Il Cile cambia passo e lo fa con un risultato che pesa come un macigno: José Antonio Kast (foto) vince il ballottaggio presidenziale del 14 dicembre 2025 con circa 58% dei voti, battendo la candidata di sinistra Jeannette Jara (circa 42%), di provenienza Partito comunista. I numeri vengono confermati man mano che procede lo scrutinio e la stessa Jara concede la sconfitta pubblicamente, chiudendo ogni spazio a contestazioni.
Il dato politico, però, va oltre la percentuale: dopo anni in cui la scena era stata dominata dalla spinta riformista esplosa con le proteste del 2019 e dall’esperienza progressista di Gabriel Boric, il pendolo torna dall’altra parte. Sicurezza e migrazione diventano la coppia di parole che ha riscritto la campagna e, di fatto, l’esito delle urne.
Una vittoria netta e un segnale: il Paese vira a destra
Per molti osservatori internazionali, la vittoria di Kast rappresenta la svolta più marcata a destra del Cile democratico. Non è solo una questione di collocazione ideologica: è un cambio di priorità. In campagna, Kast ha insistito su un messaggio ripetuto con disciplina: ordine, frontiere, pugno duro contro il crimine. Un messaggio che, davanti a un elettorato preoccupato, ha funzionato.
Il contesto è paradossale e proprio per questo interessante: il Cile è spesso descritto come uno dei Paesi più sicuri dell’America Latina, ma negli ultimi anni la percezione del rischio è cresciuta, alimentata da episodi di violenza, narrazioni mediatiche e dal tema delle nuove reti criminali transnazionali. In altre parole: non basta essere relativamente “sicuri” se la paura diventa quotidiana e politicamente spendibile.
La campagna che ha deciso tutto: sicurezza e migrazione
La partita elettorale si è giocata soprattutto su due fronti.
Primo: la sicurezza. Kast ha promesso una strategia di contrasto “muscolare”, arrivando a evocare l’impiego di strumenti straordinari nelle aree più colpite e un rafforzamento della presenza dello Stato sul territorio. Dall’altra parte, Jara ha provato a non farsi schiacciare sul terreno dell’avversario, ma nelle settimane finali ha irrigidito il linguaggio sulla criminalità: un segnale che la campagna, di fatto, si era spostata sulla griglia “law and order”.
Secondo: la migrazione. Qui Kast ha scelto la linea più netta: controllo serrato delle frontiere e misure drastiche contro l’irregolarità. Nel dibattito pubblico ha fatto discutere l’idea di un “conto alla rovescia” per chi non ha documenti in regola, presentata come promessa di efficienza e deterrenza. Un’impostazione che ha avuto un effetto immediato: ha polarizzato, ha mobilitato, ha costretto gli avversari a reagire.
Chi è José Antonio Kast e perché la sua figura divide
Kast arriva alla presidenza a 59 anni, dopo aver inseguito a lungo l’obiettivo e aver costruito un profilo riconoscibile: conservatore sui temi sociali, duro su sicurezza e immigrazione, favorevole a una visione economica più orientata al mercato e a una riduzione della spesa pubblica. Nelle cronache internazionali viene spesso ricordato per le sue posizioni sull’eredità del Cile del Novecento e per la sua distanza culturale dal progressismo che aveva segnato l’ultimo ciclo politico.
La questione, qui, non è solo biografica: è simbolica. Per una parte del Paese, Kast incarna la promessa di “normalità” e controllo; per un’altra, la paura di un arretramento sul terreno dei diritti e di una gestione dell’ordine pubblico capace di allargare troppo le maglie del potere.
Jara concede e riapre il cantiere della sinistra
Jeannette Jara riconosce la sconfitta quando i risultati diventano irreversibili e affida ai social un messaggio sobrio: riconoscimento dell’esito e auguri di buon lavoro al presidente eletto “per il bene del Cile”. Politicamente è un passaggio cruciale: evita tensioni istituzionali e mette un punto fermo alla notte elettorale.
Ma la sconfitta apre una domanda più ampia: che cosa non ha funzionato nella proposta della sinistra? Secondo diverse analisi, Jara ha tentato di valorizzare i risultati ottenuti nei ruoli di governo (lavoro, salari, riforme sociali), ma il messaggio è finito in secondo piano davanti a un’agenda emotiva più potente: paura, insicurezza, frustrazione per l’irregolarità percepita.
Le reazioni internazionali: Washington tende la mano
Le congratulazioni non tardano. Sul piano diplomatico, una delle reazioni più osservate è quella degli Stati Uniti: il segretario di Stato Marco Rubio invia un messaggio pubblico in cui si dice pronto a collaborare con la nuova amministrazione per rafforzare la sicurezza regionale e rilanciare le relazioni commerciali. È un testo breve, ma il sottotesto è chiaro: Washington legge la vittoria di Kast anche come un tassello nel mosaico geopolitico del continente.
Il Cile, infatti, resta un attore centrale per investimenti, filiere strategiche e stabilità istituzionale. Ogni nuovo governo manda segnali ai mercati e ai partner: Kast ne manda uno netto, orientato a “ordine e crescita”, ma dovrà dimostrare di saper trasformare slogan in governance.
Le sfide del presidente eletto: il Congresso, l’economia, la prova dei fatti
La vittoria è ampia, ma non è un assegno in bianco. Le analisi internazionali convergono su un punto: Kast non parte con un Congresso automaticamente allineato. Questo significa che le promesse più controverse potrebbero scontrarsi con negoziati, veti e compromessi. In democrazia, la “linea dura” diventa politica pubblica solo se passa attraverso regole, maggioranze e tribunali.
Ci sono poi i dossier economici: il Cile vive una fase di incertezza tra crescita, diseguaglianze e pressioni sociali. Kast ha parlato di tagli alla spesa e di un approccio pro-impresa; ma la domanda, inevitabile, è: come conciliare austerità e consenso, soprattutto quando il Paese resta segnato da fratture profonde?
Infine c’è la sfida più delicata: tenere insieme. Durante la notte elettorale, Kast si presenta come “presidente di tutti”, promettendo di governare oltre gli schieramenti. È la formula classica dei vincitori. La differenza la farà l’attuazione: toni, nomine, priorità, e soprattutto il modo in cui verranno gestite sicurezza e migrazione senza trasformarle in una guerra permanente contro metà della società.
Che cosa succede adesso: l’insediamento e i primi segnali
Il calendario istituzionale prevede l’avvio del mandato nei mesi successivi al ballottaggio. Da qui a quel momento si giocheranno partite decisive: composizione della squadra, prime bozze di agenda, dialogo con le forze parlamentari e con i governatori locali. Se la campagna è stata un megafono, il governo sarà un test di precisione.
Una cosa, intanto, è già chiara: il Cile entra in una fase nuova, dove la politica torna a misurarsi con la questione più antica e più contemporanea insieme: come garantire sicurezza senza restringere libertà, e come governare i movimenti migratori senza trasformarli in un capro espiatorio permanente.