Lo share fa il pavone, ma la platea si assottiglia: e cambiano anche i vincitori.
Il punto: lo share è una percentuale, la platea è un mondo
Il nodo: lo share misura la fetta, non la torta. Se la torta si rimpicciolisce,
la stessa fetta pesa meno. E così un 10% può essere un trionfo (se la TV è affollata) o una vittoria “dimagrita”
(se il pubblico è sceso).
Per questo, per capire davvero “quanti spettatori ha perso la televisione”, bisogna guardare soprattutto ai
valori assoluti (spettatori medi, contatti, tempo di visione), e poi usare lo share come
seconda chiave: utile, sì, ma solo dopo.
Quanti spettatori ha perso la TV: la curva che conta
Il dato più netto: il prime time post-pandemia si è sgonfiato
L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, nell’Osservatorio sulle comunicazioni n. 1/2025
(pubblicato il 13 maggio 2025, dati aggiornati a dicembre 2024), riporta gli
ascolti complessivi delle emittenti nazionali (DVB-T e SAT) e mostra una discesa evidente:
nel prime time si passa da circa 30,1 milioni nel 2020 a 19,5 milioni
nel 2024 (giorno medio, milioni di individui). È una differenza di circa 10,6 milioni.
Attenzione però: il 2020 è un anno “anomalo” (lockdown, picco di consumo domestico). Quindi quel confronto è
utilissimo per misurare quanto si sia ritirata l’onda lunga, ma non va letto come “la TV era
così e poi ha smesso”: era anche un’altra vita.
Il 2023 (lineare) segna un altro passaggio: meno pubblico in 24 ore e in prima serata
Un’altra fotografia, sempre da dati Agcom (ripresi in analisi di settore), mette numeri molto concreti sul 2023:
gli ascolti medi giornalieri (intero giorno) scendono da 8,44 a 8,22 milioni
tra 2022 e 2023 (-2,6%). In prime time da 19,48 a 18,99 milioni (-2,5%).
Il “controcanto”: la TV resta grande… ma è sempre più multipiattaforma
Qui arriva la parte che manda in crisi le letture semplicistiche: mentre la TV lineare arretra,
cresce (o si stabilizza) l’idea di total audience, cioè consumo che include anche lo streaming
e l’on demand misurati dagli editori.
Un’analisi legata all’Annuario sulla TV italiana (Università Cattolica/CeRTA, filiera e mercato) riassume così il 2024:
+1,1% di total audience sull’intero giorno rispetto al 2023 (periodo confrontato) e un dato
chiave: l’“ascolto non riconosciuto” cresce e arriva a circa 1,8 milioni
di ascolto medio nelle 24 ore.
Tradotto: il televisore resta centrale, ma non sempre quello che accendi “si lascia contare”
come canale lineare. E quindi la platea si sposta, si frantuma, si nasconde in parte nelle app.
Chi perde di più: canali, gruppi, e un indizio forte sull’informazione
Il podio dei “colpi” (2020-2024): generalisti e pay, poi i piccoli
Sempre nell’Osservatorio sulle comunicazioni n. 1/2025, Agcom mostra le variazioni percentuali
degli ascolti nel giorno medio dal 2020 al 2024 per i principali gruppi:
- Rai: in prime time circa -20,0% (2020-2024).
- Mediaset: in prime time circa -19,4% (2020-2024).
- Comcast/Sky: in prime time circa -17,0% (2020-2024).
- Cairo/La7: in prime time circa -13,4% (2020-2024) ma con segnali di crescita nell’ultimo tratto.
- Altri: in prime time una contrazione molto più pesante (ordine di grandezza: -53,4% nel periodo).
Due letture in una:
i grandi perdono tanto perché partono da tanto; i piccoli possono perdere “in percentuale”
in modo drammatico perché il pubblico residuale è il primo a essere spazzato via quando il consumo si disperde.
Telegiornali: giù quasi tutti, uno fa eccezione
Un indicatore fortissimo per capire “chi soffre” è la traiettoria dei TG nel giorno medio. Agcom, nello stesso
Osservatorio (n. 1/2025), riporta variazioni 2020-2024 e 2023-2024:
- Tg1 (Rai 1, 20:00): circa -26,3% nel 2020-2024.
- Tg2 (Rai 2, 20:30): circa -46,3% nel 2020-2024.
- Tg5 (Canale 5, 20:00): circa -24,0% nel 2020-2024.
- Studio Aperto (Italia 1, 18:30): circa -45,6% nel 2020-2024.
- TgLa7 (La7, 20:00): circa -0,3% nel 2020-2024 e +18,5% nel 2023-2024.
Questo è uno snodo editoriale: se l’informazione si sposta online, i TG generalisti calano;
ma c’è spazio per un’offerta percepita come “identitaria” e coerente con l’approfondimento serale, che può
tenere o crescere.
All news: la discesa lunga dopo i picchi (pandemia e crisi)
Anche i canali “all news” mostrano un ridimensionamento tra 2020 e 2024 (confronto su diverse fasce):
per esempio Rai News 24 scende di oltre il 50% su varie finestre considerate; Sky TG24
segna cali importanti in più fasce; TgCom24 è più stabile in alcune finestre ma comunque in contrazione su altre.
