DBA Group

- di: Germana Loizzi
 

Intervista al Presidente Francesco De Bettin







DBA Group è un gruppo societario quotato all’AIM che ha per obiettivo lo sviluppo di servizi tecnici e tecnologici di ingegneria ed Information Technology a supporto di tutte le attività che caratterizzano il ciclo di vita di infrastrutture fisiche e digitali singole o a rete.

Ing. De Bettin, pensando al percorso che avete fatto in questi anni, che cosa è oggi DBA Group?
DBA Group è paragonabile ad una matrioska, il cui seme - la bambolina interna più piccola, densa e non vuota - è costituita dal suo nucleo fondante, ovvero da un consistente e certificato Know How nell’ingegneria civile ed impiantistica nell’ambito delle grandi infrastrutture, siano esse:
• opere singole, per esempio, una centrale elettrica, un distributore di carburante e di servizi accessori alla mobilità di merci e persone, un porto, un interporto o un data center;
• infrastrutture a rete, cioè costituite da nodi simili tra loro (le singole opere prima citate) collegati l’un l’altro attraverso degli archi, rispettivamente, rispetto agli esempi di citati, linee elettriche, strade o ferrovie, vie d’acqua, rotte marittime.
Ecco noi siamo esperti nella progettazione, nel controllo della realizzazione e nella informatizzazione di questo tipo di infrastrutture. Rispetto all’inizio non siamo più uno Studio di Ingegneria come quelli che normalmente siamo abituati a vedere o conoscere in questo Paese, perché abbiamo industrializzato il processo di trasformazione della conoscenza in funzione delle necessità: siamo diventati un’industria del progetto e dell’informatizzazione delle infrastrutture. Non abbiamo tanti parenti o tanti soggetti simili a noi in Italia. Siamo molto europei e vogliosi di essere sempre più World Wide. Siamo una realtà importante che sviluppa una cinquantina di milioni di euro di servizi all’anno. Che sono tantissimi nel nostro settore! Se facessimo il paragone con una manifattura, potremmo benissimo dire di essere un’impresa da 800/900 milioni di euro di fatturato; una grande impresa che, però, nel nostro mondo - che è quello dei servizi - soprattutto in termini relativi a livello europeo, è la più grande tra le piccole, e la più piccola tra le grandi. Per questo motivo abbiamo deciso e siamo stati ben contenti e convinti, di quotarci in Borsa, perché la posizione di bordo e di confine tra le due categorie è scomoda: non si sa mai se cadere da una parte o se si riesce a salire dall’altra. È evidente che se si ricade nel piccolo, piccolo non è più europeo, non è più internazionale: non resta quindi che salire e per salire è necessario, in tutti i casi e comunque, capitalizzarsi.
Oggi, soprattutto dopo la quotazione, DBA Group è una multinazionale tascabile ed evoluta; a me piace dire che rappresenta una delle eccellenze del nostro Paese, perché incarna lo spirito del possibile e la capacità di trasformarlo in realtà. 

