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Dal caso Ferragni al “registro degli influencer”: perché mezzo web è in agitazione

- di: Giulia Caiola
 
Dal caso Ferragni al “registro degli influencer”: perché mezzo web è in agitazione

Chiara Ferragni appare in foto, elegante e perfetta, come sempre. Ma stavolta il contesto non è una passerella o una campagna di moda: è lo sfondo ideale di una stagione in cui gli influencer smettono di essere solo volti e diventano oggetti di regolazione pubblica. Dal “caso Ferragni” in poi – cioè da quando la figura dell’influencer è entrata stabilmente nel dibattito su trasparenza, pubblicità e responsabilità sociale – l’Agcom ha deciso di mettere un nome e un perimetro a questo mondo: nasce così l’“Elenco degli influencer rilevanti”, presto ribattezzato da tutti “registro degli influencer”.

Dal caso Ferragni al “registro degli influencer”: perché mezzo web è in agitazione

Sul sito dell’Autorità è comparso il modulo per iscriversi: chiunque superi certe soglie e guadagni dalla propria attività online dovrà comunicare nome e cognome, nickname, numero di follower, visualizzazioni mensili su piattaforme come Instagram, TikTok o YouTube. Da elenco informale di star della rete, si passa a un albo ufficiale, con ricadute molto concrete.

Dal like alla legge: cosa chiede il registro
L’iscrizione non è solo una formalità. Gli influencer considerati “rilevanti” saranno tenuti a seguire un codice di condotta che li avvicina, almeno in parte, ai media tradizionali. Ogni contenuto pagato da un brand dovrà essere segnato con hashtag chiari – #adv, #pubblicità, #sponsorizzato – così da eliminare dubbi tra racconto personale e messaggio commerciale.

Altro obbligo: dichiarare quando un contenuto è realizzato con intelligenza artificiale generativa e adottare cautele contro la circolazione di notizie false. In più, l’Agcom chiede attenzione ai minori e stop a contenuti discriminatori o lesivi della dignità umana. Insomma: dietro il selfie, si chiede un comportamento da soggetto regolato, non più solo da “ragazzo o ragazza con molti follower”.

Chi non rispetterà le regole rischia multe salate: fino a 250 mila euro per pubblicità occulta non dichiarata, fino a 600 mila euro per violazioni legate alla tutela dei minori. E anche chi, pur avendo i requisiti, non si iscriverà al registro potrà essere sanzionato.

Le soglie che spaventano anche i “piccoli”
Sulla carta, l’Agcom ha fissato una distinzione: è “influencer rilevante” chi ha più di 500 mila follower su una piattaforma, oppure chi, negli ultimi sei mesi, ha raggiunto una media di oltre un milione di visualizzazioni mensili complessive. La prima soglia sembra parlare del “piano alto” – Ferragni, Khaby Lame e consimili. La seconda, però, apre un fronte inatteso: quel milione di visualizzazioni è raggiungibile anche da profili che hanno solo qualche decina di migliaia di follower, ma pubblici molto attivi e contenuti virali.

È qui che si accende l’ansia dei content creator di fascia media. Si sentono, loro malgrado, trascinati nel recinto dei “rilevanti” non per status sociale, ma per i numeri generati dagli algoritmi.

Meme, vignette e ansia: la voce dei creator
«C’è stato il panico», racconta Domenico Emanuele Spagnuolo, creatore della pagina di meme “Cyaomamma”, che su Instagram ha poco più di 41 mila follower, ma produce regolarmente contenuti visti da centinaia di migliaia di persone, superando facilmente il milione di visualizzazioni mensili. Con un profilo così, Spagnuolo rientrerebbe nelle soglie numeriche, ma ha scelto da tempo di non lavorare più con i brand. Nessun contratto pubblicitario, nessun prodotto da spingere: nei fatti, non sarebbe tenuto a iscriversi.

Più sfumato è il caso di pagine come @vaberagaa, dell’autrice Monica Magnani, seguita da poco meno di 140 mila persone, o @filosofia_coatta, pagina di vignette satiriche curata da Giulio Armeni, quasi 200 mila follower. Loro non vivono di influencer marketing in senso stretto, ma ogni tanto ospitano contenuti sponsorizzati, per esempio per promuovere l’uscita di film o serie in streaming. Rientrano, non rientrano, rientrano “a volte”? È su queste zone grigie che si concentrano le preoccupazioni.

Il nodo dei soldi: quando “guadagnare” diventa criterio
L’Agcom prova a tracciare un confine: deve iscriversi chi ha «un ritorno economico» dall’attività online, e in particolare chi svolge influencer marketing, cioè viene pagato per promuovere prodotti specifici. Fin qui, la logica sembra chiara. Manca però un pezzo fondamentale: non è indicato un limite minimo di ricavi. Non si dice, per esempio, se basti un singolo contratto sporadico nel corso dell’anno, o se l’attività debba avere un certo peso nel reddito complessivo.

L’Autorità ha lasciato aperta una porta: dopo una prima fase di applicazione, i criteri potranno essere rivisti, anche introducendo un parametro legato ai ricavi. La recente creazione di un codice Ateco specifico per influencer e content creator potrebbe diventare la base fiscale su cui appoggiarsi. Ma al momento, nelle chat e nelle community, resta un senso diffuso di incertezza: chi ha un lavoro “tradizionale” e ogni tanto accetta una sponsorizzazione, che cosa deve fare?

Algoritmi, numeri gonfiati e la parola “virale”
Un altro punto sensibile è la scelta di usare il milione di visualizzazioni mensili come seconda soglia. Auroro Borealo, content creator e fondatore dell’agenzia di talent managing Talento, sintetizza il problema: con meno di 70 mila follower, anche lui potrebbe rientrare tra gli “influencer rilevanti”. Non perché sia una star di massa, ma perché oggi basta un video virale al mese, soprattutto su TikTok, per superare la soglia.

Il funzionamento degli algoritmi spinge contenuti anche di utenti quasi sconosciuti nella sezione “Per te”. E la metrica delle visualizzazioni, negli anni, si è dilatata: ogni riproduzione, anche di pochi istanti, viene conteggiata. Se la stessa persona guarda un video più volte, ogni visione è un’unità in più. Ne deriva una “inflazione del virale”: milioni di view che non sempre corrispondono a un reale impatto culturale, ma che, nero su bianco, possono far scattare l’obbligo di registrazione.

Un albo che è anche uno specchio del tempo
Il registro degli influencer, nato in un clima segnato dalle grandi vicende mediatiche del mondo social – Ferragni è solo il volto più riconoscibile di questa stagione – prova a mettere ordine in un settore cresciuto senza regole chiare. Nelle intenzioni, vuole tutelare utenti, marchi e minori, garantendo trasparenza sulle sponsorizzazioni e responsabilità sui contenuti.

Nella pratica, almeno per ora, ha aperto un fronte nuovo: creator medi che temono multe pensate per i big, soglie numeriche che non tengono pienamente conto degli algoritmi, definizioni di “rilevanza” che si sovrappongono alle logiche delle piattaforme. L’Agcom ha già annunciato che osserverà questa prima fase e valuterà correttivi. Nel frattempo, nel Paese in cui si discute di influencer come si discuteva un tempo di star del cinema, il passaggio dai like alle leggi è ufficialmente iniziato.

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