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Caraibi in fiamme: Marines, raid e ombre su Caracas

- di: Bruno Coletta
 
Caraibi in fiamme: Marines, raid e ombre su Caracas
Caribi in fiamme: Marines, raid e ombre su Caracas
Esercitazioni anfibie a Porto Rico, base storica in rimessa, ondata di attacchi contro presunti narcos e una raffica di avvertimenti incrociati. I Caraibi tornano baricentro della tensione: tra diritto, propaganda e rischio di errore di calcolo.

(Foto: il presidente venezuelano Maduro).

Nei Caraibi la temperatura geopolitica è tornata a salire. Unità dei Marines addestrate allo sbarco a Porto Rico, riattivazione di infrastrutture militari prossime al Venezuela, serie di raid letali in mare contro imbarcazioni ritenute al servizio dei cartelli: tasselli di un mosaico che spinge Washington e Caracas su traiettorie di collisione, mentre da Mosca arrivano messaggi duri e allusivi.

Prove di sbarco e il ritorno di Roosevelt Roads

Le immagini circolate in rete mostrano mezzi anfibi che depositano truppe e veicoli sulle spiagge di Porto Rico, elicotteri in volo tattico e procedure di infiltrazione eseguite a ritmo serrato. L’addestramento è la parola chiave, ma il contesto lo rende ben più di un semplice ciclo di esercitazioni: a pochi giorni di distanza, l’ex base navale di Roosevelt Roads — chiusa nel 2004 — è al centro di lavori di ripristino su raccordi e pista, mentre aeroporti civili nell’arcipelago e a Saint Croix vengono adeguati per una capacità operativa ampliata. Geografia alla mano, meno di 800 chilometri separano questi scali dal territorio venezuelano.

Il segnale è chiaro: logistica, proiezione e prontezza. Un ex ufficiale con esperienza caraibica sintetizza così il messaggio: “Nessuno costruisce una rampa se non intende farci salire qualcosa”, ha detto, sottolineando come la profondità operativa e la ridondanza degli scali siano la vera assicurazione in scenari fluidi.

I raid in mare e la nuova dottrina contro i “narco-nemici”

Dall’inizio di settembre una serie di attacchi mirati ha colpito imbarcazioni ritenute legate ai traffici di droga tra Caraibi ed Est Pacifico. Il bilancio delle vittime è elevato e in rapida crescita. Per l’amministrazione statunitense si tratterebbe di un “conflitto armato non internazionale” contro gruppi qualificati come narcoterroristi; un inquadramento che, nelle intenzioni dei proponenti, sposta l’asticella legale e autorizza l’uso della forza letale anche in assenza di minacce imminenti ai militari americani.

La scelta lessicale non è neutra. Inquadrare i cartelli come “combattenti illeciti” non solo abbassa la soglia d’impiego, ma mette sul tavolo la possibilità — evocata a più riprese — che l’operazione si spinga oltre le acque internazionali, fino a colpire su territorio venezuelano obiettivi ritenuti funzionali alla filiera del narcotraffico. Un salto qualitativo che moltiplica i rischi.

Il nodo giuridico: War Powers, ostilità e supervisione del Congresso

La partita si gioca anche sul piano del diritto costituzionale americano. L’interpretazione restrittiva del concetto di “ostilità” — secondo cui i raid non ricadrebbero nel perimetro della War Powers Resolution del 1973 perché non espongono a rischio diretto i militari USA — ha acceso lo scontro tra amministrazione e Capitol Hill. Commissioni parlamentari chiedono trasparenza su pareri legali e regole d’ingaggio; giuristi e militari in servizio o in congedo avvertono che diluire i controlli significa aprire una falla sistemica nel bilanciamento dei poteri.

Un senatore ha sintetizzato il pericolo con parole nette: “Se chi decide la guerra può ridefinire a piacere cos’è una guerra, la Costituzione smette di fare il suo mestiere”, ha dichiarato, invocando un voto che chiarisca mandati e limiti.

Caracas sotto pressione, Mosca in regia laterale

Mentre i sorvoli di caccia e la presenza navale USA si intensificano, dal lato venezuelano si moltiplicano richieste di supporto militare a partner extra-regionali: sistemi radar, parti aeronautiche, droni a lungo raggio e difese missilistiche figurano nelle wishlist recapitate alle cancellerie amiche. Mosca, dal canto suo, condanna l’“uso eccessivo della forza” nei Caraibi e ribadisce il sostegno alla leadership venezuelana.

Il linguaggio scelto dal ministero degli Esteri russo non lascia equivoci. “Condanniamo fermamente l’impiego sproporzionato della forza nelle operazioni antidroga e riaffermiamo il nostro sostegno alla sovranità del Venezuela”, ha scandito la portavoce, inquadrando la campagna statunitense come violazione del diritto internazionale e del diritto interno USA. È un avvertimento politico che, tradotto in termini militari, significa: attenzione all’escalation.

Perché i Caraibi contano (ancora)

Al netto delle dichiarazioni, la mappa spiega molto: rotte marittime, snodi energetici, linee di comunicazione che dal Golfo si allungano all’Atlantico, e l’ombra lunga di una crisi umanitaria se la spirale dovesse accelerare. Ogni strike in mare apre tre interrogativi: intelligence (quanto è solido il quadro probatorio?), proporzionalità (quanto è legittimo l’uso della forza letale senza minaccia imminente?) e efficacia (colpire le barche riduce davvero l’offerta o sposta semplicemente i flussi?).

La sostanza è che la militarizzazione della lotta alla droga torna a essere il paradigma dominante. Ma ogni paradigma porta con sé costi collaterali: rischio di vittime civili non contabilizzate, contese giurisdizionali tra acque internazionali e ZEE, incidenti con marine regionali chiamate a operazioni SAR dopo gli attacchi.

Il rischio dell’errore di calcolo

Gli indicatori di rischio sono tutti attivi. Più asset, più scali operativi, più missioni cinetiche significano più attriti. Un singolo evento — un natante colpito con cittadini di Paesi terzi, un velivolo che sconfinasse, un mayday ignorato — basterebbe per trasformare il teatro in una crisi regionale. Le capitali caraibiche osservano con inquietudine: chiedono prove pubbliche sulle accuse di narcotraffico e meccanismi di de-escalation prima che la politica finisca ostaggio dei video virali.

Cosa guardare nelle prossime ore

  • Tracciato legale: se emergeranno integralmente i pareri che sostengono il quadro di “conflitto armato non internazionale”.
  • Linea di Caracas: se dalle richieste di assistenza si passerà a nuovi sistemi sul terreno, cambiando la postura difensiva.
  • Movimenti a Roosevelt Roads: quali capacità verranno riattivate per sostenere operazioni prolungate.
  • Ruolo dei partner regionali: come si muoveranno Colombia, Messico e isole caraibiche tra cooperazione e cautela.

Una corsa su binari paralleli

Tra dottrina, hardware e politica interna, la partita caraibica corre su binari paralleli. Una strategia che punta alla pressione massima può funzionare sul breve periodo, ma senza pista diplomatica e trasparenza legale rischia di trasformarsi in un boomerang strategico. Il tempo, qui, vale doppio: più si corre, più serve frenare al momento giusto.

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