Bce e Fed: il rischio di aspettare troppo

- di: Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm
 

Le tempistiche di un primo taglio dei tassi d’interesse sono uno degli argomenti di conversazione preferiti tra analisti e commentatori dei mercati: in attesa delle prossime riunioni di Bce e Fed, è utile fare il punto sui principali indicatori macroeconomici e sulle possibili conseguenze che avrebbe un’eventuale svolta di politica monetaria.  

Secondo gli ultimi sondaggi dell’agenzia di stampa Reuters, gli analisti si aspettano che sia la Bce che la Fed optino per un primo taglio dei tassi già il prossimo giugno, anche se è bene ricordare che le attese del mercato sono soggette a variazioni piuttosto repentine a seconda dell’andamento dei dati e dei commenti dei policymaker. 

I dati macro trasmettono un messaggio per certi versi contrastante: l’inflazione complessiva sta lentamente convergendo verso l'obiettivo del 2% (come mostra il grafico sotto), ma non ha ancora raggiunto il target e l'ultimo miglio potrebbe essere il più difficile da superare. A conferma di ciò, l'ultimo dato sull'inflazione nell'Eurozona per il mese di febbraio (+2,6% su base annua) ha, anche se di poco, battuto le attese.


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Se si sposta l’attenzione sulla crescita, poi, vi è una netta divergenza: come mostra il grafico seguente, il Pil Usa sta sovraperformando quello di Regno Unito ed Eurozona e questo potrebbe indurre la Bce a invertire per prima la rotta. Tuttavia, non è la crescita il vero focus delle Banche Centrali: la Bce si concentra esclusivamente sulla stabilità dei prezzi, mentre la Fed ha un duplice mandato, stabilità dei prezzi e piena occupazione.

 

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Per quanto riguarda il mercato del lavoro, il tasso di disoccupazione complessivo negli Stati Uniti è vicino ai minimi degli ultimi cinquant'anni: questo elemento, insieme a un’inflazione ancora oltre il 2%, fa ragionevolmente sorgere qualche dubbio sulla necessità di un taglio dei tassi da parte della Fed, almeno nel breve periodo

 

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Sebbene la piena occupazione non rientri nel mandato della Bce, anche i banchieri centrali europei potrebbero fare un ragionamento simile: con livelli di occupazione ancora elevati e inflazione al di sopra del target, perché tagliare i tassi?

 

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Nel frattempo, negli Stati Uniti, la crescita salariale sta rallentando, pur restando ancora relativamente più alta rispetto alla media storica e superiore all’inflazione. Questo significa che il lavoratore medio sta, molto lentamente, recuperando parte del potere d’acquisto perso, come emerge dal grafico sotto, che raffigura la crescita dei salari per la coorte media e per quella meno retribuita dei lavoratori statunitensi (fonte: Fed di Atlanta). 


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La ricerca dei dati sulla crescita salariale in Eurozona è più complessa, ma anche nel Vecchio Continente la misura (trimestrale) dei salari negoziati mostra una crescita piuttosto robusta. Nessuna delle misure analizzate giustificherebbe quindi un imminente taglio dei tassi.

 

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Il rischio di aspettare troppo 

Dunque, sia negli Stati Uniti che in Area Euro, inflazione e salari raccontano una storia simile: entrambe le metriche sono ancora al di sopra dell'obiettivo, anche se potrebbero cominciare a muoversi nella giusta direzione. Il tasso di disoccupazione è ancora sotto controllo e il mercato del lavoro appare complessivamente in buona salute. La straordinaria performance degli Stati Uniti sul fronte della crescita economica rappresenta un’eccezione rispetto all'Eurozona e alla maggior parte dei mercati sviluppati. Non crediamo che la Bce si farebbe scrupoli a battere sul tempo la Fed, se ci fossero buone ragioni per procedere con un taglio dei tassi, ma, al momento, gli argomenti non sembrano essere troppo convincenti. 

Il rischio è che entrambe le Banche Centrali temporeggino troppo, finendo per compromettere la crescita economica, ma, se si considera che l’alternativa è andare incontro a una nuova fiammata inflattiva, riteniamo che i policymaker siano disposti a correre il rischio di un rallentamento della crescita. 

 

“Atterraggio morbido” per i mercati

La forza che hanno recentemente mostrato i mercati azionari riflette l’ottimismo circa un possibile "atterraggio morbido" dell'economia globale, che dovrebbe riportare l’inflazione entro il target senza danni per la crescita. Il rischio più significativo sarebbe un’eventuale stagflazione, cioè una combinazione di inflazione persistente ed economia stagnante, che probabilmente spingerebbe i policymaker a mantenere i tassi più elevati a lungo, mettendo sotto pressione famiglie e imprese. Negli Stati Uniti, dove l’attività economica si è dimostrata robusta anche in presenza di un’inflazione moderata, la Fed dovrebbe avere a disposizione uno spazio di manovra più ampio, anche in un contesto macro più debole, mentre in Eurozona la situazione, data la debolezza dei dati macro, appare più impegnativa, nonostante il progressivo calo dell’inflazione. Questo potrebbe rivelarsi un vento contrario per i mercati azionari europei, ma le valutazioni attuali, più basse rispetto agli Stati Uniti, sembrano già tenerne conto. 

 

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