La vittima aveva 46 anni. L’uomo, arrestato dopo un inseguimento a piedi, era già noto alle forze dell’ordine. Sullo sfondo una storia di violenza, silenzi e mancata protezione
Un’altra donna uccisa. Un altro uomo che non si è fermato. Una storia di violenza che diventa tragedia. È accaduto a Foggia, dove una donna di 46 anni è stata trovata morta nella sua abitazione, colpita con ferocia. L’ex compagno è stato arrestato a Roma, dove si era nascosto dopo la fuga. Gli agenti lo hanno rintracciato e bloccato dopo un inseguimento a piedi nella zona di Trastevere. Ora si trova in stato di fermo con l’accusa di omicidio volontario aggravato.
Donna uccisa a Foggia, fermato l’ex compagno: era fuggito a Roma. Il femminicidio riaccende l’allarme
L’ennesimo femminicidio arriva in piena estate, mentre l’attenzione pubblica sembra abbassarsi e le istituzioni parlano di “emergenza strutturale”. Ma i numeri continuano a crescere. Solo da inizio anno, oltre 60 donne sono state uccise in Italia in contesti di violenza domestica. Questa volta, le forze dell’ordine avevano già avuto a che fare con l’uomo, già denunciato per minacce e maltrattamenti.
Un delitto annunciato? I vicini: “Liti frequenti, ma nessuno ha fatto nulla”
Nel quartiere dove la donna viveva sola da qualche mese, il silenzio è diventato pesante. I vicini parlano sottovoce: “Li sentivamo litigare spesso. Ma lei non voleva che si sapesse”. Non ci sono state denunce recenti, ma il profilo dell’uomo – ora interrogato dagli inquirenti – racconta una storia di possessività e rancore, culminata in un gesto estremo.
Gli investigatori cercano ora di capire cosa sia accaduto nelle ultime ore prima dell’omicidio. L’uomo sarebbe entrato in casa forzando una finestra, convinto – forse – di avere ancora il diritto di decidere per lei. Un copione già visto troppe volte. Il corpo della vittima è stato trovato dal fratello, che non riusciva a contattarla da giorni. Il dolore della famiglia è muto, rotto solo da una frase detta davanti alla stampa: “Non ci hanno ascoltati”.
La fuga e l’arresto a Roma: era già pronto a lasciare il paese
Dopo il delitto, l’uomo è salito su un treno per Roma, cercando rifugio in casa di un conoscente. Ma la sua fuga è durata poco. Le forze dell’ordine, grazie al tracciamento del telefono cellulare, sono riuscite a localizzarlo nella capitale e hanno predisposto un appostamento. Quando si è accorto della presenza della polizia ha tentato di fuggire a piedi, ma è stato bloccato e ammanettato. Con sé aveva una valigia, denaro in contanti e documenti: secondo gli investigatori, si preparava a lasciare l’Italia.
Al momento dell’arresto non ha opposto resistenza. Durante l’interrogatorio si è avvalso della facoltà di non rispondere. Gli inquirenti stanno ricostruendo la sua rete di contatti, per verificare se qualcuno lo abbia aiutato a nascondersi. La procura di Foggia ha chiesto la convalida del fermo e ha annunciato l’intenzione di procedere con rito immediato.
Un sistema che non riesce a proteggere: il peso della solitudine femminile
Ancora una volta, resta la domanda che accompagna ogni femminicidio: poteva essere evitato? La vittima aveva chiesto aiuto, ma non risultano misure cautelari attive. Non ci sono segnalazioni di un piano antiviolenza, né interventi recenti da parte dei servizi sociali. Forse, semplicemente, la paura aveva superato la possibilità di esporsi.
In Italia, ogni volta che una donna muore per mano di un uomo che ha amato, si ripropone il tema delle falle del sistema: protezione assente, lentezza delle misure giudiziarie, sfiducia nelle istituzioni. Non bastano le campagne di sensibilizzazione se poi mancano gli strumenti concreti per intervenire. Non basta indignarsi se non si ascoltano i segnali, se non si crea una rete efficace attorno alle vittime.
Il femminicidio come fatto sociale: non è un raptus, è potere
Le organizzazioni femministe locali sono già in mobilitazione. “Questo non è un raptus – ha dichiarato una rappresentante del centro antiviolenza di Foggia – è l’ennesima dimostrazione di quanto la violenza maschile contro le donne sia sistemica, strutturale. Non possiamo più accettare che si tratti come un fatto isolato. Le donne muoiono perché qualcuno crede di avere diritto sulla loro libertà”.
Nel pomeriggio è previsto un presidio in piazza per ricordare la vittima e per chiedere più fondi, più strutture, più protezione per le donne che denunciano o che non riescono a farlo. Intanto, il nome della 46enne – per ora non divulgato – si aggiunge a una lista che cresce nell’indifferenza. E che interroga, ogni giorno, una società che sembra incapace di difendere chi è più esposta, più vulnerabile, più sola.