Italia, il Paese dei vecchi lavoratori: il CNEL lancia l’allarme sullo squilibrio generazionale

- di: Sveva Faedda
 

Il divario generazionale nel mondo del lavoro italiano si fa sempre più ampio, fino a toccare livelli record in Europa. Lo certifica il rapporto del CNEL “Demografia e forza lavoro”, che colloca l’Italia in testa alla classifica UE per squilibrio tra le diverse fasce d’età tra gli occupati. Un Paese in cui la fascia giovane-adulta (25-34 anni) è ormai un lontano ricordo numericamente schiacciato da quella più vicina alla pensione (55-64 anni), con una differenza che sfiora il 30%. Un dato che suona come una condanna per le nuove generazioni, sempre più ai margini di un sistema produttivo che fatica a rinnovarsi e a fare spazio al futuro. Nel confronto con i principali partner europei, il ritardo italiano appare drammatico. Se la Germania, pur con un calo del 10% nella presenza dei giovani lavoratori, mostra una tenuta complessiva, e la Spagna è riuscita a mantenere un sostanziale equilibrio tra le due fasce d’età, la Francia si distingue addirittura con un dato positivo: il 20% in più di occupati nella fascia 25-34 rispetto a quella 55-64. L’Italia, invece, si conferma come l’eccezione negativa, con quasi un milione di giovani lavoratori in meno rispetto ai colleghi più maturi.

Italia, il Paese dei vecchi lavoratori: il CNEL lancia l’allarme sullo squilibrio generazionale

«Per evitare che il peso degli squilibri demografici diventi insostenibile, aggravato da un debito pubblico che ha superato per la prima volta i 3.000 miliardi, è necessario un nuovo Patto generazionale» spiega Alessandro Rosina, consigliere del CNEL e curatore del rapporto (in foto). Secondo l’esperto, il quadro attuale è il risultato di decenni di scelte miopi, di politiche che non hanno saputo tenere il passo con le trasformazioni sociali e del lavoro. Le dinamiche demografiche, con un’età media sempre più alta e tassi di natalità tra i più bassi d’Europa, si riflettono in maniera pesante sull’economia. Se in passato il posto fisso era un traguardo certo, oggi il lavoro per i giovani italiani è sempre più precario, sottopagato e privo di prospettive di crescita. In questo contesto, la generazione dei cosiddetti “baby boomer” continua a occupare spazi sempre più larghi, lasciando poche possibilità ai più giovani di inserirsi in maniera stabile. La questione non è soltanto numerica: il mercato del lavoro italiano è ancora fortemente rigido e legato a dinamiche del passato, con scarse possibilità di valorizzare le competenze digitali e le nuove professioni che potrebbero fare la differenza nella competitività del Paese.

A pesare è anche un sistema di welfare che incentiva la permanenza in azienda degli over 55, senza accompagnare adeguatamente il passaggio generazionale. Questo si traduce in un circolo vizioso: i giovani restano bloccati in una fase di precarietà prolungata, mentre le aziende faticano a trovare nuove leve con esperienza adeguata. Il risultato? Un mercato del lavoro sempre più polarizzato tra chi è già dentro e chi fatica a entrarvi. Lo squilibrio, però, ha anche un costo economico: senza un adeguato ricambio generazionale, il sistema previdenziale rischia di diventare insostenibile, aumentando la pressione fiscale sulle fasce più produttive e alimentando un senso di sfiducia diffusa. Secondo gli esperti, per invertire la rotta servono interventi strutturali, a partire da un cambiamento di mentalità. È necessario, infatti, passare da una visione centrata esclusivamente sulla tutela dei lavoratori più anziani a una prospettiva che valorizzi l’ingresso dei giovani, attraverso incentivi mirati, formazione continua e una maggiore flessibilità nei percorsi di carriera.

Eppure, il paradosso è evidente: mentre le aziende lamentano difficoltà nel reperire giovani qualificati, i giovani denunciano un mercato chiuso e privo di opportunità reali. Un cortocircuito che alimenta un circolo vizioso fatto di precarietà, fuga di cervelli e crescita economica rallentata. La difficoltà ad attrarre e trattenere i talenti rischia di far scivolare l’Italia in una stagnazione strutturale, con conseguenze pesanti su innovazione e competitività. Il problema non è solo occupazionale ma culturale: in Italia, la permanenza nel mondo del lavoro si allunga sempre di più, mentre l’ingresso è spesso ostacolato da barriere insormontabili, tra cui contratti atipici, scarsa stabilità e stipendi poco competitivi. Investire in formazione, in innovazione e nella valorizzazione del capitale umano è fondamentale per superare gli attuali squilibri, rilanciare l’economia e affrontare le sfide globali.

Il rapporto del CNEL è chiaro nel delineare le priorità: serve un impegno concreto e condiviso tra istituzioni, imprese e giovani per superare l’attuale stagnazione. Le politiche del lavoro devono essere ripensate per favorire un riequilibrio che non penalizzi nessuna generazione, ma consenta a ciascuna di dare il proprio contributo al progresso collettivo. In assenza di interventi incisivi, il rischio è quello di un declino inarrestabile, con un Paese sempre più anziano e incapace di rinnovarsi.

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