• Tutto con Bancomat. Scambi denaro, giochi ti premi.
  • Esprinet molto più di un distributore di tecnologia
  • Fai un Preventivo

Internet al tappeto: blocco globale dei servizi di Cloudflare

- di: Bruno Coletta
 
Internet al tappeto: blocco globale dei servizi di Cloudflare
La norma che obbliga Washington ad aprire i dossier su Jeffrey Epstein promette trasparenza in 30 giorni, ma riaccende lo scontro su vittime, privacy e responsabilità politiche.
(Foto: il congresso Usa).

La chiamano ormai tutti “legge Epstein”, ma il nome ufficiale è Epstein Files Transparency Act: una norma che impone al Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti di rendere pubblici i dossier sul finanziere condannato per abusi sessuali su minori Jeffrey Epstein. In poche ore, tra il 18 e il 19 novembre 2025, la legge ha superato il passaggio alla Camera e al Senato con maggioranze travolgenti, trasformandosi da battaglia di nicchia a banco di prova planetario sulla trasparenza del potere.

Il Congresso ha approvato il testo con un voto quasi unanime: 427 voti favorevoli e uno contrario alla Camera, seguiti dall’intesa al Senato per l’adozione rapida del provvedimento. A questo punto la palla passa alla Casa Bianca, dove il presidente Donald Trump – dopo settimane di irritazione e resistenze – ha promesso di firmare la legge. Se manterrà l’impegno, il Dipartimento di Giustizia avrà 30 giorni per pubblicare una mole di documenti che potrebbe cambiare il racconto pubblico sul caso Epstein e sulla rete di relazioni che lo ha protetto per anni.

Che cos’è davvero la legge Epstein

L’Epstein Files Transparency Act, presentata alla Camera a metà luglio 2025, stabilisce che il Dipartimento di Giustizia debba rendere disponibili, in formato scaricabile e consultabile, tutte le carte in suo possesso legate alle indagini su Epstein e sulla sua rete: verbali, e-mail, rapporti investigativi, note interne, appunti delle forze di polizia, oltre a registri di volo e documenti di viaggio utilizzati negli anni dal finanziere e dai suoi collaboratori.

Il cuore politico della norma è un passaggio preciso: il Dipartimento dovrà consegnare ai comitati giudiziari di Camera e Senato un elenco non oscurato di tutti i funzionari pubblici e delle cosiddette “persone politicamente esposte” citate nei dossier. Non è la fantomatica “lista dei clienti” di cui si discute da anni, ma è un passo concreto verso la mappatura di chi, tra istituzioni e grandi élite, compaia nelle carte del caso Epstein, anche solo come contatto, frequentatore, testimone o figura di contesto.

Per evitare di trasformare la legge in un’arma contro le vittime, il testo prevede che possano essere oscurati dati personali delle persone abusate, dettagli che possano rivelare la loro identità e elementi che rischierebbero di compromettere indagini federali ancora in corso. Ma la norma vieta in modo esplicito di trattenere informazioni per mere ragioni di imbarazzo politico o danno di immagine: un vincolo che, sulla carta, dovrebbe impedire filtraggi “di comodo”.

Come si è arrivati al voto lampo del Congresso

La legge Epstein non è nata in un giorno. Dopo anni di rivelazioni a singhiozzo e di pressioni pubbliche, la svolta è arrivata a inizio settembre 2025, quando un deputato repubblicano, Thomas Massie, ha depositato una petition di “discharge” alla Camera: uno strumento parlamentare che consente di forzare il voto su un testo anche quando la leadership vorrebbe tenerlo fermo in un cassetto.

La mossa di Massie ha spaccato il partito di governo. La Casa Bianca e alcuni vertici repubblicani hanno provato in ogni modo a disinnescare l’iniziativa, avvertendo che sostenere la petition sarebbe stato un gesto “ostile” verso l’amministrazione. Ma nel giro di poche settimane la firma di quasi tutti i deputati democratici e di un piccolo gruppo di repubblicani ha superato la soglia necessaria, costringendo la Camera a fissare il voto.

A quel punto, il muro politico è crollato. Nel giro di pochi giorni anche figure inizialmente contrarie, come lo speaker della Camera Mike Johnson, hanno cambiato linea. Il vero ribaltone politico è arrivato quando lo stesso Donald Trump, dopo aver bollato a lungo la questione Epstein come una “bufala” messa in piedi dai suoi avversari, ha improvvisamente dichiarato di appoggiare il testo e di essere pronto a firmarlo.

