L’oro di Klimt conquista Roma, dal rapporto con l’Italia al ritratto ritrovato

- di: Samantha De Martin
 
Trionfi d’oro e donne bellissime. Un corteo di madri, amanti, modelle strette in eleganti abiti da ballo o incorniciate in cappelli vistosi, varca sale del Museo di Roma a Palazzo Braschi sospinto da un erotismo ammaliante. Per il suo ritorno a Roma, a 110 anni dall’Esposizione Internazionale d’Arte del 1911, Gustav Klimt sceglie una kermesse in grande stile, dove una schiera di signore, simili a gioielli, avviluppate in abiti gonfi ed eccentrici piumaggi, sbuca da iconici capolavori, ma anche da opere perdute e ritrovate, distrutte e recuperate grazie ai prodigi della tecnologia.

Gustav Klimt in mostra al Palazzo Braschi di Roma

Fino al 27 marzo 2022 la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia ripercorre la vita e la produzione artistica del padre della Secessione Viennese, con un focus inedito sulla sua esperienza nel belpaese.
Perché c’è tanto di Italia nello stile e nella pittura di paesaggio dell’artista austriaco ammaliato dallo “splendore inaudito” dei mosaici rutilanti d’oro delle chiese di Ravenna, preludio di quell’oro che sarà il segno indelebile della sua arte immortale.

Oltre a essere il Paese che Klimt visitò più spesso, almeno otto volte, l’Italia costituì per il pittore una meta espositiva determinante per la sua carriera. Furono ben due le partecipazioni alla Biennale di Venezia, nel 1899 nella sala austriaca, e nel 1910, con una straordinaria mostra personale. Nel 1911, all’Esposizione internazionale di Roma Klimt fu l’indiscusso protagonista del padiglione austriaco progettato da Josef Hoffmann, mentre nel 1914 inviò un’opera alla II edizione della Secessione romana. I suoi capolavori funsero da faro per pittori come Felice Casorati, Vittorio Zecchin, Galileo Chini, fedelissimi interpreti della sua “pittura a mosaico”.
La forza della rassegna romana scandita da oltre 200 opere - delle quali 49 di Klimt - è tutta racchiusa nella capacità dei curatori di ricreare quel valzer di reciproche contaminazioni - accresciute grazie ai viaggi in Italia - che sancì l’evolversi della ricerca creativa dell’artista. Per questo a Palazzo Braschi il pubblico potrà assistere al dialogo tra i lavori di Klimt e quelli di artisti italiani che, recependo la portata innovativa del suo linguaggio, daranno vita, con sfaccettate sensibilità e declinazioni, alle esposizioni di Ca’ Pesaro e della Secessione romana.

Esploso nel 1912 sulla scorta dei recenti successi del gruppo klimtiano in Italia, il movimento romano si fece promotore di un aggiornamento culturale di livello europeo sull’esempio “modernista” della Secessione austriaca. Oltre alle cartoline autografe che documentano in mostra i viaggi in Italia di Klimt, da Trieste a Venezia (dove confessa di condurre, assieme al fratello, una vita “di bagordi”), da Verona a Firenze, dove si abbandona a “una scorpacciata di arte”, si apprezza in mostra il “monumento pittorico” a Malcesine, sul lago di Garda, con il suo inestricabile reticolo di tetti e facciate sorvegliate dal castello scaligero.
Nel carosello di dipinti, disegni, ceramiche, manifesti dell’epoca che pongono l’artista a dialogo con il suo tempo brillano soprattutto le donne, una fantasmagoria di bocche, mani, seni, trasformati in idoli inaccessibili.
E al visitatore non resta che abbandonarsi a questo straordinario viaggio nel tempo, dalla Vienna fin de siècle dei fermenti culturali e della monumentale Ringstrasse - popolata di giardini e caffè, dove Arnold Schönberg e Alban Berg aprono strade inesplorate alla musica, mentre Sigmund Freud schiude la porta dell’inconscio - all’opera incompiuta dell’ultimo Klimt, affondando gli occhi ora nello sguardo ammaliante di Giuditta I (1901), l’eroina biblica con l’espressione di una viennese moderna, ora in quello dolcissimo di una sposa addormentata sulla spalla del proprio partner, il corpo nascosto da un gruppo di donne fluttuanti.
La Secessione viennese - nata nel 1897 da una scissione del Wiener Künstlerhaus, l’associazione ufficiale degli artisti viennesi che deteneva in pratica il monopolio dell’organizzazione delle mostre cittadine - promuoveva un’opera d’arte totale frutto del legame tra architettura e design.

