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Elly Schlein e il paradosso delle buone intenzioni

- di: Bruno Chiavazzo, giornalista e scrittore
 
Elly Schlein e il paradosso delle buone intenzioni
Elly Schlein e il paradosso delle buone intenzioni

Quando la strategia politica si ritorce contro chi la mette in campo: l’eterogenesi dei fini in versione dem.


Elly Schlein o dell’eterogenesi dei fini.
L’eterogenesi dei fini è un concetto filosofico che descrive come le azioni umane, compiute con intenzioni individuali (spesso egoistiche o limitate), portino a conseguenze e risultati collettivi diversi e spesso inattesi, a volte addirittura opposti a quelli desiderati. Un concetto che ben si attaglia alle scelte politiche che la segretaria del Pd, Elly Schlein, ha inanellato negli ultimi tempi.

Dal sostegno alle manifestazioni pro-Pal, culminate negli assalti alla stazione di Milano fino alla devastazione della sede de La Stampa di Torino. Poi pensava di fregare Giorgia Meloni proponendole un confronto “vis à vis” ad Atreju, ma è finita con un clamoroso autogol quando la Meloni si è dichiarata d’accordo, a patto che ci fosse anche Conte in rappresentanza del cosiddetto “campo largo”. È finita con la Schlein e Conte che si sono presi a male parole, dimostrando che il campo largo è solo una pia intenzione della segretaria dem, convinta che sarà la futura presidente del Consiglio nel caso in cui la Meloni perdesse le prossime elezioni.

Dulcis in fundo, la polemica interna al Partito Democratico a seguito della proposta del senatore Delrio di punire per legge ogni critica radicale allo Stato d’Israele in quanto manifesto antisemitismo. Esattamente la proposta sostenuta e votata dalla Schlein nel 2017, quando si schierò a favore della risoluzione europea “Lotta all’antisemitismo”, con cui si invitavano gli Stati membri ad applicare la definizione di antisemitismo proposta dall’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance). Cosa indigesta dopo aver schierato il partito, senza se e senza ma, a supporto dei pro-Pal e delle farneticazioni pro-Hamas di Francesca Albanese.

Tutto questo mentre ad Atreju un lungo applauso e una standing ovation salutavano la prima testimonianza pubblica di Rom Braslavsky, il 22enne israeliano rapito da Hamas il 7 ottobre e rilasciato dopo 738 giorni di prigionia e torture nei tunnel di Rafah. Rom ha parlato dal palco in ebraico, accompagnato da una traduttrice: una cosa mai vista a quelle latitudini, ma che dà il senso del percorso innestato dalla Meloni in quello che fu il Movimento Sociale.

Insomma, la Schlein non ne azzecca una.
La sua unica preoccupazione sembra quella che aveva Berlinguer agli inizi degli “anni di piombo”: nessun nemico a sinistra. Poi abbiamo visto com’è andata a finire. E così la Schlein si barcamena tra buone intenzioni e conseguenze inattese: l’eterogenesi dei fini, appunto.

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