera per prendersi cura dei figli o di familiari anziani.
Dall’altro lato, esiste un persistente divario retributivo tra uomini e donne, noto come gender pay gap, che in Italia si attesta intorno al 12%, penalizzando le lavoratrici in termini di retribuzioni e, di conseguenza, di contributi previdenziali. Nonostante le normative europee e nazionali abbiano cercato di porre rimedio a questa disparità, le differenze salariali continuano a pesare sulle future pensioni delle donne, rendendo più difficile per loro raggiungere un livello di sicurezza economica comparabile a quello degli uomini.
Le opportunità di carriera rappresentano un altro ostacolo significativo. Le donne hanno ancora minori possibilità di accesso a ruoli dirigenziali e a posizioni ad alto reddito rispetto ai colleghi uomini. Questo "soffitto di cristallo" si traduce in una minore contribuzione previdenziale e, quindi, in assegni pensionistici più bassi una volta raggiunta l'età del ritiro dal lavoro. Le politiche di welfare aziendale, sebbene in crescita, non riescono ancora a colmare questo gap in modo efficace.
L’impatto sociale del gap pensionistico
La disparità di genere nelle pensioni non è solo una questione economica, ma ha forti implicazioni sociali. Le donne pensionate, in particolare quelle che hanno avuto carriere discontinue o lavori a basso reddito, sono esposte a un rischio maggiore di povertà e vulnerabilità economica. Secondo i dati Eurostat, in Italia il 32% delle donne over 65 è a rischio di povertà o esclusione sociale, contro il 26% degli uomini della stessa fascia d’età. Questa differenza evidenzia come le pensioni più basse limitino l’accesso a servizi essenziali, come cure sanitarie adeguate e sostegno socio-assistenziale, e aumentino la dipendenza economica da familiari o aiuti pubblici.
Un altro effetto collaterale riguarda l'autonomia economica delle donne anziane. Molte di loro si trovano a dover fare i conti con pensioni che non permettono di affrontare le spese quotidiane in maniera indipendente, compromettendo la loro qualità della vita e la possibilità di condurre un’esistenza dignitosa. Il divario pensionistico, quindi, non si traduce soltanto in un problema di numeri, ma ha un impatto concreto sulla vita di milioni di donne italiane.
Verso una maggiore equità previdenziale
Affrontare il divario pensionistico di genere richiede un intervento coordinato su più livelli. Le istituzioni previdenziali e i legislatori stanno valutando diverse strategie per ridurre le disuguaglianze, tra cui misure di welfare mirate a riconoscere il lavoro di cura svolto dalle donne e incentivi per una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro. Alcune proposte includono il riconoscimento dei contributi figurativi per i periodi dedicati alla cura della famiglia, così come l'introduzione di agevolazioni fiscali e incentivi per le aziende che favoriscono l'occupazione femminile stabile e ben retribuita.
Un'altra possibile soluzione potrebbe essere l’introduzione di una pensione di garanzia, un meccanismo volto a garantire un assegno minimo dignitoso a coloro che hanno avuto carriere discontinue o contratti precari. Questa misura potrebbe rivelarsi particolarmente utile per le donne, che più frequentemente degli uomini hanno accumulato contributi insufficienti a causa delle difficoltà incontrate nel corso della loro vita lavorativa.
Inoltre, un miglioramento delle politiche di conciliazione tra vita privata e professionale potrebbe ridurre il gap di genere nel lungo termine, incoraggiando una maggiore condivisione delle responsabilità familiari e consentendo alle donne di costruire carriere più solide e continuative.
Il dibattito su questi temi è aperto e coinvolge non solo le istituzioni, ma anche le parti sociali e le associazioni di categoria, che spingono per un cambiamento culturale e normativo capace di garantire una maggiore equità nel sistema pensionistico italiano. La sfida, dunque, è quella di costruire un modello previdenziale più inclusivo e sostenibile, che tenga conto delle differenze di genere e riconosca il valore del lavoro femminile nella società.