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Italia in bilico tra Ucraina e Russia: la frattura nel governo

- di: Vittorio Massi
 
Italia in bilico tra Ucraina e Russia: la frattura nel governo

Una linea ufficiale prudente, toni interni sempre più tesi e un G20 che arriva nel momento peggiore.

(Foto: da sinistra Tajani, Meloni e Salvini sul banco del governo).

L’Italia affronta uno dei passaggi più delicati della sua politica estera recente: il sostegno all’Ucraina, la discussione sull’utilizzo dei beni russi congelati e la preparazione al G20 in Sudafrica stanno mettendo a nudo una verità politica che fino a poche settimane fa si cercava di minimizzare. La cautela mostrata da Palazzo Chigi non è frutto solo di prudenza istituzionale: nasce da una spaccatura profonda dentro la coalizione di governo, dove strategie opposte convivono a fatica sotto la stessa bandiera.

La linea ufficiale pro-Kiev e la frenata della Lega

La posizione dichiarata dall’esecutivo resta netta: l’Italia sostiene l’Ucraina “in ogni sede e con strumenti adeguati”. Aiuti militari, forniture energetiche e cooperazione diplomatica vengono presentati come il naturale proseguimento degli impegni europei. Ma questa compattezza è più apparente che reale.

Una parte consistente della maggioranza, guidata da Matteo Salvini, ha espresso timori sempre più espliciti: secondo il leader della Lega, l’invio sistematico di armamenti e l’adesione a nuovi meccanismi internazionali rischiano di aggravare tensioni già elevate e di esporre l’Italia a conseguenze non previste. Salvini ha avvertito che spingere ulteriormente sulla strada degli armamenti è «estremamente pericoloso» e che il Paese dovrebbe «valutare con freddezza ogni passo».

Dall’altra parte del fronte, la linea di Giorgia Meloni e del ministro della Difesa Guido Crosetto resta opposta: per loro, il sostegno a Kiev è una questione strategica e morale. Ne deriva un dualismo sempre più difficile da mascherare.

Beni russi congelati: il fronte che divide più di tutti

È però sulla questione dei beni russi congelati che la spaccatura diventa evidente. L’Italia ha lasciato intendere di essere favorevole a valutarne l’utilizzo per sostenere l’Ucraina, ma a condizione che venga costruita una cornice giuridica inattaccabile. Antonio Tajani ha insistito che “non è una scelta politica, ma una scelta di diritto”, evidenziando la necessità del vaglio della Banca centrale europea.

Il ragionamento è chiaro: qualunque mossa mal calibrata rischierebbe di minare la stabilità dell’eurozona e di aprire a contenziosi internazionali. Ma la Lega non vuole sentire ragioni: per Salvini, persino parlarne significa «esporsi a mille problemi». La distanza tra Farnesina e Carroccio – tra chi vuole aprire il dossier e chi vuole chiuderlo subito – è ormai plastica.

La cautela italiana, quindi, non è solo diplomazia: è autodifesa politica. Ogni passo affrettato rischierebbe di far saltare equilibri che già traballano visibilmente.

Meloni verso il G20: l’unità di facciata da mostrare all’estero

Mentre il governo discute animatamente, Giorgia Meloni si prepara al G20 in Sudafrica: un vertice cruciale, il primo ospitato dal continente africano. La premier punta a portare avanti le priorità italiane: conversione del debito africano in progetti di sviluppo, transizione energetica, gestione dei minerali critici e un quadro di regole per l’intelligenza artificiale centrato sull’essere umano.

La missione africana nasce come tassello centrale del Piano Mattei e come prova della volontà italiana di allargare i propri orizzonti oltre il solo spazio europeo. Ma la mancanza di una voce unitaria rischia di indebolire la postura internazionale della premier proprio mentre l’assenza degli Stati Uniti al vertice apre una finestra di opportunità per Roma.

Una coalizione a doppia velocità

L’immagine che emerge è quella di un governo a trazione variabile: una parte che guarda all’Europa e al multilateralismo, un’altra che spinge per un rallentamento strategico, temendo possibili contraccolpi economici, politici e sociali.

Questa disomogeneità ha conseguenze dirette: ritardi sulle decisioni, messaggi contraddittori agli alleati, difficoltà nel coordinare strategie internazionali che richiederebbero una sola voce, non tre o quattro.

La domanda di fondo

In definitiva, la prudenza italiana nei dossier Ucraina e Russia non è soltanto dettata dal contesto internazionale: è l’espressione diretta di una maggioranza che fatica a trovare una sintesi. Su temi che richiederebbero compattezza assoluta, la coalizione procede invece per strappi, distinguo e frenate improvvise.

L’Italia resta in bilico: tra fedeltà agli impegni, timori di nuove tensioni e l’esigenza di non incrinare ulteriormente un equilibrio interno già logoro. Il prossimo vertice internazionale dirà se il Paese saprà presentarsi con una linea coerente o se l’onda lunga delle divisioni continuerà ad accompagnare ogni dossier di politica estera. 

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