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Trump svela il “MIGA” e infiamma il Medio Oriente

- di: Bruno Legni
 
Trump svela il “MIGA” e infiamma il Medio Oriente

Israele colpisce Teheran, missili su Tel Aviv, Putin riceve Araghchi. L’Iran minaccia lo Stretto di Hormuz.

(Foto: Trump con il vice presidente Vance).
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Una nuova miccia accesa nella polveriera mediorientale
Il 23 giugno 2025 è iniziato con il boato di nuovi raid aerei: l’aviazione israeliana ha colpito con precisione chirurgica diversi obiettivi militari nella cintura occidentale di Teheran, utilizzando oltre 30 ordigni lanciati da una ventina di jet, come confermato dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF). Tra i bersagli: siti di lancio missilistico, depositi sotterranei e postazioni radar.
Il momento scelto per l’attacco non è casuale. A poche ore di distanza, Donald Trump – in una dichiarazione che ha fatto il giro del mondo – ha rilanciato pubblicamente, e per la prima volta in termini espliciti, l’ipotesi di un cambio di regime in Iran. Un concetto che ha ribattezzato con un nuovo acronimo: MIGA, “Make Iran Great Again”.
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L’annuncio di Trump: tra provocazione e strategia
“Non è di moda parlare di cambio di regime, ma se il governo attuale non può rendere grande il suo Paese, allora forse serve un altro governo”, ha scritto su Truth Social, la piattaforma da lui fondata. Il riferimento diretto al suo storico motto elettorale (“Make America Great Again”) suona come uno slogan di guerra travestito da proposta geopolitica.
Dalle parole ai fatti, la tensione è immediatamente salita. La Guida Suprema iraniana Ali Khamenei ha risposto con veemenza attraverso i suoi canali social: “Il nemico sionista ha commesso un grave crimine e sarà punito”. Il post era accompagnato da un’immagine funesta: un teschio sovrastato dalla stella di Davide su una città in fiamme.
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Le vittime e la risposta dell’Iran

Secondo i dati diffusi da Human Rights Activists, ong con sede a Washington, i bombardamenti israeliani hanno provocato almeno 950 morti e oltre 3.400 feriti. Tra le vittime, 380 civili e 253 membri delle forze armate. Il governo di Teheran non ha ancora fornito un bilancio ufficiale, mantenendo la linea del riserbo.
Nel frattempo, l’Iran ha lanciato missili verso il centro di Israele: le sirene sono risuonate da Tel Aviv a Gerusalemme. In risposta, l’IDF ha alzato il livello di allerta sulle basi strategiche e ha rafforzato le batterie antimissile “Iron Dome”.
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Diplomazia congelata: Araghchi a Mosca, ma Putin frena
Mentre i cieli si riempivano di fuoco, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi è volato a Mosca per un incontro urgente con Vladimir Putin. La visita, annunciata dall’agenzia ufficiale IRNA, aveva lo scopo di chiedere un sostegno più esplicito alla Russia dopo l’intervento militare statunitense.
Ma secondo quanto riportato dal quotidiano Kommersant, il Cremlino avrebbe per ora escluso un coinvolgimento diretto, ribadendo la volontà di “evitare un allargamento del conflitto”. Una posizione che irrita Teheran, che si aspettava ben altro da uno dei suoi principali alleati.
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Hormuz come arma geopolitica
Sul fronte economico, il parlamento iraniano ha autorizzato – con voto straordinario – la possibilità di bloccare lo Stretto di Hormuz, affidando la decisione finale al Consiglio supremo per la sicurezza nazionale. Il passaggio è altamente strategico: per quello stretto marittimo transita circa il 20% del petrolio mondiale.
Il segretario di Stato USA Marco Rubio ha lanciato un appello alla Cina affinché eserciti pressioni su Teheran. “Pechino dipende dallo Stretto per il suo petrolio: sarebbe nell’interesse di tutti evitare una chiusura”, ha dichiarato in un’intervista a Fox News. Un’indiretta richiesta di mediazione per evitare uno shock globale sui mercati energetici.
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Mercati in fibrillazione
Nel frattempo, le borse asiatiche hanno reagito con nervosismo. Il petrolio ha segnato un +4% nelle prime contrattazioni, mentre i future del Brent e del WTI si sono stabilizzati solo a fatica. Alcuni analisti – tra cui JPMorgan – ipotizzano uno scenario estremo con barili a 130 dollari, se la crisi dovesse degenerare e Hormuz chiudersi davvero.
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Attacchi imminenti contro le basi USA?
Un’inchiesta del New York Times riporta l’allerta massima delle forze armate americane in Iraq e Siria: ci sarebbero “chiari segnali” di preparativi da parte di milizie sciite sostenute da Teheran per colpire installazioni statunitensi. I governi locali stanno tentando di prevenire un’escalation, ma l’equilibrio resta instabile.
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Retorica pericolosa e politica del caos
Trump ha riacceso il Medio Oriente con un tweet e una sigla. Il “MIGA” è più di una trovata propagandistica: è una linea politica che rovescia vent’anni di prudenza diplomatica. Le sue parole creano una frattura interna all’apparato americano e destabilizzano ulteriormente un’area già esplosiva.
La dottrina dell’“annientamento preventivo” rischia di trasformarsi in un incendio globale. E mentre gli alleati esitano e i mercati vacillano, resta aperta una sola domanda: siamo a un passo dalla guerra totale?


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