Qual è stato il ruolo del Fondo Italiano d’Investimento? È ancora socio?
La nostra impresa è cresciuta negli anni per linee interne e sottocapitalizzata, perché se fossimo stati ricchi di famiglia ci saremmo probabilmente mangiati i soldi in altro e non avremmo fatto gli imprenditori!
Noi nasciamo col fuoco negli occhi non per voler far soldi ma per voler creare qualcosa che non c’era (o non c’era per come avremmo voluto ci fosse), partendo dalla più profonda montagna veneta sul confine con l’Austria; era un sogno di bambini, di quattro fratelli bambini che poi è diventato una realtà oggi guidata da quattro imprenditori adulti. Nel 2011 abbiamo fatto il nostro primo salto di qualità, aprendo il capitale al Fondo Italiano di Investimento e sposando, quindi, l’avventura del Private Equity. Dobbiamo praticamente tutto a questa iniziativa di Cassa Depositi e Prestiti e delle nostre Banche, oltretutto lanciata alla vigilia di una crisi profonda da cui forse stiamo uscendo ora. Il Fondo Italiano di Investimento che era un Private Equity rigoroso ma non aggressivo, ci ha insegnato a ragionare e a guardare le cose in maniera più ordinata e, soprattutto, ci ha instillato il concetto della dead line di ogni cosa: tutto nasce e tutto finisce prima o poi, o si trasforma.
La dead line che qualsiasi Private Equity impone al soggetto in cui investe, è la necessita, ad un certo punto, di dismettere l’investimento: questo è il cromosoma che in qualche maniera obbliga la crescita e obbliga la ricerca di una soluzione.
Quando il Fondo Italiano di Investimento ci ha dato cinque milioni e mezzo di euro in Equity, è stata la prima volta che abbiamo visto tanti soldi tutti insieme!
Palmina Caruso, la nostra storica ed inamovibile dirigente amministrativa conserva ancora la fotocopia di quell’estratto conto!!!
L’accordo con il Fondo Italiano era che, in un modo o nell’altro, avremmo ridato loro la libertà al 31 dicembre 2019. Lo abbiamo fatto, grazie alla quotazione all’AIM il 14 dicembre 2017, con due anni di anticipo e siamo stati l’unica società di Fondo Italiano a raggiungere l’IPO, perché tutte le altre 22 partecipate sono state oggetto di successivo trading. Fondo italiano il 14 dicembre 2017 si è trovato a vedere trasformati i suoi cinque milioni e mezzo iniziali in 13 milioni e 120mila euro e ha deciso di dismettere, in occasione della quotazione, circa il 23% del capitale detenuto, ha incassato 8,0 milioni di euro, trattenendosi all’incirca un 10% del nostro capitale.

