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Regionali, il dopo. Meloni guarda al referendum e al 2027: sul tavolo la legge elettorale

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Regionali, il dopo. Meloni guarda al referendum e al 2027: sul tavolo la legge elettorale

Il segnale arriva chiaro nelle ore successive al voto in Veneto, Campania e Puglia: Giorgia Meloni non intende restare schiacciata sulla lettura, pur politicamente pesante, dell’esito delle Regionali. Il suo sguardo si proietta oltre, verso i due tornanti istituzionali che accompagneranno il governo nei mesi a venire: il referendum sulla giustizia, ormai entrato nella fase decisiva, e le Politiche del 2027.

Regionali, il dopo. Meloni guarda al referendum e al 2027

È in questo quadro che torna a circolare, con insistenza crescente, il dossier sulla legge elettorale. Un tema che da mesi gira tra le stanze di Palazzo Chigi e delle segreterie della maggioranza, ma che ora sembra affacciarsi con più concretezza, complice anche la pressione interna di Forza Italia, favorevole a un modello proporzionale con premio di maggioranza per evitare ingovernabilità e frammentazioni.

L’astensione come fattore strutturale del sistema politico

Il cuore della preoccupazione della premier resta il dato dell’affluenza. Un fenomeno non più episodico, ma diventato elemento costante dell’ingranaggio democratico. L’astensionismo avanza come una frana lenta: elezione dopo elezione amplia la sua superficie, rendendo sempre più difficile interpretare il Paese reale e costruire maggioranze solide. In questo scenario, la discussione sulla legge elettorale assume un significato ulteriore: non solo definire la rappresentanza, ma immaginare un meccanismo capace di reggere l’onda lunga della disaffezione, garantendo stabilità anche nel caso di una partecipazione ridotta ai minimi storici.

Il Veneto e la variabile Zaia che pesa sulla Lega

La vittoria ampia di Stefani non scalfisce il dominio personale di Luca Zaia, ancora una volta mattatore assoluto con un fiume di preferenze. Il governatore, forte del suo radicamento territoriale, torna a evocare il tema della “doppia Lega”, la suggestione di un modello alla tedesca — Csu e Cdu — che da anni riemerge e ricade nei momenti cruciali. Una proposta che il Carroccio ufficiale fatica a gestire: da un lato, la leadership nazionale; dall’altro, il peso politico e simbolico di un Veneto che continua a parlare un linguaggio autonomo, più moderato e identitario, difficilmente sovrapponibile alla linea federale.

Schlein prova a ricompattare il campo largo
Sul fronte del centrosinistra, Elly Schlein non perde tempo. A elezioni ancora calde, chiama a raccolta gli alleati del campo largo e mette sul tavolo l’ipotesi — ancora allo stato di suggestione — di primarie per definire la leadership in vista del 2027. Un modo per tenere insieme un’area politica che vive di spinte diverse e stagioni sovrapposte. In Campania, il Pd torna primo partito, un segnale che la segretaria intende capitalizzare: prova che, almeno nel Mezzogiorno, la proposta democratica mantiene una forza radicata.

La Puglia tra trionfo di Decaro ed esclusione di Vendola
Ma è la Puglia a consegnare il dato più clamoroso. Antonio Decaro supera il milione di voti, consolidando un profilo ormai nazionale e rimescolando gerarchie e ambizioni dentro il campo progressista. All’opposto, la mancata elezione di Nichi Vendola segna simbolicamente il tramonto di una stagione politica che aveva fatto della regione un laboratorio. In controluce, un dettaglio tutt’altro che secondario: i due nuovi governatori del centrosinistra al Sud hanno raccolto anche una quota significativa di voti provenienti dal centrodestra, segno di un elettorato mobile, capace di valutare i profili prima che le appartenenze.

Il nuovo fronte dello scontro politico
La prospettiva di una riforma elettorale scatena la reazione immediata della segretaria dem: «Meloni ha paura». Una frase che rimbalza in tutte le direzioni e che la maggioranza legge come l’inizio di una campagna politica a lunga durata. Perché la partita del 2027, di fatto, comincia adesso: con i nuovi equilibri regionali, con un Paese sempre più refrattario alle urne, con due leader che si osservano da lontano ma preparano già il terreno dello scontro. Il dopo elezioni regionali, più che una coda, è dunque il vero inizio della contesa nazionale che accompagnerà l’Italia per i prossimi anni.

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