La risoluzione storica che affida a Washington la regia del dopoguerra a Gaza.
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha dato via libera alla risoluzione 2803, un testo di matrice statunitense che incardina nel diritto internazionale il
piano per il dopoguerra a Gaza sponsorizzato da Donald Trump. Al centro del dispositivo c’è il nuovo “Board of peace”, un organismo di transizione
che avrà il compito di dirigere la ricostruzione dell’enclave palestinese e che sarà guidato dallo stesso presidente americano, affiancato da una selezione di leader globali.
La risoluzione, approvata il 17 novembre 2025 con 13 voti favorevoli e due astensioni, Cina e Russia, definisce un quadro in tre fasi:
consolidamento del cessate il fuoco, dispiegamento di una forza internazionale di stabilizzazione e avvio di un processo politico che dovrebbe sfociare in una
soluzione a due Stati. Il testo è stato negoziato per settimane nelle stanze di New York e porta il sigillo del Consiglio come Risoluzione 2803.
Il trionfo social di Trump e i ringraziamenti a mezzo mondo
Trump ha reagito in tempo reale, come da copione, scegliendo il suo social di riferimento. In un messaggio su Truth Social, il presidente ha definito il voto del Consiglio di
sicurezza un momento di portata storica e ha esaltato la creazione del Board of peace, che lo vede al vertice.
“Congratulazioni al mondo per l’incredibile voto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che riconosce e approva il Board of peace, che avrò l’onore di presiedere insieme ad alcuni dei leader più influenti e rispettati del pianeta”, ha scritto Trump, presentando l’organismo come uno strumento destinato a “portare più pace in tutto il mondo”, una frase che riecheggia il messaggio diffuso dalla Casa Bianca e ripreso dai media statunitensi il 18 novembre 2025.
Nel suo messaggio il presidente americano ha stilato una lunga lista di Paesi ringraziati, a partire dai membri del Consiglio di sicurezza che hanno votato a favore
del testo, ma allargando il campo a un ventaglio di alleati chiave nel mondo arabo e musulmano. Tra i destinatari dei ringraziamenti compaiono Cina, Russia, Francia,
Regno Unito e gli altri membri attuali del Consiglio, insieme a Paesi come Qatar, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Indonesia, Turchia e Giordania,
tutti coinvolti a vario titolo nella diplomazia degli ultimi mesi.
Trump ha preannunciato che la composizione del Board of peace e altri annunci “entusiasmanti” sul nuovo assetto per Gaza verranno resi noti nelle prossime settimane,
lasciando volutamente nel vago il perimetro reale del potere di questo organismo e il bilanciamento tra rappresentanza occidentale, regionale e palestinese.
Cosa prevede la risoluzione 2803: Board di transizione e forza di stabilizzazione
Al di là dell’enfasi comunicativa della Casa Bianca, il cuore della risoluzione 2803 è molto concreto. Il testo, descritto da varie testate internazionali, istituisce il
Board of peace come amministrazione di transizione per Gaza, con il mandato di coordinare sicurezza, ricostruzione e governance civile
dell’enclave per un periodo iniziale di due anni, prorogabile previa nuova decisione del Consiglio di sicurezza.
Il Board viene affiancato da una International Stabilization Force (ISF), una forza multinazionale incaricata di garantire il cessate il fuoco, proteggere i
civili, assicurare l’accesso degli aiuti umanitari e supervisionare il disarmo dei gruppi armati non statali. Secondo la sintesi diffusa da fonti Onu e dagli Stati
Uniti, i contingenti militari dovrebbero provenire in prevalenza da Stati a maggioranza musulmana disposti a partecipare, in coordinamento stretto con Egitto e Israele,
ma senza presenza di truppe israeliane dentro Gaza.
Il testo della risoluzione collega inoltre il ritiro progressivo dell’esercito israeliano ad alcune “pietre miliari”: distruzione delle capacità militari di Hamas,
consolidamento della sicurezza interna e avvio di una nuova amministrazione civile “tecnocratica” di impronta palestinese, da costruire però sotto la supervisione del Board of peace.
La posizione dell’Onu: consolidare il cessate il fuoco e passare alla fase 2
Mentre Trump rivendicava il successo diplomatico, dalle Nazioni Unite arrivava una lettura più prudente. Il segretario generale Antonio Guterres ha accolto
con favore l’adozione della risoluzione, definendola un passo importante nel consolidamento del cessate il fuoco in vigore tra Israele e Hamas in seguito
all’intesa raggiunta in ottobre.
“È ora essenziale trasformare lo slancio diplomatico in misure concrete e urgenti sul terreno”, ha dichiarato il portavoce Stéphane Dujarric, dando voce
alla linea del Palazzo di Vetro. Il segretario generale, ha ricordato Dujarric, insiste sulla necessità di passare rapidamente alla fase 2 del piano statunitense,
quella che dovrebbe introdurre un vero processo politico con l’obiettivo dichiarato di arrivare alla soluzione a due Stati.
L’Onu si dice pronta a svolgere il ruolo affidatole dal testo: aumentare la capacità umanitaria dentro Gaza, monitorare l’attuazione delle clausole più delicate e accompagnare
i passi verso un quadro politico credibile. Ma dalle parole di Dujarric trapela anche un monito implicito: senza progressi sul terreno, la risoluzione rischia di rimanere un
esercizio di diplomazia formale.
Le reazioni palestinesi: tra rifiuto di Hamas e apertura dell’Autorità nazionale
Sul fronte palestinese, le reazioni sono apparse subito sfaccettate. Hamas, che controllava di fatto Gaza prima della guerra, ha respinto la
risoluzione definendola una forma di “tutela internazionale” sull’enclave e criticando il mandato affidato al Board of peace e alla forza di stabilizzazione.