Ci può raccontare la vostra esperienza all’interno del programma ELITE di Borsa Italiana?
Noi siamo uno dei primi prodotti di ELITE che, insieme a Fondo Italiano di Investimento, è stata un’altra grande invenzione di questo Paese…perché poi bisogna avere il coraggio di sottolineare le cose positive e ricominciare ad avere un po’ di stima di noi italiani!.
Nella nostra vita di imprenditori abbiamo vissuto tre cose positive:
• la famiglia che ci ha formato, quindi mio padre e mia madre. Ci hanno formato in un ambiente povero di ricchezze ma ricco di sentimenti, di libertà. Noi siamo cresciuti in montagna: siamo stati felici perché eravamo liberi; non perché potevamo correre ma perché non avevamo l’angoscia di proteggere ciò che non avevamo. Abbiamo ricercato la felicità godendo passo dopo passo della felicità pura, quella che non fa male ad altri per essere tale (come dice Mauro Corona). Non è stata una felicità instillata a fronte del dolore di qualcuno o frutto delle rinunce di qualcuno. I nostri genitori ci hanno lasciati liberi di scegliere e ci hanno dato l’istruzione. Il resto è stata una semplice e logica conseguenza di ciò che ci avevano insegnato;
• dobbiamo molto al Fondo Italiano che ci ha creduto, e quindi alle Istituzioni di questo Paese.
• infine, dobbiamo moltissimo a Borsa Italiana e all’accordo tra Fondo Italiano e ELITE. ELITE è stato il progetto più innovativo che un mercato di capitali avrebbe potuto lanciare in un Paese fatto di piccole e medie imprese come l’Italia, perché ha consentito di individuare dei potenziali campioni.
DBA Group, grazie anche a Fondo Italiano di Investimento, è stato uno dei primi dieci potenziali campioni. È stata un’esperienza di tre anni bellissima, in cui ci siamo divertiti, abbiamo imparato, ci siamo esercitati, abbiamo contestato.
Borsa Italiana ci è stata “accanto”, in particolare oltre a Marta Testi ci sono stati anche Barbara Lunghi, Luca Peyrano, Nunzio Visciano, Andrea Scremin ed uno staff di ragazzi eccezionali che ci hanno dato fiducia e certezze. La frequenza di ELITE ha contribuito a far emergere e specifica ciò che intendo per “imprenditore completo”.
La nostra esperienza di imprenditori nasce da un uovo di farfalla.
L’uovo di farfalla diventa un bruco, il bruco cresce e diventa vorace: mangia, nel nostro caso, l’erba ed i fiori dei prati di montagna e diventa crisalide, sperando, dopo la metamorfosi, di volare.
In realtà da quella pupa esce un altro bruco, più grosso, più vorace a cui i prati di montagna non bastano più; un bruco che guarda oltre le montagne e ad altre cose da mangiare: diversifica, mettendo a reddito le sue zampe, la sua capacità creativa di adattarsi ad ambienti nuovi. Diventa di nuovo crisalide, diventa di nuovo ancora bruco, fintanto che, ad un certo punto, dopo una obbligata ultima metamorfosi, diventa per forza un volatile. E qui c’è il problema: se diventa lepidottero o falena. Se diventi una falena, una tarma, voli lo stesso ma ti ammazzano con l’insetticida, non stai sul mercato!
Se diventi un lepidottero puoi essere un qualsiasi tipo di farfalla colorata, dalla più bella, dalla Vanessa, alle farfalle gialle che volano da noi in montagna: piccole ma sempre belle.
Ecco. ELITE ha come obiettivo quello di darti la consapevolezza che non devi avere paura della metamorfosi e che se fai le cose con scienza e coscienza puoi diventare una farfalla. Oltretutto noi siamo diventati una farfalla a dicembre.
Per dei montanari era normale trasformarsi in una farfalla a dicembre, con il freddo e con pochi fiori su cui poterci posare: la fatica e le difficoltà sono il destino storico di noi montanari ed anche delle farfalle gialle.
Non abbiamo potuto appoggiarci su alcun fiore perché non c’era e abbiamo ricominciato subito a correre e volare come quando abbiamo iniziato la nostra vita di impresa nel 1991. Quando si diventa farfalla e lo si diventa attraverso un processo di quotazione e si scende, come abbiamo fatto noi De Bettin, sotto la soglia psicologica del 51% di capitale detenuto, si dimostra, secondo me, tutto l’amore verso la azienda creata. Ogni “Imprenditore completo” (come ti insegnano ad ELITE) dice: “se c’è qualcuno più bravo di me, e voi oggi siete più di me, pur essendo io importante, che venga, che proponga! Io non guardo me, guardo il bene della mia azienda!”.
In definitiva il mio mestiere di “Imprenditore” che tende ad essere completo, qual è?
È quello di deporre un altro uovo e di ricominciare a fare il bruco, crescendo una nuova farfalla di un colore diverso dalla prima ma che possa volare con la mia farfalla gialla: qui nasce, allora, il concetto di gruppo diversificato, si sdogana il concetto delle alleanze, di un sistema che nel suo complesso deve per forza guardare al mondo.
E per noi di DBA Group ciò è certamente più facile che per altri, perché facciamo non un prodotto ma sforniamo idee e trasformiamo necessità o idee di necessità in cose che poi si toccano attraverso i nostri servizi ad elevato contenuto di Know How ed esperienziale.
 Oggi, per esempio, questo in DBA Group si trasforma in un grande progetto industriale che traguarda una nostra presenza costante a livello di investimento e di mercato sulla Belt and Road Initiative o ai tre triliardi di dollari di investimenti in ammodernamenti infrastrutturali stanziati dal Governo Americano ...
Chi avrebbe mai pensato che quattro ragazzi montanari, nati in un paese a 1300 metri sul mare che oggi conta 170 abitanti, con 500 persone travestite da “berretti verdi” laureati, potessero occuparsi dell’informatizzazione del porto di Baku Alyat sul Mar Caspio o mirare all’automazione dei trasporti ferroviari tra il Mar Caspio ed il Mar Nero?
È stata ed è una bella esperienza ed il meglio deve ancora venire!
Il mercato che cosa si aspetta da DBA Group? E che progetti avete per il futuro?
Noi abbiamo un’idea ben chiara di dove dobbiamo andare …: andremo là dove la nostra azienda potrà “creare valore” per tutti gli stakeholder. O perlomeno ci proveremo!
Per l’investitore la creazione di valore sta nella crescita del valore del titolo. Per l’Imprenditore cos’è la crescita di valore e nel caso nostro, dove l’imprenditore fa anche il manager (e che fra un po’ avrà i suoi manager che dirigeranno il suo Gruppo), cos’è la creazione di valore? La creazione di valore per noi è reinvestire quello che si guadagna per rinforzarsi per linee interne e crescere per linee esterne, così da raggiungere una dimensione tale da poter scalare in alto sul mercato, andando in un mercato che scambia di più, come potrebbe essere lo Star.
Maggior scambio vuol dire automaticamente più possibilità di creare valore per l’investitore che ci ha messo dei soldini e che ha creduto nella potenzialità dell’imprenditore di far crescere la sua impresa. Il nostro mestiere non è fare finanza, il nostro mestiere è fare impresa: dobbiamo creare valore innanzitutto in termini di accumulazione di conoscenza e di messa a disposizione del Know How acquisito alla nostra creatività; che dobbiamo sviluppare e curare in funzione delle necessità di mercato.
Questa è la prima creazione di valore per chi, come noi, vuole trasformare concetti e Know How intangibili in infrastrutture e sistemi complessi tangibili e fruibili, costruendo “linee di trasformazione” della conoscenza, vista come “materia prima”, in soldi e nella ricchezza che ne consegue naturalmente.
Nel mezzo ci sono importanti creazioni di valore intangibili per altri stakeholder, come quelle riconducibili alla ricaduta sociale che, per il mestiere che facciamo noi, si traduce nell’occupazione e nel benessere che siamo capaci di generare nei luoghi e sui sistemi nei quali operiamo.
Prima di guardare il valore del titolo per noi è importante guardare quanti posti di lavoro creiamo e quali potenzialità in questo modo attiviamo.

