La COP26 si chiude con un accordo ma è un’intesa fragile: per contrastare i cambiamenti climatici serve di più

- di: Gregorio Staglianò
 
Lo scorso venerdì 12 novembre si è chiusa a Glasgow la COP 26, l’attesissimo summit sui cambiamenti climatici. Dopo una prima settimana di lavori, di negoziazioni e di compromessi non sempre soddisfacenti, i leader presenti nella città scozzese hanno concluso la XXVI Conferenza delle Parti con un accordo finale, che ha già sollevato numerose critiche e polemiche. Il "Glasgow Climate Pact" prevede l’impegno per contenere l’aumento della temperatura media globale entro +1,5 gradi come soglia massima a fine secolo e quello per tagliare le emissioni del 45% entro il 2030 sui livello del 2010, puntando a zero emissioni nette intorno alla metà del secolo. Una formula questa, ritenuta troppo vaga e poco concreta. Nella prima bozza del testo finale si leggeva infatti che le parti si sarebbero impegnate ad "eliminare gradualmente l’uso del carbone e i finanziamenti per i combustibili fossili" ma al momento del voto in plenaria, per il necessario ok unanime dei 197 paesi riuniti, l'India, con un intervento dell'ultimo minuto ha chiesto e ottenuto, a tempo scaduto di cambiare il testo da "coal phase out", cioè abbandono del carbone, a "coal phase down", cioè riduzione.

COP26: un'intesa fragile che non basta contro i cambiamenti climatici

Pesa anche l'assenza di impegni definiti per il fondo da 100 miliardi di dollari all'anno ai paesi più vulnerabili che le parti avrebbero dovuto costituire entro il 2020, deciso alla COP 15 del 2009 e confermato dall'Accordo di Parigi della COP 21 del 2015: sul tema si rimanda a riunioni ministeriali ad hoc. Fortemente criticato anche il mancato accordo per un fondo di "loss and damage" per aiutare i paesi più poveri e fragili ad affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici. Il compresso raggiunto prevede un dialogo annuale fino al 2024 per capire come raggiungere un accordo in merito.

I risultati positivi dell’accordo di Glasgow, seppur limitati, meritano di essere menzionati: tutti i 197 Paesi partecipanti si sono impegnati a rafforzare i rispettivi obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni - gli NDC, (Nationally Determined Contributions) - con l'intenzione di aumentare gli sforzi per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica. La novità contenuta nell’accordo risiede nelle tempistiche di revisione: le parti si sono impegnati a rafforzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni da qui al 2030, riesaminandole ogni anno, anziché ogni cinque.

Di importanza strategica l’accordo raggiunto bilateralmente tra Stati Uniti e Cina: le due potenze hanno infatti firmato, il 10 novembre, una dichiarazione congiunta che per quanto non contenga obiettivi a scadenze specifiche, segna la volontà delle due principali economie mondiali di cooperare per raggiungere gli obiettivi del summit scozzese, impegnandosi a fare "quello che occorre" perché venga rispettato l’Accordo di Parigi.

Confermato nel testo finale infine, lo stop alla deforestazione entro il 2030, con 105 Paesi impegnati per la riduzione delle emissioni di metano del 30% entro il 2030 e lo stop agli investimenti sui combustibili fossili all'estero. Impegni che saranno verificati alla COP 27 di Sharm el-Sheikh in Egitto nel 2022.

Il Presidente della COP 26, Alok Sharma nonostante abbia sottolineato l’importanza di aver raggiunto un accordo che per la prima volta menziona esplicitamente la riduzione del carbone, si è scusato, con voce tremante, difronte ai delegati e alla stampa, per la "vittoria fragile" del patto sul clima finale. "C'è ancora molto da fare negli anni a venire", ha dichiarato invece il premier britannico Boris Johnson, anche se "l'accordo è un davvero storico". Riguardo alla mossa dell’India, che è riuscita a far sostituire all’ultimo minuto il termine "eliminazione" con "riduzione" del carbone. Johnson ha sottolineato come "noi possiamo fare pressioni, possiamo blandire, incoraggiare, ma non possiamo costringere nazioni sovrane a fare quello che non vogliono fare, alla fine la decisione è la loro, purtroppo è la natura della diplomazia". Dello stesso avviso Roberto Cingolani, il ministro italiano per la Transizione Ecologica: "Non è un compromesso annacquato, dovevamo portare a bordo tutto il mondo, più di 195 Paesi, con un accordo che doveva tenere la barra a +1,5 gradi il riscaldamento globale e non a +2 gradi", specificando che non si è trattato di "tecnica ma di diplomazia" e "il compromesso fa parte del mestiere". Durissimo invece il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres che non ha nascosto la sua profonda delusione per lo svolgimento del summit, affermando che non si arrenderà in quella che ritiene la battaglia della sua vita.

Dello stesso avviso le Ong - come il WWF e Greenpeace -, la società civile e gli attivisti per il clima, che accusano i leader della COP 26 di aver avuto poco coraggio e di aver raggiunto accordi ancora troppo vaghi e che soprattutto non contengono specifiche contromisure nel breve periodo per combattere la crisi climatica. Emblematico e severo il tweet di Greta Thunberg, capofila di una generazione di giovani attivisti che sta cercando di scuotere dal torpore i leader globali sulla più drammatica sfida del nostro tempo: "La Cop26 è finita. Ecco un breve riassunto: Bla, bla, bla. Ma il vero lavoro continua fuori da questi saloni. E noi non ci arrenderemo mai, mai".
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