Dalla Norvegia alla California, i grandi fondi si schierano sull’ops. A Siena il 52% del capitale è già pronto a dire sì. Obiettivo finale: contare anche in Generali.
Il risiko finanziario italiano entra nel vivo. A pochi giorni dall’assemblea del 17 aprile che deciderà le sorti dell’offerta pubblica di scambio (ops) di Mps su Mediobanca, il fronte dei favorevoli all’aumento di capitale si consolida e prende quota. Ai pesi massimi italiani si aggiungono ora investitori internazionali del calibro di Norges Bank e Pimco, mentre sullo sfondo si muovono pedine pesanti come Caltagirone, Delfin e perfino il fondo pensioni dei docenti californiani.
Il segnale è chiaro: Siena non solo fa sul serio, ma potrebbe farcela. Con un capitale già schierato a favore che supera il 43% e che potrebbe arrivare al 52%, la banca guidata da Luigi Lovaglio (foto) si avvicina pericolosamente alla soglia dei due terzi del capitale presente richiesto per il via libera.
Chi c’è e chi manca
Nel fronte del sì spiccano nomi come Caltagirone, che ha aumentato la sua partecipazione in Mps ben oltre il 9%, allineandosi al 9,8% di Delfin, la holding degli eredi Del Vecchio. Obiettivo non detto ma evidente: contare di più anche in Generali, dove Mediobanca possiede il 13,1%. L’alleanza con Siena sarebbe dunque un passo strategico per spostare gli equilibri in campo assicurativo, in vista della torrida assemblea di Generali del 24 aprile.
A sorpresa, si schierano con l’operazione anche attori stranieri solitamente cauti. Norges Bank (2,6%), il fondo sovrano norvegese, ha fatto sapere che voterà a favore, come già comunicato da Pimco (1,5%) e Algebris (1%). Si è aggiunto anche Calstrs, il fondo pensione degli insegnanti della California, pur con una quota simbolica (0,09%).
Sul fronte opposto si colloca invece Cpp Investments, fondo canadese che ha praticamente azzerato la sua presenza in Mps (dallo 0,7% allo 0,01%) e ha annunciato il suo no, affiancandosi a una schiera di fondi minori americani (tra cui New York City Controller, Sba Florida, Calvert).
Il ruolo (decisivo) di Banco Bpm
Gli occhi ora sono puntati su Banco Bpm (5%) e Anima Holding (4%), la cui adesione potrebbe fare la differenza. Martedì 15 aprile il board di Banco Bpm affronterà il tema: se Giuseppe Castagna deciderà di appoggiare Lovaglio, il terzo polo bancario italiano sarà realtà.
In questo scenario si inserisce anche Credit Agricole, oggi primo socio di Banco Bpm, che osserva con attenzione.
Proxy divisi, tensione alle stelle
A complicare il quadro, la spaccatura tra i proxy advisor: Iss ha suggerito ai soci di bocciare l’aumento, mentre Glass Lewis ha raccomandato di votare a favore. Un segnale della complessità dell’operazione: da un lato Mps, che cerca sbocchi per rafforzarsi come banca commerciale in un contesto difficile (tra dazi e tassi in calo), dall’altro Mediobanca, più solida e meno entusiasta di farsi inglobare.
“L’ops rappresenta una straordinaria opportunità per Siena e per tutto il sistema bancario italiano”, ha ribadito Lovaglio. Di diverso avviso Alberto Nagel, ceo di Mediobanca, che teme “un’operazione con scarsi benefici industriali”.
Il nodo Generali
Il punto d’approdo vero, però, si chiama Trieste. La partita su Generali è il vero banco di prova del nuovo assetto: tre liste si contendono il cda, quella di Mediobanca, quella di Caltagirone e quella di Assogestioni. Con i nuovi equilibri in Mps e in Mediobanca, l'asse Caltagirone-Siena potrebbe rovesciare i giochi e far saltare la storica centralità di Piazzetta Cuccia nel Leone triestino.
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Possibile lo scacco matto
Se Banco Bpm entrerà nella partita, il risiko bancario italiano avrà il suo scacco matto. E Lovaglio, da banchiere di sistema, potrebbe ritrovarsi re di cuori in un gioco dove la posta è molto più alta di un semplice aumento di capitale.