Superata quota 10.000 nel 2024. Soffrono le piccole imprese, frenano i servizi e le costruzioni. Preoccupano inflazione e carenza di manodopera.
(Foto: il premier del Giappone Shigeru Ishiba)
L’economia giapponese mostra segnali di crescente fragilità: nell’anno fiscale 2024, i fallimenti aziendali hanno superato la soglia delle 10.000 unità per la prima volta in oltre un decennio. Lo rivela la Tokyo Shoko Research, segnalando un incremento del 12,1% rispetto al 2023: 10.144 aziende hanno chiuso i battenti, in gran parte piccole imprese travolte dall’aumento dei costi operativi e dalla fine dei sostegni post-Covid.
Le società con meno di dieci dipendenti rappresentano l’89,4% del totale: si tratta di realtà spesso familiari o artigianali, con margini già compressi, che oggi non riescono più a finanziare le proprie attività. Il dato sulle passività totali – 2.370 miliardi di yen – è in lieve calo (-3,6%), ma il numero assoluto dei fallimenti resta il più alto dal 2013, quando il Giappone era ancora alle prese con le conseguenze della crisi globale.
Servizi e costruzioni sotto pressione
Il settore dei servizi è stato il più colpito, con 3.398 fallimenti (+12,2%), il dato più elevato dal 1989, prima dell’esplosione della bolla speculativa. Seguono le costruzioni, con 1.943 casi (+9,3%), un comparto che soffre contemporaneamente il calo degli investimenti pubblici e la mancanza cronica di manodopera specializzata.
La situazione non è circoscritta: anche la distribuzione, il commercio e la ristorazione mostrano segnali di sofferenza. “Il carico inflattivo ha colpito i settori più esposti al consumo interno, mentre lo yen debole ha aumentato il costo delle importazioni”, spiega l’economista Junichi Makino.
Lavoro che non si trova, inflazione che non rallenta
Due le cause strutturali indicate dagli analisti: una crisi demografica che svuota il mercato del lavoro e un’inflazione “a bassa intensità ma persistente”. I salari crescono troppo lentamente per compensare l’aumento dei costi di energia, trasporti e beni intermedi. “Le imprese più piccole non riescono a trasferire i costi sui consumatori, né a trovare personale per restare competitive”, dichiara Kenji Ueno, analista senior di Teikoku Databank.
La stessa Banca del Giappone, pur confermando a marzo la prima stretta monetaria dal 2007, ha ammesso che le condizioni restano incerte. L’uscita da una politica di tassi negativi potrebbe rivelarsi tardiva per molte aziende già indebolite, mentre le banche iniziano a irrigidire i criteri di credito.
Un paese maturo che cerca un nuovo equilibrio
Il numero dei fallimenti non è solo un indicatore economico: racconta anche la trasformazione profonda di un tessuto produttivo fatto di imprese familiari, spesso legate a mercati locali e incapaci di innovare. Gli investimenti in digitalizzazione e intelligenza artificiale si concentrano nelle grandi corporation, mentre le PMI faticano ad attrarre capitale umano giovane o accedere alle tecnologie emergenti.
Per evitare che la crisi si allarghi, il governo Kishida potrebbe valutare nuove misure a sostegno delle imprese fragili. Ma i margini fiscali restano ristretti, e il dibattito interno è segnato da una crescente pressione dell’opinione pubblica sul tema delle pensioni e del welfare.
Il Giappone, terza economia mondiale, non è a un punto di rottura. Ma i segnali di affaticamento sono evidenti. E senza un rilancio mirato delle sue imprese più vulnerabili, la “decrescita silenziosa” potrebbe diventare una nuova normalità.