Federico Solmi

- di: Nicola Davide Angerame
 

Si è imposto su nomi come William Kentridge, Gary Hill e Laurie Anderson, vincendo il Ben Main Prize alla Biennale B3 di Francoforte, dedicata alla videoarte. A dicembre L’Haifa Museum Of Art in Israele ha inaugurato una sua personale. La storica galleria Postmasters di New York ha appena chiuso la sua seconda personale, mentre a Napoli Dino Morra ospita The Great Dictator. Federico Solmi è il self made artist che, dopo aver vinto il John Simon Guggenheim Memorial Fellowship nel 2009, viene ora chiamato dalla Yale University per insegnare nel Dipartimento di Arte Visive, con cattedra dedicata al Filmmaking sperimentale.

Fai personali in Usa, Europa e Israele. Da quali idee nascono i tuoi nuovi lavori?
Come saprai, leggo molto. Per la mostra di Postmasters, intitolata The Brotherhood, mi hanno ispirato i libri di Oriana Fallaci, Intervista con il Potere e Conversazione con la Storia. Per la mostra da Morra a Napoli le fonti sono state Jared Diamond, autore de Il terzo scimpanzé. Ascesa e caduta del primate Homo sapiens, Il Grande Dittatore di Chaplin. Negli ultimi due anni la mia ricerca è giunta a una fase di piena maturità e credo che le mostre di New York e Napoli lo dimostrino.

Sei un artista “troublemaker” e la critica Roberta Smith del New York Times ti ha indicato come un graffiante autodidatta.
La mostra di New York ha avuto un ottimo successo di critica. Il nickname “troublemaker” non è gratuito. In effetti, ho sempre preferito un linguaggio molto diretto e poco diplomatico: anti-accademico.

Sin dagli esordi, a partire dal video Rocco Never Dies (2005), la tua ricerca è stata coerente, quasi solitaria.
Sono poco attratto dai trend, ho puntato sullo sviluppo di un linguaggio originale, che mi distinguesse dagli artisti della mia generazione. New York mi ha dato le opportunità di cui avevo bisogno.

Come fa un anti-accademico a diventare docente alla Yale University?
L’incarico è giunto a sorpresa, non ho partecipato ad alcun concorso o open call. Avevo tenuto una serie di conferenze sul mio lavoro, dopo di che ho ricevuto la proposta d’insegnare. Ho accettato con entusiasmo, mi piace che sia una classe sperimentale.

Negli ultimi due anni il tuo cammino pare “a ritroso”. Sei partito dalla videoarte per andare verso gli attuali “video painting”, una formula da te creata capace di innestare l’immagine in movimento dentro la cornice rassicurante di un quadro. Perché lo hai fatto e cosa cercavi?
Il lavoro degli ultimi due anni rappresenta la mia incessante necessità di reinventarmi, di mettermi costantemente in gioco e di correre rischi. L’idea dei video painting nasce dalla mia determinazione di creare opere originali, uniche nel loro genere, unendo tecniche tradizionali e innovazione tecnologica.

Il tuo ultimo lavoro ritrae e prende di mira tiranni, dittatori, condottieri, esploratori: personaggi che hanno cambiato il mondo. Come pensi sarebbe oggi la nostra società se questi non fossero mai esistiti?
Credo che l’uomo abbia più possibilità di vivere una vita dignitosa nelle grandi metropoli odierne che 30mila anni fa nelle grotte. Detto questo, la mia critica non è rivolta verso le grandi azioni di uomini del passato o a noi contemporanei. Le mie accuse sono rivolte contro dittatori, governi e istituzioni che hanno falsificato e strumentalizzato, con la stupidità delle loro azioni, proprio le grandi imprese dell’umanità.

Vivi a New York da oltre quindici anni e in Chinese Democracy l’hai immaginata invasa dall’esercito cinese. Come giudichi i cambiamenti avvenuti?
L’impronta di De Blasio è ancora flebile, bisognerà aspettare. Nell’ultimo decennio la città è diventata incredibilmente costosa, a causa di enormi flussi di capitali provenienti dai rappresentati delle élite economiche di Paesi come Cina, India e Russia. Ciò ha avuto conseguenze pesanti sul sistema dell’arte, che è diventato completamente dipendente dalle dinamiche di mercato.

Il tuo lavoro di critica al sistema si basa su letture e riflessioni, ma anche su quanto riportano i mass media. Come hai vissuto gli Stati Uniti di Bush e di Obama?
Al contrario di New York, gli Stati Uniti non mi sembrano cambiati. Guardo i dibattiti politici e mi pare che nel partito repubblicano, da Jebb Bush a Donald Trump, non abbiano nulla di nuovo da offrire. Ma c’è una nota positiva, e lo dico ironicamente, adesso i dibattiti sono più divertenti: le dichiarazioni di Trump fanno più ridere di un Letterman Show.

È quello che hai chiamato American Circus, titolo della mostra a Haifa.
Nasce da un’opera del 2014 in cui ritraggo dei potenziali candidati alle presidenziali. Era nata come opera satirica ma è diventata piuttosto tetra, forse perché evoca l’ambiguità del sistema politico americano.

Una di queste candidate era Hillary Clinton, che ha dichiarato come l’Isis sia un prodotto della politica Usa in Afghanistan durante l’occupazione sovietica.
L’Isis è nato in Medio Oriente durante l’invasione militare americana dell’Iraq e dell’Afghanistan dopo l’11 settembre, un’invasione ingiusta fondata sulle falsità prodotte dalla Cia. Hillary Clinton, democratica e liberale, votò a favore dell’invasione.

La tua poetica sembra sottesa dalla convinzione che il potere, per sua natura, corrompa.
I sistemi politici odierni, quello americano come quello italiano, non permettono al politico di coltivare visioni a lungo termine. La corruzione sta lì: ci si preoccupa soltanto di come essere rieletti. È venuta a mancare la figura dello statista, ormai in via di estinzione.

La tua condizione è particolare: da una parte ami la Grande Mela in quanto terra delle opportunità, dall’altra vivi gli Usa come un circo corrotto, una nazione eticamente allo sbando. La tua storia da “sogno americano” si scontra con la savonarolesca tenacia con cui ti abbatti sulle figure della storia passata e dell’attualità americana.
È vero, non potrei mai lasciare New York, mi ci sento a casa. Perfino i suoi difetti sono diventati fonte d’ispirazione per me. Non so se gli Stati Uniti sono davvero allo sbando, ma se lo sono, nei prossimi anni non mi mancheranno le fonti d’ispirazione.

www.federicosolmi.com

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