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Mafie e Cremlino: la “zona grigia” che minaccia l’Occidente

- di: Marta Giannoni
 
Mafie e Cremlino: la “zona grigia” che minaccia l’Occidente
Mafie e Cremlino: la “zona grigia” che minaccia l’Occidente

Dai tatuaggi dei gulag ai ransomware: la criminalità come “proxy” perfetto per sabotare, arricchire e negare tutto. 

(Foto: Vladimir Putin, autocrate della Russia).

La parola chiave è utilità. Non romantica, non folkloristica: utilità operativa. Nell’analisi di Luigi Sergio Germani, direttore dell’Istituto Gino Germani, il legame tra apparati russi e reti criminali non è un incidente di percorso ma un asset coltivato nel tempo: prima per controllare la società, poi per fare soldi, infine per colpire all’estero con la massima convenienza politica. Il risultato è una miscela esplosiva: intelligence + mafia + cyber.

A fare da cornice c’è un concetto che ricorre in dossier, audizioni e analisi occidentali: la guerra ibrida. Traduzione brutale: non ti invado per forza, ti sfilaccio. Ti confondo. Ti corrompo. Ti brucio un magazzino, ti saboto una rete, ti inquino il dibattito pubblico. E se mi accusi, posso sempre alzare le spalle: “non siamo stati noi”.

Dalla tradizione sovietica al “modello piattaforma”

Il punto di partenza, nella ricostruzione di Germani, è la lunga durata: l’Urss non “ignorava” il crimine, lo penetrava. L’élite criminale dei vory v zakone (i “ladri in legge”) nasce nei gulag con codici, rituali, gerarchie e simboli. Quel mondo, nel tempo, diventa terreno di reclutamento e controllo: informatori, pressione sui dissidenti, violenza per procura.

Poi arriva lo snodo decisivo: gli anni della perestrojka. L’economia si apre a metà, le regole restano fragili, lo Stato non riesce a garantire “funzioni di base” (tutela dei contratti, protezione della proprietà, risoluzione delle dispute). In quel vuoto, le mafie fanno quello che sanno fare meglio: offrono servizi, impongono “ordine”, monetizzano la paura. E gli apparati, che conoscono l’Occidente meglio di chiunque altro nel sistema sovietico, entrano nella partita economica: aziende, banche, joint-venture, capitali che passano da una mano all’altra.

Gli anni Novanta: esportazione e professionalizzazione

Dopo il 1991, con la Russia in transizione caotica, la cooperazione tra ex apparati e reti criminali tende a intensificarsi: c’è chi lo fa per “missione” e chi per arricchimento personale. È qui che le mafie post-sovietiche diventano un fornitore globale: traffici, logistica, riciclaggio, servizi violenti. La letteratura internazionale sottolinea come, in quel periodo, il crimine russo-eurasiatico si integri nelle filiere illecite mondiali, offrendo un catalogo completo: armi, droghe, contraffazione, tratta, killeraggio, money laundering.

Con Putin cambia la filosofia: la mafia non è più un problema, è uno strumento

Nel racconto di Germani, l’era Putin è il passaggio dalla “tolleranza” alla messa a sistema. L’idea di fondo è semplice: usare reti criminali come moltiplicatore di potenza perché costano meno, si muovono meglio e permettono la negabilità. E soprattutto: funzionano bene nella guerra ibrida, dove l’obiettivo non è solo vincere una battaglia ma logorare la fiducia di un Paese nelle proprie istituzioni.

Cybercrime: il reparto “economia di guerra” della destabilizzazione

La frontiera più redditizia (e più “pulita” per chi comanda) è il cyber. Il meccanismo descritto in molte analisi occidentali è ricorrente: gruppi criminali colpiscono aziende, banche e infrastrutture; in cambio ottengono protezione a patto di non attaccare target domestici e, quando richiesto, di eseguire operazioni mirate per conto di interessi statali.

Un caso citato spesso nel dibattito è Evil Corp, gruppo criminale associato a grandi campagne ransomware e, secondo briefing e ricostruzioni giornalistiche, anche ad attività con ricadute di sicurezza per Paesi Nato. La logica è quella dell’ecosistema: criminalità “privata” che prospera in un ambiente in cui l’impunità è un incentivo e la collaborazione una moneta di scambio.