Quante persone lavorano in DBA Group?
Adesso siamo oltre 500 laureati sparsi in 22 sedi nel mondo e continuiamo ad assumere…quest’anno assumeremo 70/80 persone.
Non vogliamo essere come gli altri ed ingaggiare professionisti o lavoratori a progetto. Vogliamo investire su persone che abbiano con il nostro Gruppo contratti di lavoro formali e stabili, meglio se fatti con il Job’s Act e con forme di stabilizzazione progressiva, in modo che le nostre persone possano con quel contratto, andare in banca e comprarsi una casa, fare dei figli, pagare l’apparecchio ai denti dei bambini. E questa è una creazione di valore che, secondo me, a livello sociale forse non fa immediatamente bene all’investitore, ma fa bene alla società ed al tessuto economico: e se il tessuto economico sta bene, il sistema sta bene, l’investitore nel medio termine guadagna e probabilmente anche re-investe.
Infine c’è un’ulteriore creazione di valore quella per gli azionisti fondatori: non credo sia una bestemmia dirlo e perseguirla, anche se subordinandola a quella di tutti gli altri portatori di interesse.
Non siamo mai stati ricchi.
In questo momento abbiamo una discreta somma “investita” in DBA Group che deriva dal fatto che ci siamo quotati in Borsa e, quindi, finito il lock up potremmo vendere in tutto o in parte e, non dico vivere di rendita, stare discretamente bene…ecco, a noi di questa cosa non interessa assolutamente nulla, nel senso che semplici eravamo prima, semplici siamo adesso, semplici saremo dopo, perché il nostro obiettivo, a tendere, è far sì che la farfalla deponga un altro piccolo uovo, nasca un altro bruco e dal bruco esca un’altra farfalla.
La creazione di valore per chi fa impresa non si trasforma automaticamente in euro in banca, ma si trasforma in qualcosa che può produrre altro.
Per dirla da montanari cresciuti con la mucca nella stalla, diciamo … la creazione di valore non sta nel litro di latte prodotto ma nella mucca che fa il latte e che può anche darti una piccola seconda mucca.
Qui si distinguono poi due tipologie di imprenditori in maniera molto chiara, entrambe con grande dignità ma che generano due insiemi di imprese diverse:
• quelle a termine, in cui l’imprenditore vive l’impresa solo per la ricchezza tangibile che produce nel suo breve, guardando il valore del “barattolo del latte” e sapendo che c’è una scadenza. Tipicamente questa tipologia di imprese ed imprenditori non ha nel suo DNA il cromosoma della crescita;
• quelle disposte alla metamorfosi e portate al cambiamento. Fanno capo ad un altro tipo di imprenditore che è quello che, invece, immagina di essere in una boccia piena di pesci e deve decidere se fare il pesce rosso, cioè l’imprenditore descritto sopra, che prima o poi viene mangiato o muore, o un pesce rosso abbastanza vorace da mangiarsi quei pesci rossi lì. In questo caso, pian piano, cresce e diventa non necessariamente uno squalo ma comunque un predatore “seriale” più o meno grande. Il che non significa che non potrebbe arrivare un qualcuno che prima o poi lo mangia, ma, tipicamente nel nostro mondo, quando si raggiungono certe dimensioni ci si mangia a vicenda per formare il pesce più grande insieme.

