Crescita e sviluppo

- di: Massimiliano Lombardo
 

 

Massimiliano Lombardo, socio fondatore Lombardo & Associati

 

Nel recente dibattito elettorale si sono avvicendate diverse ricette, più o meno ardite o realizzabili, per tentare di superare il divario sociale ed economico tra le varie fasce di popolazione, con l’obiettivo di favorire sia una maggiore inclusione degli individui, sia una maggiore crescita del Paese. Le varie proposte hanno centrato l’attenzione principalmente sugli elementi terminali dell’offerta (erogazioni a carico del bilancio pubblico), ma nessuna ha posto in adeguata luce il versante primario dei pre-requisiti ovvero delle condizioni che possano fungere da stimolo e impulso per realizzare gli ambiziosi obiettivi (e rendere sostenibili, nel medio e lungo termine, le necessarie coperture finanziarie). Primo fra tutti, il tema degli investimenti in infrastrutture materiali e sociali quale fattore chiave per l’inclusione, la crescita e lo sviluppo.

Esiste, a livello globale, una sempre più accentuata contraddizione tra il recupero della crescita economica dei Paesi occidentali (Italia inclusa, sebbene ad un livello inferiore) e l’aumento del divario sociale e delle disuguaglianze, con una distribuzione non equa dei benefici.
Un recente studio promosso dalla European Association of Long-Term Investors (ELTI) ha messo in evidenza il ruolo fondamentale che le politiche e gli strumenti di sviluppo degli investimenti di lungo termine in infrastrutture sociali (salute, trasporti sostenibili, case energeticamente efficienti ed economicamente accessibili, educazione e formazione, cultura) possono avere per ridurre questa contraddizione. Si tratta di catalizzare maggiori risorse, private accanto a quelle pubbliche, per progetti di carattere sociale che abbiano il duplice e simultaneo obiettivo di favorire una crescita più inclusiva e rafforzare la base sociale. 
E’ indubbiamente una priorità per le politiche nazionali post-voto e lo sarà per quelle europee della prossima programmazione 2020, come elemento cruciale di risposta alla crescente disaffezione verso governi e istituzioni, accusati di essere più interessati al rigore finanziario ed alla stabilità delle banche che non al benessere dei cittadini.

Il vantaggio di destinare parte della spesa pubblica nell’investimento in infrastrutture “sociali” (a differenza della mera redistribuzione del reddito su base assistenziale) non favorisce solo tendenzialmente il ciclo economico (effetto che potrebbe attendersi anche dall’incremento della spesa privata per via dei meccanismi di elargizione o sussidio pubblico), ma ha una connotazione ulteriormente positiva nel favorire la generazione di nuovo lavoro, legato agli specifici progetti finanziati, sia nella fase realizzativa che nella fase di erogazione di servizi.
Il processo di crescente necessità di investimento in “buone” infrastrutture supera il tradizionale settore manifatturiero o del capitale “tangibile” e riguarda l’intero sistema economico, la finanza e le pubbliche amministrazioni, responsabili nei settori dei servizi di pubblica utilità, del capitale umano e delle infrastrutture per l’innovazione e la ricerca e sviluppo; esso richiede una forte capacità di integrazione tra attori pubblici e privati.
Le esperienze in materia sono ancora embrionali, nonostante siano stati previsti sulla carta strumenti giuridici e procedurali specifici nelle direttive comunitarie sugli appalti pubblici e nel codice nazionale (come il cd. partenariato per l’innovazione) assai poco conosciuti ed utilizzati; la stessa Commissione europea ha promosso nello scorso ottobre 2017 una consultazione pubblica per linee guida sul public procurement on innovation, con l’obiettivo di sviluppare e promuovere best practices nel settore.

L’implementazione di questi schemi richiede agli attori del sistema (P.A., imprese, professionisti) un adattamento culturale: notevoli sono le differenze con i tradizionali progetti di investimento in partenariato pubblico-privato, riferiti per lo più ad infrastrutture fisiche in cui la componente di costi realizzativi assume valore predominante rispetto agli aspetti operativi e gestionali.
Eppure il settore degli investimenti in infrastrutture latamente definibili “sociali” ha caratteristiche proprie che sono attrattive per investitori privati/istituzionali, come la bassa volatilità dei ricavi e dei rendimenti (i pagamenti del settore pubblico su base disponibilità sono generalmente prestabiliti ed indicizzati) e la minore esposizione a rischi di mercato o di natura sistemica. Si tratta quindi di elementi che per loro natura possono favorire l’investimento sul lungo periodo, che è l’orizzonte tipico che possono sostenere le categorie di investitori più prudenti sul mercato dei capitali, come i fondi pensione o le assicurazioni vita, i quali ricercano investimenti che assicurino ritorni prevedibili, regolari e costanti.

Uno degli ostacoli principali, costituito dalla ridotta dimensione finanziaria o dalla frammentazione di questo genere di investimenti, può essere risolto mediante l’aggregazione delle operazioni e dei progetti in gruppi o portafogli dedicati, secondo standard che riducano i costi di struttura per il settore pubblico e il rischio per gli investitori, potendo portare le operazioni su un adeguato investment grade.
Si pensi, in ambito locale, al tema delle smart cities, che richiederanno la capacità di programmare e gestire sistemi di infrastrutture (tangibili e intangibili) integrate e che saranno realizzabili solo con strutture finanziarie innovative.

A questo riguardo non si può tralasciare di menzionare il ruolo centrale delle National Promotional Banksessenziali per organizzare e supportare un generale processo che punti su questo tipo di investimenti sociali, su cui si misurerà la reale attenzione, oltre che la fattibilità e la sostenibilità di buona parte delle promesse (e si auspica delle realizzazioni) per il futuro, sui temi dell’inclusione sociale, del superamento delle disuguaglianze, della crescita economica e dello sviluppo del Paese.

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