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Inflazione giù, ma la spesa resta cara: cosa succede ai prezzi

- di: Matteo Borrelli
 
Inflazione giù, ma la spesa resta cara: cosa succede ai prezzi
Inflazione giù, ma la spesa resta cara: cosa succede ai prezzi
Energia in retromarcia, cibo e servizi no: così l’1,2% nasconde ancora conti pesanti per le famiglie italiane.

Inflazione ai minimi, ma il carrello non respira

Ufficialmente l’inflazione italiana a ottobre 2025 scende all’1,2%, in netto rallentamento rispetto all’1,6% registrato a settembre. I dati diffusi dall’istituto di statistica nazionale confermano il calo dell’indice Nic, con una variazione mensile del -0,3% e un’inflazione acquisita per il 2025 pari all’1,6%.

Sulla carta è una buona notizia: l’Italia si colloca ben sotto la media dell’eurozona, dove, secondo le stime di Eurostat, l’inflazione di ottobre è attesa al 2,1%, in leggero calo dal 2,2% di settembre.

Eppure, quando si passa dalla statistica allo scontrino, il quadro cambia. Il cosiddetto “carrello della spesa” – cioè l’insieme di alimentari, prodotti per la casa e cura della persona – corre ancora più dell’indice generale: i prezzi di questa voce segnano un aumento annuo intorno al 2,1%, mentre i prodotti alimentari e le bevande analcoliche crescono di circa 2,5%.

Energia regolamentata in picchiata, l’effetto che trucca la media

A trascinare verso il basso l’inflazione non sono i beni di prima necessità, ma l’energia. I prezzi degli energetici regolamentati – quelli legati alle tariffe del mercato tutelato – passano in un solo mese da un impressionante +13,9% tendenziale a un -0,5%.

È il crollo di queste voci a comprimere la media generale, insieme al netto rallentamento degli alimentari non lavorati (frutta, verdura fresca, alcuni prodotti agricoli), che passano da un robusto +4,8% a un più moderato +1,9%.

Il punto è che il mercato tutelato dell’energia riguarda oggi una platea relativamente limitata, composta soprattutto da nuclei considerati “vulnerabili” (anziani, famiglie in difficoltà, utenti che non hanno ancora scelto un fornitore nel mercato libero). Il risultato è un paradosso: una parte ristretta di famiglie beneficia direttamente del calo delle tariffe regolamentate, ma l’abbassamento dell’inflazione media viene “contabilizzato” per tutti.

Non stupisce, quindi, che diverse associazioni dei consumatori tornino a chiedere di rivedere il paniere dell’indice Istat, attribuendo un peso maggiore alle spese ricorrenti e irrinunciabili – alimentari, affitti, servizi essenziali – per avvicinare l’inflazione percepita a quella misurata.

Inflazione di fondo, il termometro che non va sottovalutato

Se si escludono gli energetici e gli alimentari freschi, la cosiddetta inflazione di fondo resta più alta dell’indice generale: a ottobre si attesta intorno all’1,9%, solo in lieve rallentamento rispetto al mese precedente e ben sopra l’1,2% complessivo.

È un segnale chiaro: la pressione sui prezzi “core” non è sparita. Voci come servizi sanitari, spese per la salute, ristorazione e servizi ricettivi continuano a registrare incrementi superiori alla media, erodendo il potere d’acquisto soprattutto delle fasce di reddito medio-basse.

In altre parole, l’inflazione ufficiale scende, ma quella che i cittadini “sentono” nella vita di tutti i giorni rimane più ostinata.

Il conto per le famiglie: quanto costa davvero l’1,2%

Le simulazioni elaborate dalle associazioni dei consumatori fotografano con precisione l’impatto sulle tasche. Secondo le stime diffuse a fine ottobre, il rallentamento dell’inflazione all’1,2% si traduce comunque in una maggior spesa annua di circa 387 euro per la famiglia “tipo”, cifra che sale a circa 548 euro per un nucleo con due figli.

Il settore più critico resta il cibo. Le elaborazioni mostrano che l’aumento dei prezzi di alimentari e bevande analcoliche – stimato intorno al +2,5% – rappresenta da solo un aggravio di oltre 200 euro l’anno per una famiglia con due figli, solo per riempire il carrello.