Recentemente si è aggiudicato il Grifone d’argento all’Università di Udine, prestigioso riconoscimento alla carriera. Che messaggio vuole dare ai giovani che scappano dall’Italia dopo tutto quello che Lei ha creato e le difficoltà che ha affrontato?
Nessuno scappa.
Diciamo che in un mondo come quello di oggi che è piccolo, ci si sposta e non si scappa. Ci si sposta perché si pensa che in un altro posto si possa stare meglio ma alla fine, poi (ed io lo vedo con i miei figli), si scopre che il posto migliore dove stare è quello dal quale si vuole andare via. Allora la domanda è se il posto in cui si è, offre o meno delle possibilità di rimanere.
La risposta è, quasi sempre, certamente sì.
Dipende da quanto uno ha un’intenzione, più o meno masochistica, di soffrire; perché uno può creare una ricchezza anche stando nel deserto: semplicemente scalda la sabbia e si inventa un pannello fotovoltaico cominciando a produrre elettricità.
Però questo costa fatica ed è evidente che se uno lo facesse nella Silicon Valley sarebbe tutto più facile: quindi sono la ricerca della facilità e della fatica minore che creano lo spostamento, non la mancanza di opportunità.

Ingegnere che cos’è per Lei la fortuna?
Ho fatto l’Università in fretta e furia perché ero il primo di quattro fratelli e soldi per tutti non ce n’erano Teoricamente, a mio avviso, non ero il candidato ideale al Grifone d’Argento come ex studente. Al posto loro lo avrei dato a qualcuno più brillante di me.
Forse, tuttavia, me lo hanno dato perché grazie alla forma mentis che mi è stata data dall’Ateneo di Udine ed alla fretta che avevo, ho imparato a fare l’imprenditore e a mettere a reddito profittevolmente queste cose.
In realtà il mio Grifone d’Argento, lo devo dividere con i miei fratelli e con i miei colleghi di DBA Group, perché senza di loro non lo avrei ottenuto: non dovevano darlo a me ma a tutti noi. Prendere quel riconoscimento è stata comunque una cosa per me significativa, commovente, nel senso che per me essere stato riconosciuto tra i laureati eccellenti dell’ateneo di Udine non era previsto ed è un qualche cosa che capita una volta nella vita!
Visto che l’ho già preso e non possono darmene un altro, mi toccherà industriarmi con i miei compagni di viaggio per andare a prendere un Grifone da qualche altra parte! Speriamo che prima o poi ci diano un leone di San Marco!

Possiamo aggiungere che se lo è ben meritato!
DBA Group non è Francesco De Bettin, è “i fratelli De Bettin” e almeno 496 splendidi altri ragazzi senza i quali le nostre idee non avrebbero né i cervelli per progredire né le gambe per camminare.
Noi dobbiamo tutto quello che abbiamo alle nostre persone e al territorio da cui veniamo che non più solo il Veneto.

Che cosa si aspetta dalla politica?
La politica non deve fare impresa ma deve creare le condizioni perché il mondo si sviluppi e non deve mettere barriere, le deve abbattere, deve semplificare, non complicare.
E deve farlo secondo dei principi che siano possibili.
Se enunciano dei principi giusti ma non praticabili, i politici non possono pensare di governare ma devono dedicarsi a scrivere dei libri sulle teorie dell’utopia…svolgono comunque una funzione sociale ma non fanno danni.




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