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Adolescenti e IA, l’amico che per il 42% sostituisce gli adulti

- di: Bruno Coletta
 
Adolescenti e IA, l’amico che per il 42% sostituisce gli adulti
Adolescenti e IA, l’amico segreto che sostituisce gli adulti
Quasi 4 ragazzi su 10 confidano ansie e scelte importanti ai chatbot mentre crescono isolamento, psicofarmaci e povertà educativa.

Per una fetta crescente di adolescenti italiani, quando il mondo si fa pesante non si bussa più alla porta di un adulto, ma a quella di un algoritmo. Secondo il nuovo Atlante dell’infanzia (a rischio) 2025 dedicato all’adolescenza, oltre il 41% dei ragazzi tra i 15 e i 19 anni ha chiesto aiuto a strumenti di intelligenza artificiale in momenti di tristezza, solitudine o ansia; più del 42% li ha usati per decidere in situazioni delicate, dalle relazioni alla scuola fino al futuro lavoro.

La stessa indagine mostra che più del 92% degli adolescenti usa, in qualche forma, l’IA, contro meno della metà degli adulti, che in maggioranza non l’ha mai sperimentata. Un sorpasso netto, che racconta una generazione che vive in modalità onlife, sempre connessa, in equilibrio instabile tra opportunità e rischi.

Un’adolescenza onlife, tra chat e silenzi

La fotografia tracciata dall’Atlante è quella di ragazzi che trascorrono una buona parte della loro giornata in compagnia dello smartphone. Circa il 38% dichiara di controllare spesso il cellulare anche quando è con amici o parenti, fenomeno ormai noto come phubbing, mentre più di un quarto si sente nervoso quando non ha il telefono con sé.

Non si tratta solo di una questione di tempo passato online: il 13% dei 15-19enni mostra profili di uso problematico di internet, con segnali di iperconnessione che possono trasformare il web in una gabbia invisibile. E quasi la metà riferisce di essere stata vittima di cyberbullismo almeno una volta, un dato in forte aumento rispetto a pochi anni fa.

In parallelo, tutto ciò che richiede di “staccare” dal telefono arretra: solo circa un adolescente su due ha visitato mostre o musei nell’ultimo anno, con percentuali che nel Mezzogiorno scendono sotto il 40%. Meno della metà legge libri fuori dall’obbligo scolastico, e quasi un ragazzo su cinque non pratica alcuna attività fisica, con picchi ancora più alti nelle regioni meridionali.

L’intelligenza artificiale come confidente

In questo ecosistema, l’IA diventa un confidente disponibile 24 ore su 24. Quasi un adolescente su tre, circa il 31%, utilizza strumenti di IA tutti i giorni o quasi; oltre il 43% qualche volta a settimana, mentre solo una piccola minoranza, intorno al 7,5%, dichiara di non usarli mai.

I chatbot generativi sono gli strumenti preferiti: li usa più di due terzi degli intervistati, circa il 68%. Seguono le piattaforme di traduzione automatica e gli assistenti vocali. Una minoranza, ma non trascurabile, si affida invece a chatbot “relazionali” pensati proprio per simulare compagnia emotiva.

Le ragioni d’uso raccontano una relazione molto più complessa di quanto possa suggerire un semplice gioco tecnologico: l’IA serve a cercare informazioni, a farsi aiutare nello studio e nei compiti, a tradurre, a scrivere testi. Ma il dato più delicato è quello legato alla sfera emotiva: una fascia significativa di ragazzi la utilizza per consigli sulla vita quotidiana, per aumentare il proprio benessere psicologico o persino per sentirsi meno soli.

Quasi la metà degli adolescenti intervistati ritiene che l’IA sia ormai fondamentale per la propria vita, e un altro 47% è convinto che un uso ancora più intenso l’aiuterebbe molto anche sul piano personale. In altre parole, l’algoritmo non è più solo uno strumento: diventa un interlocutore stabile nella costruzione dell’identità.

La distanza con gli adulti

Il confronto con gli adulti è impietoso: oltre la metà della popolazione tra i 18 e i 74 anni non utilizza mai l’intelligenza artificiale, e solo una piccola quota l’adopera quotidianamente. Questo significa che ragazzi e genitori, spesso, non parlano la stessa lingua digitale.