Davanti a questi numeri, i consumatori parlano senza mezzi termini di frenata che non rassicura. Le organizzazioni più attive sottolineano che:

  • il peso dell’alimentare sul bilancio mensile è aumentato rispetto agli anni pre-crisi energetica;
  • molte famiglie stanno comprimendo le spese discrezionali (svago, cultura, viaggi) per reggere la spesa “obbligata”;
  • la percezione di inflazione resta alta, soprattutto tra i redditi fissi e i pensionati.

In questo contesto, diverse associazioni chiedono al governo e all’Autorità di garanzia sui prezzi un monitoraggio stretto dei listini, in particolare in vista del Natale, quando il mix di consumi alimentari e spese occasionali rischia di far impennare il conto finale.

Italia sotto l’eurozona, ma non per questo al riparo

Il confronto europeo, sulla carta, è favorevole. Nel mese di ottobre l’inflazione dell’area euro si attesta, secondo le stime, al 2,1%, mentre l’Italia viaggia a circa un punto in meno, all’1,2%.

Le ultime previsioni economiche della Commissione europea indicano che, nel complesso del 2025, l’inflazione italiana dovrebbe attestarsi intorno all’1,7%, per poi scendere all’1,3% nel 2026 e risalire verso il 2,0% nel 2027, in linea con l’obiettivo della Banca centrale europea.

Tradotto: la fase di inflazione moderata non è un incidente di percorso, ma il tassello di un quadro in cui i prezzi, dopo le fiammate degli anni scorsi, tornano gradualmente a muoversi vicino al 2%. Però la dinamica dei diversi capitoli di spesa – energia in calo, alimentari e servizi più sostenuti – continuerà a creare squilibri dentro i bilanci familiari.

Intanto i mercati guardano con favore alla frenata dei prezzi: i rendimenti dei titoli di Stato italiani si sono mossi leggermente al ribasso e il differenziale con il Bund tedesco resta contenuto, segnale che gli investitori non vedono al momento rischi immediati di deriva inflazionistica.

Prezzi, salari e potere d’acquisto: il nodo resta aperto

Se si guarda agli ultimi anni, l’inflazione è scesa, ma i livelli dei prezzi restano molto più alti rispetto al periodo pre-crisi. Il problema, sotto il profilo sociale, è che le retribuzioni non hanno seguito lo stesso ritmo: il recupero del potere d’acquisto è solo parziale.

In questo scenario, gli economisti mettono in guardia da due rischi opposti:

  • da un lato, il “conforto” dei numeri bassi, che potrebbe rallentare le politiche di sostegno ai nuclei più fragili;
  • dall’altro, la tentazione di scaricare sui consumatori, attraverso i listini, gli aumenti di costi in altri comparti, mantenendo alti i margini proprio nei beni di prima necessità.

Alcuni analisti ricordano che, a livello europeo, la Bce considera ormai raggiunto un quadro di inflazione “vicina ma non superiore al 2%”, mentre le nuove previsioni dell’Ue mostrano un’area euro destinata a muoversi attorno a questa soglia almeno fino al 2027.

Cosa possono fare politica e consumatori

Sul fronte delle politiche pubbliche, la richiesta che arriva dal mondo dei consumatori è duplice: da un lato, rafforzare i controlli sui prezzi, in particolare nei settori dove gli aumenti non appaiono giustificati dai costi; dall’altro, rivedere la composizione del paniere, dando maggiore peso ai beni di prima necessità.

Per le famiglie, in attesa di interventi strutturali, restano valide alcune strategie di difesa:

  • confrontare in modo sistematico i prezzi tra insegne e canali di vendita (supermercati, discount, negozi di prossimità);
  • privilegiare prodotti in promozione programmando la spesa – soprattutto per i beni non deperibili;
  • valutare con attenzione le offerte luce e gas, soprattutto per chi non rientra più tra i “vulnerabili” del mercato tutelato;
  • monitorare con regolarità il proprio bilancio familiare, per capire quanto pesa davvero ogni voce di spesa.

L’inflazione può anche scendere, ma finché il carrello della spesa resta pesante, la sensazione di “normalità ritrovata” rischia di restare, per molti, solo un numero in un comunicato statistico.

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