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Cina-Giappone, sul turismo soffia il vento della crisi

- di: Bruno Coletta
 
Cina-Giappone, sul turismo soffia il vento della crisi

Il termometro della crisi tra Cina e Giappone non è più solo la retorica dei palazzi del potere, ma anche il flusso dei turisti e le rotte delle navi. Pechino ha sconsigliato ai propri cittadini di recarsi nel Sol Levante, mentre nel mar Giallo annuncia esercitazioni a fuoco vivo che chiudono alla navigazione intere aree marine. Sullo sfondo, le parole della premier Sanae Takaichi su una possibile “contingenza Taiwan” come minaccia esistenziale per il Giappone, giudicate da Pechino come un’ingerenza intollerabile.

(Foto: la premier giapponese Sanae Takaichi).

Un avvertimento che colpisce al cuore il turismo

Il primo colpo è arrivato sul fronte più sensibile per Tokyo: quello dei viaggi in Giappone. Le autorità cinesi hanno diffuso un avviso che invita i cittadini a evitare temporaneamente i soggiorni nel Paese, richiamando rischi per la sicurezza e un clima ostile nei confronti dei cinesi. La mossa ha avuto un effetto immediato: vari vettori aerei cinesi hanno annunciato rimborsi o cambi gratuiti per i biglietti verso il Giappone fino alla fine dell’anno.

Per Tokyo è un potenziale colpo durissimo. Dopo la pandemia, la ripresa del turismo cinese aveva riportato il Giappone tra le mete di punta dei viaggiatori del Dragone: nel 2024 si contano quasi 7 milioni di visitatori dalla Cina, con un incremento a tre cifre rispetto all’anno precedente e una spesa che contribuisce in modo decisivo al record di oltre 8 trilioni di yen di consumi turistici stranieri nel Paese. Nei primi mesi del 2025 il flusso è ulteriormente cresciuto, con la Cina di nuovo ai vertici tra i mercati di origine dei visitatori stranieri. 

Non stupisce che il governo giapponese abbia reagito con fermezza. Il capo di gabinetto Minoru Kihara ha difeso la posizione di Tokyo e, allo stesso tempo, ha invitato alla calma, sottolineando che, proprio perché restano profonde divergenze sulla questione di Taiwan, è essenziale mantenere una comunicazione continua e “a più livelli” con Pechino. 

Le parole di Takaichi che hanno acceso la miccia

Tutto parte da una risposta in Parlamento della neo–premier Sanae Takaichi, intervenuta la scorsa settimana al Diet di Tokyo. Interpellata su un’eventuale azione militare cinese contro Taiwan, Takaichi ha spiegato che uno scenario simile potrebbe configurarsi come una “situazione di minaccia alla sopravvivenza” per il Giappone, formula giuridica che, secondo la legislazione sulla sicurezza approvata nel 2015, aprirebbe la strada all’esercizio della autodifesa collettiva anche in assenza di un attacco diretto al territorio giapponese. 

In pratica, Tokyo mette per iscritto che un’eventuale aggressione cinese a Taiwan, o a un alleato come gli Stati Uniti impegnati a difenderla, potrebbe giustificare l’intervento delle Forze di autodifesa. Una linea più esplicita rispetto alla tradizionale “ambiguità strategica” che il Giappone, in parallelo con Washington, ha mantenuto per decenni sul dossier taiwanese.

Pechino ha reagito con una durezza crescente. Portavoce governativi e media legati al potere cinese hanno accusato la premier di aver “oltrepassato la linea rossa” su una questione che per la Cina riguarda la propria integrità territoriale. In un editoriale al vetriolo, la stampa ufficiale ha evocato un possibile “disastro militare” per il Giappone nel caso decidesse di intervenire nello Stretto, dipingendo il Paese come tentato da un ritorno al passato militarista.  

Nel frattempo, un diplomatico cinese in servizio in Giappone ha pubblicato sui social un commento insultante indirizzato a Takaichi, poi cancellato, che ha scatenato proteste incrociate e richieste di misura disciplinare da parte di esponenti politici giapponesi.

Il fronte militare: mar Giallo chiuso e manovre a fuoco vivo

In parallelo alla sfida verbale, la crisi ha assunto una dimensione militare. La China Maritime Safety Administration ha diramato un avviso che annuncia esercitazioni a fuoco vivo nel settore centrale del mar Giallo per tre giorni consecutivi, dal 17 al 19 novembre, con divieti di navigazione 24 ore su 24 nelle aree interessate. :contentReference[oaicite:5]{index=5}

Per Pechino si tratta di “normali manovre” delle Forze armate popolari, ma il timing – immediatamente successivo alle dichiarazioni di Takaichi e all’avviso sui viaggi in Giappone – è stato letto da più osservatori come un doppio segnale: pressione psicologica su Tokyo e messaggio indiretto anche a Taipei, che da mesi denuncia un aumento delle incursioni di navi e aerei cinesi nei propri dintorni.

Non a caso, l’ufficio presidenziale di Taiwan ha accusato Pechino di portare avanti una forma di “coercizione ibrida” contro il Giappone, combinando strumenti economici, diplomatici e militari. Con un monito: “La Cina dovrebbe fermare subito queste azioni unilaterali che minano la stabilità dell’Indo-Pacifico e rischiano di trasformarla nel principale fattore di disturbo della comunità internazionale”, ha affermato una portavoce del presidente taiwanese.  