Non è un mistero: nel 2020 l’informazione televisiva è stata una “centrale operativa” nazionale. Poi, con il ritorno
alla normalità e con l’iper-offerta digitale, l’urgenza si è distribuita altrove.
Chi perde di più per generi: il quadro reale (e quello che spesso si finge di non vedere)
Il primo genere che “ruba” tempo alla TV lineare è… lo schermo stesso
Qui bisogna essere categorici: il grande concorrente della TV lineare non è “un altro canale”.
È lo stesso televisore usato in altro modo.
Nel 2024, una lettura basata su dati di filiera parla di circa 4 ore di consumo complessivo
sul televisore: oltre 3 ore e 16 minuti ai canali TV “tradizionali” e quasi 44 minuti
su altri consumi (SVOD, gaming, navigazione).
Intrattenimento evento e sport: i grandi “aspirapolvere” che tengono su la baracca
Se c’è una regola che non invecchia, è questa: l’evento live resta il collante più forte della TV.
Agcom, commentando i movimenti 2024, attribuisce parte della dinamica a grandi appuntamenti come Europei di calcio
e Olimpiadi.
E infatti la logica di programmazione dei generalisti è sempre più “a picchi”: fiction forte, show forte, sport forte.
Il resto, nel frattempo, vive di rendita o si ridisegna.
Informazione e approfondimento: meno TV come “prima fonte”, più talk come “forma”
Agcom lo certifica senza giri di parole: dal 2023 la TV non è più il principale mezzo di informazione,
superata da internet.
Ma attenzione: questo non vuol dire “morte dell’informazione in TV”. Vuol dire trasformazione:
meno abitudine “automatico alle 20”, più consumo per format, per conduttore,
per comunità.
Il segnale più interessante sulla politica: nei programmi informativi pesa meno (sul lungo periodo)
Nel “Osservatorio annuale sul sistema dell’informazione 2025” (pubblicato il 24/03/2025),
Agcom rileva che tra 2019 e 2024 il tempo dedicato alla politica interna nei TG ed Extra TG
si riduce (circa -10,9 punti percentuali), mentre cresce quello dedicato agli esteri
(circa +11 punti) e, più moderatamente, quello alla cronaca.
È un dato che spiega molto del “sentiment” televisivo: la politica resta ovunque, ma spesso entra
travestita (economia quotidiana, esteri, cronaca, sicurezza, cultura di governo). E i talk, infatti,
diventano il luogo dove la politica si fa narrazione oltre che notizia.
Come vanno i talk politici: numeri, tendenze e un paio di verità scomode
Prima verità: i talk non vivono nel vuoto, vivono nel traffico
Quando la platea complessiva del prime time scende, i talk fanno i conti con una realtà semplice:
per “sembrare stabili” devono spesso correre più forte.
Eppure alcuni segnali sono chiari: La7, nel 2024, mostra una crescita in diverse letture di mercato e filiera
(soprattutto quando si considera la multipiattaforma), e persino il suo telegiornale cresce in modo molto evidente
nell’ultimo confronto annuale (2023-2024).
Seconda verità: il talk politico è diventato “anche” infotainment (e Agcom lo misura)
Agcom ricorda che i TG rappresentano mediamente 30%-35% dell’offerta informativa complessiva,
mentre i programmi Extra TG fanno 65%-70%.
E negli Extra TG, politica ed economia pesano più che nei TG.
Tradotto: non è “il talk che parla di politica”. È la politica che, in TV, passa sempre di più
attraverso formati di approfondimento (dibattito, interviste, satira, talk, docu, fact-checking televisivo).
Terza verità: i talk crescono quando accendono l’agenda (e perdono quando la inseguono)
Nella cronaca degli ascolti 2025, alcuni talk di approfondimento politico raggiungono spesso soglie tra
circa 800 mila e oltre 1 milione di spettatori, con share che può oscillare molto in base alla serata
e alla concorrenza. Esempio: una puntata di “Otto e mezzo” (La7) ha toccato quasi 1,9 milioni
e oltre 9% in una serata di forte attualità.
È un promemoria: nel talk politico, il “genere” non basta. Conta la combinazione:
tema + ospiti + momento + fiducia nel brand.
Il paradosso finale: la TV “perde spettatori”, ma resta un gigante
Qui serve tenere insieme due frasi che sembrano incompatibili ma non lo sono:
- La TV lineare (come abitudine di massa) ha perso terreno e pubblico, soprattutto rispetto ai picchi del 2020 e lungo la normalizzazione successiva.
- La TV come ecosistema (schermi, streaming, on demand, smart TV) resta centrale e si sta riorganizzando: più frammentata, più personalizzata, meno “tutti insieme”.
Ecco perché l’ossessione per lo share è comoda: racconta una gara nel recinto.
Ma la domanda vera, oggi, è fuori dal recinto: quanta gente c’è ancora sugli spalti?