Dietro le quinte, secondo ricostruzioni basate su documenti ufficiali e cronache politiche, il presidente era stato informato già in primavera che il suo nome compariva in alcune carte dell’inchiesta insieme a quello di molte altre personalità. Da qui mesi di frenate, retromarce e pressioni sul Dipartimento di Giustizia perché limitasse le rivelazioni. Solo quando è apparso inevitabile che il Congresso imponesse comunque un’apertura dei dossier, l’amministrazione ha scelto la via del “meglio guidare che subire” la trasparenza.

Cosa sarà reso pubblico (e cosa resterà segreto)

Con la legge Epstein, il Dipartimento di Giustizia è tenuto a pubblicare entro 30 giorni dall’entrata in vigore tutte le informazioni non coperte da segreto investigativo o da altri vincoli legali. Parliamo di un archivio gigantesco: stime interne indicano che esistano circa 100.000 pagine di dossier e oltre 300 gigabyte di dati su server federali, tra flight log, agende, e-mail, verbali e materiali raccolti negli anni dalle autorità.

È importante però distinguere: una parte dell’attenzione pubblica si è concentrata sui verbali dei grand jury, gli organismi che hanno deciso l’incriminazione di Epstein e della sua principale alleata, Ghislaine Maxwell. Su questo fronte, negli ultimi mesi più giudici federali hanno respinto le richieste – arrivate paradossalmente dallo stesso Dipartimento di Giustizia – di rendere pubbliche quelle deposizioni, ribadendo il principio storico della segretezza del grand jury e sottolineando che si tratta di documenti limitati, poco rilevanti rispetto all’enorme corpo di prove già in mano alle autorità.

La legge Epstein, dunque, punta soprattutto su un altro tipo di trasparenza: non tanto aprire ogni singolo verbale, quanto costringere il Dipartimento a pubblicare ciò che non è protetto da segreti specifici e che fino a oggi è rimasto chiuso in archivio per una scelta politica, non giuridica. In altre parole, l’obiettivo è impedire che si usi il fantasma della “lista dei clienti” per continuare a non pubblicare nemmeno ciò che potrebbe – oggi – essere reso accessibile.

Alcune anticipazioni su che cosa potrebbe emergere sono arrivate nei mesi scorsi grazie alle prime tranche di documenti rese note da commissioni parlamentari e da varie corti. E-mail e appunti hanno già mostrato rapporti insolitamente stretti fra Epstein e figure di primo piano della politica, della finanza, dei media e dell’accademia, senza che ciò implichi automaticamente responsabilità penali. La nuova legge potrebbe aggiungere coerenza e contesto a questo mosaico incompleto.

La battaglia politica intorno ai dossier

In superficie, il voto quasi unanime del Congresso fa pensare a una grande riconciliazione morale: tutti, finalmente, vogliono davvero la verità. In realtà, la “legge Epstein” è diventata il nuovo fronte di una battaglia politica durissima.

Per mesi, la Casa Bianca e i vertici repubblicani hanno accusato chi chiedeva la pubblicazione dei dossier di voler montare un caso contro il presidente in vista delle prossime elezioni. Dall’altra parte, molti parlamentari democratici hanno puntato il dito contro quella che definiscono una strategia di insabbiamento, ricordando che lo stesso Dipartimento di Giustizia, nel luglio 2025, aveva diffuso un memorandum in cui negava l’esistenza di una “client list” vera e propria e sosteneva che le prove non giustificassero nuove incriminazioni nei confronti di figure di alto profilo.

Nel frattempo, il campo complottista ha alimentato scenari di ogni tipo: da chi sostiene che nei dossier ci siano prove di un gigantesco sistema di ricatto internazionale, a chi è convinto che buona parte dei nomi più sensibili sia già stata rimossa o oscurata. In un’intervista recente, il fratello di Jeffrey Epstein ha dichiarato di temere che “i dossier vengano ripuliti prima della pubblicazione per proteggere alcuni politici”, alimentando sospetti incrociati su entrambi i partiti.

Anche all’interno della maggioranza, le tensioni non mancano. Lo stesso speaker Mike Johnson ha definito la legge “pericolosamente imperfetta”, pur votandola, e ha insistito perché il Senato introduca correzioni per tutelare meglio informatori, fonti confidenziali e agenti sotto copertura. Alcuni giuristi temono che un testo così rigido possa avere un effetto a catena su altre inchieste sensibili, spingendo investigatori e testimoni a comunicare sempre meno per paura che ogni documento possa diventare pubblico.

