Gianni Agnelli, re senza corona, forse troppo in fretta dimenticato

- di: Redazione
 
Essere stato, per decenni, al centro di una attenzione che spesso è diventata morbosa per Gianni Agnelli - morto vent'anni fa - era un obolo da pagare per la sua condizione di re senza corona. Troppe voci, troppi pettegolezzi, ammirazione in dosi massicce, ma anche tanta invidia l'hanno accerchiato per tutta la vita perché, da primogenito, aveva una strada segnata, che lo portava dritto al trono della Real casa. L'Avvocato (laurea in legge, ma solo l'ipotesi di sostenere l'esame per la pratica forense mai lo sfiorò) per tutti, Agnelli ha incarnato, agli occhi dell'Italia e del mondo intero, una visione quasi aristocratica del ruolo di industriale e finanziere, mai cadendo nel tranello di mostrare in pubblico le emozioni che non riguardassero i suoi grandi amori. Bon vivant, semmai ce n'è stato uno nello scorso secolo, Gianni Agnelli è stato spesso giudicato per quel che appariva, per i suoi vezzi, per le sue piccole fissazioni e non invece per lo spietato capitano d'industria che era, lui cresciuto sotto l'ala protettrice di Vittorio Valletta, che lo doveva forgiare e preparare a sedere su una delle poltrone più prestigiose, ma anche scomode d'Italia.

Gianni Agnelli, re senza corona, forse troppo in fretta dimenticato 

Perché guidare la Fiat, negli anni in cui l'illusione di vivere nell'epoca dei sogni appagati, significava anche decidere quel che gli italiani si potevano o dovevano permettere. Eppure, come spesso accade per i personaggi famosi, il giudizio sull'Agnelli imprenditore è stato offuscato da quello sui suoi comportamenti privati, alcuni dei quali certamente veri, altri ingigantiti dal fatto che lui era quel che era. Eppure, Agnelli è stato un grandissimo personaggio nel panorama internazionale dell'industria, portando la Fiat e le altre società che vivevano di luce rifessa al centro della grande finanzia. Uomo dai giudizi taglienti, che affidava a frasi entrate nei modi di dire, si è trovato a guidare una famiglia, nel senso stretto del termine, in cui forse aveva notato il seme della maledizione.
Perché individuare il suo successore nel nipote Giovanni, figlio del fratello Umberto, ''crescerlo'' seguendolo nella vita, negli studi, nell'approccio al futuro (come quando lavorò in fabbrica, presentandosi con un nome fasullo) e alla vita (fece il servizio militare nei carabinieri paracadutisti del Tuscania) e vederselo morire sotto gli occhi, per un tumore che non gli lasciò scampo, per l'Avvocato significò riscrivere la storia futura della Fiat.

Che però è andata avanti, sino a che per essa sono state prese decisioni che hanno fatto virare il suo focus verso la finanza, forte del fatto che era l'azienda che rappresentava l'Italia nel mondo.
E chi meglio di Gianni Agnelli poteva esserne la guida? L'aspetto regale, la pronuncia (la sua 'erre' fu come un monogramma), la fama di spietato cacciatore di prede femminili, tutto contribuì a farne un simbolo. Che però ha pagato un enorme pedaggio per potere correre lungo le autostrade della grande finanza e della grande industria. A cominciare dalla morte del figlio Edoardo che, per carattere, mai avrebbe potuto raccoglierne l'eredità e che decise che questo mondo non era fatto per lui, uccidendosi.
Anche se non era affatto vero, Agnelli si mostrava impermeabile alle emozioni degli uomini normali, guardando sempre con distacco alle cose della vita, forse perché non poteva che comportarsi così. Perché si può essere anche invidiati, ma, se guidi una realtà di cui fanno parte decine e decine di migliaia di persone, non puoi mostrarti umano. Quindi, quelli che per altri erano etichettabili come vizi, per lui erano semplici svaghi.

Ma lui era Gianni Agnelli, al quale era toccato in sorte di fare scelte che forse non erano quelle che avrebbe voluto solo pochi anni prima, come quando chiamò accanto a sé un altro nipote, John Elkan, con una anticipazione di quello che sarebbe accaduto pochi anni dopo, quando, morto il Re, il giovin signore cominciò il suo percorso di formazione sino al trono. Il resto è storia di oggi. Forse di Gianni Agnelli si è perso troppo presto il ricordo, che è stato appannato da quel che si mostrava, che era ben diverso dall'uomo che - pur guardando con aristocratico distacco - le cose di questa Terra, decideva e, quasi sempre, per il meglio. Una eredità che la classe imprenditoriale italiana non ha saputo raccogliere, in una visione da ''orticello'' che non apparteneva all'Avvocato, che ha sempre affrontato la vita a petto in fuori, sfidando la sorte, ma mai rischiando.
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