Covid-19: gli italiani davanti alla buona e cattiva informazione, tra verità e fake news

- di: Redazione
 
La pandemia ha fatto scoprire aspetti della vita comunitaria che pensavamo nemmeno esistessero. Come, ad esempio, il proliferare non accidentale di molte forme di comunicazione che si riteneva dovessero essere di servizio, ma che invece si sono dimostrate veicolo di disinformazione. Un fenomeno tanto più pericoloso perché, come una mala pianta, ha trovato nel doloso uso delle notizie il terreno migliore per attecchire.
Da un lato l'avvento del web e la conseguente moltiplicazione delle fonti (più o meno attendibili, con il secondo aspetto purtroppo prevalente) ha fatto sì che notizie palesemente inattendibili circolassero, al riparo della mancanza di strumenti per bloccarle, a meno che non siano veicolate in social dotati di meccanismi di prevenzione e correzione.
Dall'altro anche i media tradizionali che viaggiano sull'on line, davanti all'enormità dell' ''evento pandemia'', hanno reagito nel modo peggiore, ingenerando confusione, ma soprattutto una percezione sbagliata della realtà.

In questo panorama si inserisce il rapporto Ital Communications - Censis sul tema ''Disinformazione e fake news durante la pandemia: il ruolo delle agenzie di comunicazione''.
Perché, se da un verso la Rete ha liberalizzato la cultura, anche se spesso ne ha abbassato il livello, dall'altro ha esposto chi è più debole nel discernere il (presunto) vero dal (presunto) falso al pericolo di sbagliare. O, come si legge nel rapporto, correndo il rischio, andando sul web, di restare fuori dalla ''realtà vera''.
E i rischi "sono tanto maggiori per le fasce più deboli della popolazione, quelle che hanno minori strumenti per riconoscere e selezionare la veridicità delle notizie e che sono più esposte alle lusinghe di notizie parziali, fuorvianti e fake news''.

In questa fase occorre che il sistema della comunicazione, verbale e scritta, giornalistica o come veicolo
para-pubblicitario, riesca a darsi delle regole che impediscano il correre incontrollato di notizie false o che di attendibile hanno poco o nulla.
Nel rapporto si legge quindi che "la disinformazione e la circolazione di fake news si combattono con un sistema normativo adeguato alla nuova fisionomia del mondo della comunicazione, stringendo accordi con le piattaforme di comunicazione, promuovendo interventi di sensibilizzazione sull’uso consapevole del web".

Verrebbe da chiosare che è molto più facile esprimere un auspicio che non tradurlo in realtà.
La pandemia, da questo punto di vista, è la cartina di tornasole dell'attendibilità di cui si accreditano le notizie che arrivano, bombardando il destinatario finale, cioè il cittadino medio.
All'insorgere della pandemia, secondo il rapporto, 50 milioni di italiani (il 99,4% di quelli adulti) hanno cercato di informarsi. Una percentuale alta, su un singolo evento, quanto mai era stata registrata. La pandemia, dice il rapporto, ''rappresenta un caso esemplare di come un evento improvviso e sconosciuto, che ha impattato trasversalmente sulla vita di tutta la popolazione scatenando una domanda di informazione inedita a livello globale, possa essere oggetto di tanta cattiva comunicazione che, nella migliore delle ipotesi, ha confuso gli italiani sulle cose da fare, e in molti casi ha creato disinformazione".

Qual è stato il giudizio degli italiani su questa informazione: per il 49,7% è stata confusa; per il 39,5% ansiogena, per il 34,7% eccessiva. Solo il 13,9% pensa che sia stata equilibrata.
Ma, per la prima volta, dice il rapporto la pandemia, come evento, "ha trovato impreparati anche i media tradizionali, che hanno avuto difficoltà a governare un contesto di improvvisa moltiplicazione della domanda, in cui hanno giocato un ruolo fondamentale la novità della malattia e i dissidi evidenti tra virologi ed esperti vari su origine e forme del contagio e sulle modalità per tutelarsi e tutelare gli altri; tra autorità sanitarie nazionali, regionali e locali sulle indicazioni e le cose da fare in caso di sintomi; tra autorità politiche di ogni livello sulle decisioni rilevanti da prendere per l’emergenza''.
Ma poi ci sono le fake news che in ogni caso lasciano delle scorie in chi le legge, anche se capisce appieno la loro infondatezza.

"La prima, e forse la più diffusa delle notizie false che è circolata in Italia" - si legge nel rapporto - "è quella per cui il virus sarebbe stato appositamente creato in un laboratorio, da cui poi sarebbe sfuggito (secondo alcuni sarebbe stato fatto sfuggire): la pensa così il 38,6% degli italiani adulti (con il 7,1% che non è in grado di rispondere), con quote che raggiungono il 49,2% tra chi ha al massimo la licenza media, il 46,8% tra gli adulti di età compresa tra i 35 e i 64 anni; il 52,9% tra i lavoratori dipendenti che hanno mansioni esecutive, il 51,3% tra chi ha un reddito che non supera i 15.000 euro l’anno. Si tratta di una notizia che da fake sfocia nel complottismo, per cui l’epidemia sarebbe stata scatenata a bella posta per far arricchire le grandi case farmaceutiche produttrici dei vaccini o, ancor peggio, per ridurre la popolazione mondiale".
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