Le paure delle vittime e dei giuristi

Se la politica si divide, le vittime di Epstein vivono questo passaggio con un misto di speranza e inquietudine. Molte di loro chiedono da anni che il sistema smetta di proteggere le élite coinvolte, ma temono di essere esposte una seconda volta. Una delle sopravvissute che ha deciso di parlare pubblicamente ha spiegato che la pubblicazione dei dossier potrebbe “portare finalmente un po’ di chiusura”, ma solo se i nomi e i dettagli in grado di identificare le ragazze abusate resteranno coperti.

Gli avvocati che le rappresentano insistono su un punto: la trasparenza non può trasformarsi in voyeurismo. Rendere noto chi ha frequentato Epstein o ha interagito con lui in contesti ambigui è una cosa; un’altra è diffondere particolari crudi degli abusi, che rischierebbero solo di ri-traumatizzare le vittime senza aggiungere nulla alla comprensione pubblica del caso.

Dall’altra parte, diversi esperti di diritto costituzionale ricordano che la legge Epstein si muove su un confine delicatissimo tra diritto all’informazione e diritto alla riservatezza. Il fatto che il Congresso abbia approvato il testo con margini tali da poter teoricamente superare anche un eventuale veto presidenziale non significa che la discussione sia finita: i tribunali potrebbero essere chiamati a valutare ricorsi di persone che si riterranno danneggiate dalla pubblicazione del loro nome nei dossier.

Un legale che assiste un gruppo di sopravvissute ha riassunto così il paradosso, durante una conferenza stampa a Washington: “Il mondo vedrà chi è stato coinvolto e complice, ma questo non deve accadere sulla pelle delle vittime”. Una frase che sintetizza bene la sfida dei prossimi mesi: fare luce sulla rete di protezioni di Epstein senza schiacciare chi ha già pagato il prezzo più alto.

Che cosa succede adesso

Nell’immediato, i prossimi passaggi sono chiari. Una volta arrivato formalmente sul tavolo della Casa Bianca, il testo della legge Epstein potrà essere firmato o rinviato indietro con un veto. Le dichiarazioni pubbliche fanno pensare che il presidente opterà per la firma, anche perché un rifiuto appare difficilmente sostenibile dopo il voto quasi unanime del Congresso.

Con la firma, scatterà il conto alla rovescia dei 30 giorni per il Dipartimento di Giustizia. In quel lasso di tempo, gli uffici dovranno selezionare i materiali pubblicabili, oscurare i dati che identificano le vittime, valutare se singoli documenti possano mettere a rischio indagini ancora aperte e predisporre una piattaforma che consenta a giornalisti, studiosi e cittadini di consultare l’archivio in modo sistematico.

È probabile che la pubblicazione non avvenga in un colpo solo, ma per tranche successive, con ondate di documenti che si sommeranno a quelli già diffusi in passato da tribunali e commissioni parlamentari. Ognuna di queste ondate rischia di produrre nuovi scandali mediatici, letture parziali, manipolazioni e campagne di disinformazione: un terreno ideale per l’ecosistema di social, talk show e influencer che già oggi alimenta narrazioni opposte sul caso.

Sullo sfondo resta l’interrogativo più grande: la legge Epstein basterà a soddisfare la domanda di giustizia? È possibile che da questi documenti non emergano nuove prove di reato, ma solo un quadro ancora più nitido di complicità morali, omissioni e frequentazioni imbarazzanti. In quel caso, la partita si sposterà dal penale al politico: saranno gli elettori, non i giudici, a decidere quanto far pesare i legami con Epstein.

Di certo, la “legge Epstein” segna un punto di non ritorno. Per la prima volta, il Congresso impone al cuore dello Stato federale di aprire i propri archivi su uno scandalo che tocca i vertici del potere. Quanto profonda sarà davvero questa apertura, e quanta parte della verità verrà ancora una volta lasciata nell’ombra, lo diranno i prossimi mesi. Ma il messaggio politico, per ora, è inequivocabile: almeno sulla carta, gli Stati Uniti hanno scelto di farsi giudicare non solo per ciò che è accaduto a Epstein, ma per come hanno deciso di raccontarlo – e di nasconderlo – per oltre vent’anni.

Notizie dello stesso argomento
Trovati 26 record
Pagina
Nessun record risponde ai criteri di ricerca
Trovati 26 record
Pagina
  • Con Bancomat, scambi denaro, giochi e ti premi.
  • Punto di contatto tra produttori, rivenditori & fruitori di tecnologia
  • POSTE25 sett 720