Emblematico anche il dossier giudiziario statunitense su Vladislav Klyushin, legato alla società M-13: condanna a nove anni negli Usa per un caso di hacking e insider trading, con successivo rilascio nel 2024 in un contesto di scambio di prigionieri. Vicende così, al netto delle interpretazioni, mostrano quanto sia sottile il confine tra “business”, tecnologia e interessi strategici.

Riciclaggio: quando i soldi scuri diventano leva politica

Il denaro non è solo un bottino: è un interruttore. Riciclare in Occidente significa comprare asset, costruire relazioni, creare dipendenze e, nei casi peggiori, finanziare influenza. Tra le operazioni più studiate c’è il “Russian Laundromat”, schema che tra 2010 e 2014 ha mosso decine di miliardi attraverso banche e giurisdizioni diverse, emerso grazie a grandi inchieste investigative.

Sul fronte più recente, le autorità britanniche hanno reso pubblica nel dicembre 2024 l’operazione “Destabilise”, descritta come un’azione contro reti di riciclaggio collegate a criptovalute e servizi di “cash courier”. È un punto chiave perché incrocia tre mondi: ransomware, lavaggio e finanziamento di attività ostili.

Africa: dal marchio Wagner al “Africa Corps”

Sul piano esterno, la proiezione passa anche da strutture paramilitari. Dopo il terremoto seguito alla morte di Prigozhin, diverse ricostruzioni internazionali raccontano una transizione verso un asset più controllato: Africa Corps. Il tema non è nominalistico: riguarda catene di comando, coperture, accesso a risorse e ruolo nelle crisi locali. Le notizie del 2025 confermano che, in Mali, mentre Wagner annuncia l’uscita, Africa Corps resta come presenza “stabile” sotto controllo del Cremlino.

In scenari fragili, le linee tra sicurezza, affari e traffici possono diventare opache: oro, diamanti, logistica, armi. Ed è proprio questa opacità che rende l’area un laboratorio ideale per la “zona grigia”.

Sabotaggi in Europa: il “lavoro sporco” dato in appalto

Dal 2024 in poi, diversi Paesi europei hanno parlato pubblicamente di un aumento di azioni ostili riconducibili alla galassia russa: cyber, disinformazione, tentativi di sabotaggio. La tendenza, raccontata anche da inchieste e cronache, è l’uso di manovalanza reclutata online, persone vulnerabili o già inserite in microcriminalità, spesso pagate e guidate a distanza.

Il messaggio strategico è doppio: creare insicurezza e, allo stesso tempo, testare reazioni e capacità di difesa. Nel dicembre 2025, ad esempio, la Germania ha convocato l’ambasciatore russo parlando di crescita delle minacce ibride, tra cyberattacchi e tentativi di sabotaggio.

Italia: vulnerabilità e cambio di paradigma

Se la minaccia è integrata, anche la risposta deve esserlo. Il dibattito italiano, nel 2025, si è alimentato anche con il non-paper del ministro Guido Crosetto sulla necessità di una postura più attiva contro la guerra ibrida, insistendo sulla natura continua di questo tipo di attacco e sulla pressione su infrastrutture critiche, servizi essenziali e processi decisionali.

In parallelo, torna un tema sensibile: la possibile strumentalizzazione delle mafie “di casa” e delle reti criminali transnazionali. Nel settembre 2025, un’inchiesta giornalistica ha descritto un presunto flusso di armi di fabbricazione russa verso circuiti illegali italiani, con l’idea inquietante di scorte tenute non solo per rivendita ma anche come “riserva”. In seguito, una interrogazione parlamentare ha chiesto chiarimenti al Viminale sul caso.

Che cosa guardare nei prossimi 10 anni

  • Convergenza: meno compartimenti stagni tra antimafia, controspionaggio, cyber e finanza.
  • Cripto-infrastrutture: servizi che trasformano contante in token e token in contante, a scala industriale.
  • Sabotaggio “low cost”: attacchi piccoli ma continui, utili a fare rumore e raccogliere segnali.
  • Teatri esterni: Africa e Medio Oriente come hub logistici e finanziari della zona grigia.
  • Italia: appetibile per peso economico, posizione, e presenza di criminalità organizzata già radicata.

Quando lo Stato usa il crimine come attrezzo, il crimine smette di essere solo un problema di ordine pubblico. Diventa politica estera con altri mezzi.

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