Quando un adolescente confida una difficoltà a un chatbot, è probabile che gli adulti di riferimento non abbiano la minima idea di come funzioni quello strumento, né di quali risposte possa restituire. Si crea così un vuoto di mediazione: i ragazzi cercano ascolto, ma lo trovano altrove, in uno spazio che gli adulti non presidiano.

Come sottolinea una delle responsabili delle ricerche di chi lavora con i minori, “se non diamo ai ragazzi luoghi reali di ascolto e confronto, loro li cercheranno comunque, e li troveranno dove c’è qualcuno – o qualcosa – che risponde subito”, osserva una dirigente del settore ricerche di un’organizzazione per l’infanzia che ha curato l’Atlante.

Il lato oscuro: psicofarmaci e isolamento

La relazione con l’IA non può essere letta senza lo sfondo della salute mentale. Nello stesso Atlante emerge che circa il 9% degli adolescenti si è isolato volontariamente, anche solo per periodi brevi, a causa di problemi psicologici; quasi uno su otto riferisce di aver fatto uso di psicofarmaci senza prescrizione medica nell’ultimo anno, con percentuali più alte tra le ragazze.

Questi numeri si inseriscono in un quadro già preoccupante: in Italia si stima che siano centinaia di migliaia i giovani under 25 che soffrono di ansia, depressione o altri disturbi psicologici, e la grande maggioranza dei problemi di salute mentale insorge entro i 24 anni.

Non solo: i dati sull’uso dei farmaci indicano che, in meno di dieci anni, l’impiego di psicofarmaci in età pediatrica e adolescenziale è più che raddoppiato. Una crescita che spinge molti specialisti a chiedere più prevenzione, più servizi territoriali e meno solitudine dei nuclei familiari di fronte alla sofferenza dei figli.

Diversi neuropsichiatri infantili ricordano che i farmaci, quando necessari e prescritti, possono essere strumenti preziosi, ma avvertono: “il rischio vero non è tanto il farmaco in sé, quanto il fai-da-te e la mancanza di percorsi psicologici strutturati”, ha spiegato uno dei principali esperti italiani del settore in una recente intervista.

Ragazze più fragili, ragazzi più silenziosi

L’Atlante evidenzia anche un marcato divario di genere. Circa il 60% degli adolescenti si dichiara soddisfatto o molto soddisfatto di sé, ma la forbice è ampia: tra i ragazzi la quota è nettamente più alta, mentre tra le ragazze scende sensibilmente.

Se si guarda a un indice di benessere psicologico complessivo, meno della metà dei giovani mostra un buon equilibrio, con le ragazze sistematicamente più esposte a sentimenti di ansia, tristezza e inadeguatezza. Alcuni studi europei collocano l’Italia tra i Paesi con il gap di genere più ampio sul benessere psicologico in adolescenza.

Paradossalmente, però, le relazioni restano una risorsa fondamentale: più di otto adolescenti su dieci si dichiarano soddisfatti del rapporto con gli amici e una vasta maggioranza ha un buon rapporto con i genitori, anche se quasi un terzo riferisce di aver vissuto gravi conflitti familiari.

È proprio in questo intreccio tra forte bisogno di legami e paura di esporsi che l’intelligenza artificiale trova spazio: permette di fare domande scomode senza il timore di essere giudicati, ma rischia di sostituirsi al confronto con persone reali.

Povertà educativa, viaggi negati e disuguaglianze

La ricerca non parla solo di salute mentale e digitale, ma anche di povertà educativa. Meno della metà dei giovani tra i 15 e i 24 anni ha fatto nell’ultimo anno una vacanza o una gita di almeno una notte, contro percentuali molto più elevate di coetanei di altri Paesi europei.

Persistono forti divari territoriali: nel Mezzogiorno si legge meno, si viaggia meno, si visitano meno musei, si fa meno sport. Ne risulta un’Italia doppia, in cui lo stesso adolescente ha opportunità molto diverse a seconda del luogo in cui nasce.

Come ricorda una delle curatrici dell’Atlante, “le disuguaglianze economiche, educative e sociali pesano proprio nella fase in cui si costruisce il futuro: se non interveniamo adesso, rischiamo di condannare un’intera generazione a una corsa a ostacoli permanente”, ha sottolineato una responsabile di programmi per l’infanzia di un’importante organizzazione umanitaria.

