Sette minuti per svuotare le teche della Galleria d’Apollo, un cantiere su ruote come copertura, la fuga sui motorini. A tenere la porta socchiusa, secondo documenti tecnici emersi in queste ore, c’erano password da principianti. E ora la politica francese ammette: il rischio è stato sottovalutato per anni.
(Foto: la Piramide del Louvre).
“Alcuni indagati hanno riconosciuto in parte il proprio coinvolgimento”, ha spiegato la procuratrice di Parigi Laure Beccuau. “Le carenze ci sono state e vanno sanate”, ha dovuto ammettere la ministra della Cultura Rachida Dati.
Una voragine di sicurezza
La rivelazione che ha fatto arrossire i vertici del museo è cruda: per accedere al server di videosorveglianza sarebbe bastato digitare “LOUVRE”; per un software collegato, “THALES”. Una banalità che racconta l’anello debole di un colosso culturale, dove sistemi obsoleti e prassi superate hanno convissuto troppo a lungo con capolavori di valore inestimabile.
Non è un fulmine a ciel sereno: alert ripetuti negli anni hanno segnalato telecamere insufficienti, ritardi di ammodernamento, investimenti a singhiozzo. Il risultato? Un bersaglio facile per chi studia turni, varchi e abitudini del personale.
Indagine e arresti
A due settimane dal colpo, la caccia prosegue ma la refurtiva non è stata recuperata. Quattro persone sono finite in carcere con accuse legate al furto in banda organizzata e all’associazione per delinquere; altri fermi sono stati disposti e revocati. Il tassello che ha portato agli ultimi arresti è il DNA rinvenuto nel cestello del montacarichi usato per arrampicarsi fino alle finestre della Galleria d’Apollo: per uno degli indagati la traccia è stata definita “significativa”, per la donna coinvolta si parla di possibile “trasferimento” indiretto.
Il profilo degli arrestati, con precedenti per reati comuni, smentisce l’immaginario da super–gang internazionale: più che una cupola perfetta, un commando agile che ha sfruttato crepe macroscopiche. “Non vediamo prove di aiuti dall’interno”, ha chiarito la procura, che continua a cercare mandanti e complici.
Come è andata
La mattina del colpo il museo era già aperto. Un camion con piattaforma si è posizionato in modo strategico, il tempo di salire al piano giusto, spaccare le vetrine con utensili da taglio e calare le cassette. In sei–sette minuti gli aggressori hanno afferrato otto gioielli della Corona per un valore stimato di 88–102 milioni di dollari, lasciando alle spalle vetri, scintille e una scia di polemiche. La fuga, rapidissima, sui scooter. A poche centinaia di metri, come sempre, le code per la Gioconda.
Una catena di allarmi ignorati
La Cour des comptes aveva parlato di “ritardo considerevole” nella messa a norma degli impianti: in alcuni settori del palazzo – incluso quello della Galleria d’Apollo – intere sale senza copertura di videocamere o con dotazioni minime. In cinque anni, appena 138 nuove telecamere: cifre povere per un museo che accoglie milioni di visitatori e custodisce simboli della nazione.
La politica ha oscillato tra difesa d’ufficio e mea culpa. Ma l’onda d’urto del furto ha costretto tutti a riconoscere l’urgenza di un piano massiccio: revisione delle procedure, upgrade tecnologico, gestione integrata di sicurezza fisica e informatica, formazione continua.
Cosa resta in gioco
Al di là della cifra da capogiro, i gioielli sottratti hanno un valore storico che supera quello economico: diademi e parure ottocentesche legate alle imperatrici di Francia, con gemme iconiche e lavorazioni irripetibili. Se finissero smontati o dispersi sul mercato nero, la perdita sarebbe incalcolabile. È il motivo per cui gli investigatori insistono sul recupero integro e sul coinvolgimento di case d’asta e antiquari di mezzo mondo.
Che cosa cambia ora
Il Louvre ha avviato un piano straordinario di rafforzamento che scorrerà per anni: nuove barriere fisiche, sensori intelligenti, telecamere ad alta risoluzione, controllo degli accessi con audit informatici regolari e soprattutto password policy rigorose. Una modernizzazione che costerà molto meno di qualsiasi figuraccia internazionale.
Ma la lezione non riguarda solo Parigi: è un avviso ai musei di tutto il mondo. Dove ci sono icone culturali, la sicurezza non può essere la variabile d’aggiustamento. E una password debole, oggi, è una finestra spalancata su un patrimonio che credevamo intoccabile.