Draghi e i suoi occhiali rosa sulla crisi del Paese

- di: Redazione
 
Se all'italiano medio, quello che si limita ad ascoltare le chiacchiere che spesso si dicono in televisione o a dare una scorsa veloce a qualche quotidiano, si chiedesse se gli è più gradito sentire un presidente del consiglio disperatamente pessimista o gioiosamente ottimista, è abbastanza scontato che opterebbe per la prima ipotesi. Perché, come diceva uno spot di qualche anno fa, l'ottimismo è il profumo della vita. Ma accade talvolta, per nasi sensibili, che il troppo profumo crea un minimo di fastidio, come quando pensi che tutto sia in ordine e ti svegli nel caos.
Non sappiamo se lo è anche tra le mura domestiche, ma, quando veste i panni del premier, Mario Draghi è il prototipo dell'ottimista, di quelli che ognuno vorrebbe avere accanto magari vedendo una partita di calcio in cui la squadra del cuore è sotto di tre gol quando mancano pochi minuti alla fine e si sente ripetere dall'amico: vedrai che alla fine vinciamo, vedrai che ce la facciamo.

Il premier Mario Draghi continua a guardare alla crisi del Paese con enorme ottimismo

Ecco, è un po' quello al quale assistiamo ogni qual volta Mario Draghi, con il suo tono necessariamente monocorde (inframezzato da qualche sorriso o battuta gettata lì, andando fuori dal discorso scritto) ci dice di stare tranquilli, anche se sentiamo che le crepe nel muro si stanno allargando o la benzina è finita quando mancano alcuni chilometri dalla prossima stazione di servizio.

Ok, va bene così, almeno sino a quando, dopo avere chiuso la televisione a conclusione di una dichiarazione del premier, usciamo a fare quattro passi. E' allora che ci accorgiamo, guardando le strade dello shopping desolatamente vuote o che il costo di un pieno sale sempre più, che il Paese ''semi-felice'' descritto dal presidente del Consiglio non riesce a capire il perché di tanto ottimismo sparso a piene mani. Perché le crisi si sommano alle crisi, con alcune che esplodono oggi dopo essere state dimenticate per troppo tempo. Il delicato equilibrio dei nostri conti pubblici giustifica ancora che su alcuni prodotti di altissimo consumo (come la benzina) pesino tasse e gabelle varie che rimandano a eventi disastrosi accaduti quando il passato secolo era neonato, ma che oggi restano ancora a massacrare i nostri acquisti.

Giusto o sbagliato che sia che lo Stato prosegua nelle sue politiche fiscali, resta da vedere sino a che punto la gente sarà disposta ad accettare questo stato di cose, che si sta aggravando, e non da due anni a questa parte, con il manifestarsi della pandemia. In questi giorni assistiamo - per fortuna ancora da spettatori - ad una guerra sulla cui follia tutti concordano, anche qualche ''esperto'' formula ricette per la pace che sembrano essere state partorite da chi non conosce la Storia e quanto essa segua percorsi imperscrutabili quando a dettare tempi e fatti sono dittatori, più o meno mascherati.
Ma se Draghi dice che la nostra economia cresce, dobbiamo dargli credito oppure no?

Lasciamo la risposta agli economisti. A noi, semplici cittadini, non resta che inghiottire l'amaro calice dei rincari selvaggi (molti dei quali hanno tempistiche che lasciano pensare solo a speculazioni di piccolo cabotaggio), addirittura della corsa agli acquisiti di farina e olio, come se la guerra fosse già scoppiata a casa nostra.
L'ottimismo è bello, è costruttivo, ma non riempie le pance così come i serbatoi di auto e camion. Per questo, forse, una boccata di sano realismo non sarebbe sgradita, accompagnata da misure che devono essere prese immediatamente e non se e quando le cose dovessero peggiorare. Anche perché, peggio di così...
Il Paese appare paralizzato, da un lato dalla paura (del virus prima, oggi della guerra) e dall'altro dal vedersi più povero di quello che semplicistiche analisi dei dati macroeconomici hanno fatto sperare. La situazione non è affatto da sottovalutare, come crediamo non la sottovaluti Draghi.

Ma essere positivi in modo eccessivo rischia di ingenerare speranze senza alcun fondamento. E mentre si affacciano sul palcoscenico nazionale giorni complicati - vedi le proteste compatte degli operatori dei trasporti, che protestano per il caro-carburante e che, se vogliono, possono paralizzare il Paese - , stiamo qui, aspettando e sperando che il Godot della recessione non arrivi, per metterci in ginocchio. E si sa che quando sei stato in piedi in equilibrio precario, se cadi, rialzarsi è difficilissimo, anche se sei ottimista.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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