Grazie alla fondazione della Wiener Werkstätte (Officina viennese) da parte di Moser e Hoffmann, i più importanti progettisti delle mostre allestite nella Secessione, nel 1903 Vienna divenne il centro del design moderno.
“La Secessione” - commenta Franz Smola, curatore della mostra assieme a Maria Vittoria Marini Clarelli e Sandra Tretter - “viene presentata nel percorso espositivo nel suo spettro più ampio, dal realismo crudo fino all’idealizzazione e alla stilizzazione di paesaggi e ritratti femminili. Non manca il design degli architetti viennesi e non mancano i pittori italiani che, come Felice Casorati, hanno imitato lo stile e il decorativismo di Klimt”.

Frugando tra gli abiti alla moda di Johanna Staude e Amalie Zuckerkandl o nello sfondo lussureggiante di Ragazza nel verde, ci si imbatte in prestiti prestigiosi del Belvedere Museum di Vienna e della Klimt Foundation - tra i più importanti musei al mondo a custodire l’eredità artistica klimtiana - ma anche nei capolavori giunti a Roma dalla Neue Galerie Graz.
Un altro interessante punto di forza della rassegna romana è la possibilità offerta agli ospiti di ammirare tre celebri dipinti distrutti da un incendio che nel 1945 colpì il castello di
Immendorf, in Austria.

Grazie alla collaborazione tra Google Arts & Culture Lab Team e il Belvedere di Vienna, “tornano in vita”, ricostruiti digitalmente, i tre Quadri delle Facoltà - La Medicina, La Giurisprudenza e La Filosofia - allegorie realizzate da Klimt tra il 1899 e il 1907 per il soffitto dell’Aula Magna dell’Università di Vienna, e da questa rifiutate perché ritenute scandalose.
Oltre ai dipinti “distrutti” brilla in mostra (anzi guadagna prepotentemente la scena attraverso un interessante focus che chiude il percorso) il capolavoro ritrovato Ritratto di signora (1916-1917) dove una pittura scandita da pennellate sbrigative, che tradiscono un approccio più emozionale e aperto alle atmosfere espressioniste, segna l’ultima fase di attività dell’artista.
È stata la studentessa Claudia Maga a intuire, nel 1996, la particolarissima genesi dell’opera, poi confermata anche dalle analisi cui la tela è stata sottoposta. Klimt dipinge la donna sopra un precedente ritratto ritenuto perduto raffigurante una giovane, identica nel volto e nella posa all’attuale effigiata, ma abbigliata diversamente.

Il 22 febbraio 1997 la tela di Klimt venne rubata dalla Galleria Ricci Oddi di Piacenza per poi ricomparire dopo quasi ventitré anni in un piccolo vano lungo il muro esterno del museo piacentino.
Non mancano, nella trasferta romana, colleghi pittori dell’ambiente della Secessione viennese come Carl Moll e Koloman Moser che condividevano la preferenza di Klimt per paesaggi esteticamente raffinati e idealizzanti nei quali artista trasforma la natura in un cosmo abbagliante di forme e colori.
Ma a lasciare senza fiato è il monumentale Fregio di Beethoven, gioiello del Palazzo della Secessione a Vienna, un complesso programma di immagini che può essere letto come un’interpretazione visiva della Nona Sinfonia di Beethoven. Qui, tra “le sofferenze del debole genere umano”, “l’anelito alla felicità si placa nella poesia”, mentre le figure femminili, che alludono alle Arti, si librano nello spazio spalancando le porte dell’universo ideale, l’unico in cui regna la pace assoluta. L’amore assoluto.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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