Turismo come arma, non più solo come ponte

L’uso del turismo come leva politica non è una novità nella cassetta degli attrezzi diplomatica di Pechino. Già in altre crisi con Paesi vicini o partner occidentali, la Cina ha incoraggiato campagne di boicottaggio di prodotti o viaggi, facendo sentire il peso del proprio mercato interno.

Nel caso giapponese, la minaccia è particolarmente sensibile. Negli ultimi anni, i visitatori cinesi sono stati tra i principali protagonisti del boom del turismo in Giappone, spaziando dai quartieri dello shopping di Tokyo alle stazioni sciistiche di Hokkaido, fino alle città termali meno note. I dati ufficiali indicano che nel 2024 le presenze dalla Cina hanno sfiorato i 7 milioni e hanno continuato a crescere nel 2025, mentre l’intero turismo outbound cinese è tornato a superare i 60 milioni di viaggi nella prima metà del 2024, segno di una domanda estera molto vivace.  

Una frenata improvvisa degli arrivi cinesi comporterebbe non solo un contraccolpo per alberghi, negozi e destinazioni regionali giapponesi, ma potrebbe incidere sulle entrate fiscali locali e sui piani di investimento di gruppi internazionali nel settore dell’accoglienza. Per Tokyo, insomma, la disputa su Taiwan si traduce anche in un rischio economico immediato.

Tokyo tra fermezza, alleati e opinione pubblica

La premier Takaichi, alla guida del governo da poche settimane, si trova così a gestire una delle più gravi crisi sino-giapponesi dell’ultimo decennio. La sua linea è in continuità con il rafforzamento della postura di sicurezza avviato dai governi precedenti – aumento del bilancio della difesa, nuovo concetto di sicurezza nazionale, rafforzamento dell’alleanza con gli Stati Uniti – ma la chiarezza con cui lega il destino del Giappone a un’eventuale crisi su Taiwan rappresenta un salto di tono.

In patria, le sue affermazioni hanno innescato un dibattito serrato. Alcuni editoriali e figure dell’opposizione mettono in guardia dal rischio di scivolare in una logica di confronto frontale con la Cina, che potrebbe trascinare il Paese in una crisi militare non voluta. Altri, soprattutto nell’area conservatrice, elogiano la premier per aver detto a voce alta ciò che, a loro dire, era da tempo implicito nelle strategie di difesa giapponesi.  

Sul fronte esterno, Tokyo deve tenere insieme più piani: rassicurare gli alleati – a partire dagli USA – sulla propria determinazione a contribuire alla sicurezza regionale, evitare però che la crisi con la Cina degeneri in incidenti militari e, allo stesso tempo, non compromettere in modo irreversibile i legami economici con il suo principale partner commerciale.

Davanti alla nuova ondata di tensioni, il governo giapponese insiste sulla necessità di “gestire responsabilmente” il rapporto con Pechino, ribadendo la propria interpretazione del diritto internazionale e delle leggi domestiche sulla sicurezza, ma senza chiudere la porta al dialogo. Come ha riassunto Kihara, “proprio perché esistono differenze profonde è indispensabile una comunicazione continua e trasparente”, un messaggio indirizzato tanto alla Cina quanto alle opinioni pubbliche di entrambi i Paesi. 

Taiwan al centro della scacchiera indo-pacifica

Sullo sfondo resta la questione che ha fatto precipitare la crisi: Taiwan. Pechino considera l’isola una provincia da “riunificare”, senza escludere l’uso della forza; Taipei rivendica la propria identità di democrazia autonoma e accusa la Cina di intensificare le pressioni militari, economiche e diplomatiche.

Il Giappone, per geografia e alleanze, è in prima fila. Le rotte marittime intorno a Taiwan sono vitali per l’approvvigionamento energetico giapponese e per il commercio globale; inoltre, basi militari statunitensi fondamentali per l’eventuale difesa dell’isola si trovano proprio sul territorio giapponese, a partire da Okinawa.

Le parole di Takaichi rendono esplicito che, nel calcolo strategico di Tokyo, una crisi militare nello Stretto non sarebbe un evento remoto ma una minaccia diretta alla sicurezza nazionale. È questo, più ancora dell’avviso ai turisti, il nodo che Pechino vuole sciogliere: ottenere una rettifica formale dalla premier giapponese e spingere Tokyo a rientrare in una zona di “prudente ambiguità” sul dossier taiwanese.

Una crisi destinata a durare?

Nei prossimi giorni, molto dipenderà da due fattori: il tono delle dichiarazioni ufficiali e l’andamento delle esercitazioni nel mar Giallo. Se le manovre militari resteranno limitate e prive di incidenti, e se le parti sapranno modulare la retorica, la crisi potrebbe stabilizzarsi su un livello di tensione controllata.

Ma l’intreccio tra turismo, sicurezza e nazionalismi rende il quadro fragile. Ogni nuovo episodio – un incidente navale vicino alle isole contese, una nuova ondata di insulti sui social diplomatici, un ulteriore irrigidimento delle misure sui viaggi – rischia di alimentare sentimenti pubblici difficili da gestire, tanto in Cina quanto in Giappone.

Per ora, il messaggio di Pechino è chiaro: l’avviso sui viaggi e le manovre nel mar Giallo sono solo l’inizio di una serie di “contromisure sostanziali” se Tokyo non correggerà il tiro su Taiwan. Tokyo, dal canto suo, vuole mostrare che non intende farsi intimidire, ma sa di giocarsi non solo la credibilità strategica, bensì anche una parte importante della propria prosperità economica. In mezzo, milioni di potenziali turisti che guardano al Giappone come meta dei sogni, ma che, per il momento, sono invitati a restare a casa.

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