In un comunicato diffuso alla stampa, il movimento islamista ha sostenuto che il testo impone a Gaza una sorta di “amministrazione dall’alto” non concordata con la popolazione
e ha ribadito che il movimento e le altre fazioni palestinesi rifiutano qualsiasi meccanismo percepito come protettorato esterno.
Di segno diverso la posizione dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), che ha visto nella risoluzione un possibile spiraglio per rientrare in gioco.
L’Anp ha fatto sapere di essere pronta a lavorare con Usa, Onu, Unione europea, Paesi arabi e musulmani per l’attuazione del testo, a condizione che il percorso
sfoci in una vera prospettiva di Stato palestinese riconosciuto.
“Il nostro popolo ha diritto a un futuro libero dall’occupazione e da ogni forma di assedio. Sosterremo qualunque iniziativa che porti a uno Stato palestinese indipendente
e sostenibile, con Gerusalemme Est come capitale”, hanno sintetizzato fonti vicine alla leadership di Ramallah, cercando di incassare in chiave politica i riferimenti alla
autodeterminazione palestinese contenuti nel testo.
I dubbi di Cina e Russia e l’accusa di “mandato coloniale”
La risoluzione è passata anche grazie al fatto che Cina e Russia si sono astenute, senza arrivare al veto. Ma da Pechino e Mosca sono arrivate parole tutt’altro che
entusiastiche. Entrambe le potenze hanno espresso preoccupazione per la vaghezza del mandato del Board of peace e per il rischio che l’operazione si traduca
in un eccesso di controllo statunitense sul futuro di Gaza.
Nel dibattito che ha preceduto il voto i rappresentanti dei due Paesi hanno evocato il pericolo di un “nuovo protettorato” e hanno criticato l’assenza di garanzie più
stringenti sul ruolo diretto delle Nazioni Unite nella governance dell’enclave. Diverse voci del Sud globale, dai Paesi non allineati al blocco arabo, hanno parlato apertamente
del rischio di un mandato percepito come coloniale, anche se molti governi della regione hanno poi scelto di non ostacolare il testo per non scontrarsi
frontalmente con Washington.
Gli Stati Uniti rivendicano la regia e promettono un percorso verso i due Stati
Da parte americana, il messaggio è opposto. Nell’“explanation of vote” pronunciata al Consiglio di sicurezza, l’ambasciatore statunitense ha definito il Board of peace
“la pietra angolare” del piano per Gaza, sottolineando che l’obiettivo dichiarato resta quello di aprire una strada credibile alla statualità palestinese, pur legata
a condizioni stringenti: riforme dell’Autorità nazionale, consolidamento della sicurezza e successo del programma di ricostruzione.
Secondo Washington, la nuova architettura approvata a New York dovrebbe permettere di superare lo schema attuale, segnato da blocco politico, cicli di guerra ricorrenti e
frammentazione del fronte palestinese. L’idea è che il Board of peace e la forza di stabilizzazione agiscano come “ponte” verso un’amministrazione civile stabile
e un processo negoziale strutturato.
Gaza sul terreno: tra attesa, macerie e timori per la presenza straniera
Se nelle stanze del Palazzo di Vetro regna il linguaggio delle risoluzioni, sul terreno la situazione resta drammatica. Gran parte di Gaza è ancora un paesaggio di
macerie, la crisi umanitaria rimane severa e la prospettiva di vedere truppe straniere dispiegate nell’enclave suscita sentimenti contrastanti tra la popolazione:
da un lato la speranza di maggiore sicurezza, dall’altro la paura di una nuova forma di occupazione.
Il successo del piano dipenderà da fattori tutt’altro che scontati: l’effettivo impegno degli Stati disposti a contribuire alla forza di stabilizzazione, il coordinamento
con Israele e con l’Egitto, la capacità di integrare – o almeno neutralizzare – le fazioni palestinesi più ostili e la credibilità di un percorso politico che non si limiti
a una gestione tecnica dell’emergenza.
L’Europa e la sfida di non restare spettatrice
Sullo sfondo, l’Unione europea è chiamata a uscire dal ruolo di comprimaria. Molte capitali europee si sono dette favorevoli a un maggiore coinvolgimento nel
sostegno alla ricostruzione di Gaza e nell’accompagnare il percorso verso uno Stato palestinese, ma finora l’iniziativa politica è rimasta nelle mani di Washington.
Per l’Europa, la risoluzione 2803 può rappresentare un bivio: limitarsi a finanziare la ricostruzione oppure tentare di incidere sul disegno politico, spingendo perché
il riferimento alla soluzione a due Stati diventi qualcosa di più di una formula rituale. Molto dipenderà anche da come, nei prossimi mesi, il Board of peace
sarà effettivamente composto e se nella sua architettura troveranno spazio non solo gli alleati più stretti degli Stati Uniti, ma anche attori regionali, partner europei
e rappresentanti credibili della società palestinese.
Per ora, la certezza è una sola: con il voto del Consiglio di sicurezza e la nascita del Board of peace, il futuro di Gaza entra ufficialmente in una nuova fase,
in cui la diplomazia americana punta a trasformare un cessate il fuoco fragile in un percorso politico di lungo periodo. Se sarà davvero l’“approvazione più grande
nella storia delle Nazioni Unite”, come promette Trump, lo diranno i prossimi anni – e soprattutto la vita quotidiana dei palestinesi e degli israeliani coinvolti.