Che cosa chiedono davvero all’IA gli adolescenti

Dietro i numeri, ci sono domande molto concrete. I ragazzi consultano i chatbot su come gestire un litigio, se continuare o chiudere una relazione, come parlare ai genitori di un problema, se cambiare scuola o indirizzo di studi. Chiedono consigli su come affrontare un attacco di ansia, su come “stare meglio” quando si sentono schiacciati da aspettative e confronti continui.

In molti casi, l’IA offre risposte genericamente rassicuranti o suggerisce di rivolgersi a un adulto di fiducia o a uno specialista. Ma non sempre è così: i sistemi non sono pensati come dispositivi terapeutici e spesso non hanno accesso alle risorse territoriali di cui un ragazzo potrebbe avere bisogno, come consultori, psicologi scolastici, servizi pubblici.

Per questo diversi esperti insistono sulla necessità di educazione digitale critica: non si tratta di demonizzare l’IA, quanto di insegnare a usarla come supporto e non come unico punto di riferimento. In altre parole, imparare a distinguere tra un consiglio generico di un algoritmo e l’ascolto personalizzato di una persona in carne e ossa.

Le risposte possibili: scuola, sanità e famiglia

Di fronte a questa nuova geografia dell’adolescenza, gli interventi possibili si muovono su più piani.

A scuola, molte organizzazioni propongono di portare l’educazione all’uso dell’IA dentro i programmi scolastici: spiegare come funzionano i modelli generativi, quali sono i loro limiti, in che modo possono essere usati responsabilmente per studiare, e dove invece è indispensabile l’intervento umano.

Nel sistema sanitario, i dati sulla crescita dei disturbi psicologici giovanili e sull’aumento nell’uso di psicofarmaci indicano la necessità di rafforzare la rete di neuropsichiatria infantile, abbattere le liste d’attesa, garantire l’accesso a percorsi psicologici gratuiti o a basso costo.

In famiglia, infine, si gioca una partita decisiva. Il divario generazionale sull’uso dell’IA non può diventare un muro invalicabile: serve che gli adulti si mettano in gioco, provino gli strumenti che usano i figli, facciano domande, ascoltino senza giudizio.

Come sintetizza una delle voci del mondo educativo, “il problema non è che i ragazzi parlano con l’IA, ma che spesso non hanno abbastanza adulti con cui parlare davvero”, ha dichiarato una psicologa che lavora in progetti di supporto scolastico per adolescenti.

Un equilibrio ancora tutto da costruire

L’Atlante “senza filtri” sull’adolescenza italiana racconta una generazione competente, veloce e connessa, che usa l’IA per imparare, per ridere, per ridurre le fatiche della scuola, ma anche per affrontare paure che non sempre sa come nominare.

La sfida, per il mondo adulto, è non restare a bordo campo: accompagnare questa rivoluzione tecnologica con strumenti di tutela, di ascolto e di partecipazione reale. Accettando l’idea che, accanto alla chat con un algoritmo, ogni ragazzo e ogni ragazza deve avere la certezza di poter contare su una rete di relazioni umane solida, competente e presente.

Solo così l’intelligenza artificiale potrà essere davvero un alleato, e non l’ennesimo specchio che restituisce, amplificata, la solitudine dei più giovani.

Fonti e contesto

I dati citati provengono principalmente dall’Atlante dell’infanzia (a rischio) 2025 dedicato all’adolescenza, pubblicato e diffuso il 14 novembre 2025, e da approfondimenti e materiali divulgativi resi disponibili in occasione della presentazione.

Ulteriori informazioni su iperconnessione, cyberbullismo, povertà educativa e benessere psicologico degli adolescenti sono state ricavate da servizi, ricerche e analisi nazionali sul mondo giovanile pubblicati nello stesso periodo.

Il quadro sulla salute mentale giovanile e sull’uso di psicofarmaci in età evolutiva si basa su rapporti nazionali sull’impiego dei farmaci, su dati epidemiologici aggiornati e su contributi di neuropsichiatri infantili e psicologi che lavorano con preadolescenti e adolescenti.

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