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TIM chiude con le risparmio: conversione, premi e nodo Poste

- di: Marta Giannoni
 
TIM chiude con le risparmio: conversione, premi e nodo Poste
TIM chiude con le risparmio: conversione, premi e nodo Poste

Con un conguaglio in contanti e una maxi-sforbiciata al capitale, il gruppo prova a semplificare la Borsa (e a togliersi un “dividendo garantito” dal collo). 

(Foto: Pietro Labriola, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Tim).

La mossa: una sola categoria di azioni (quasi) e più spazio di manovra

TIM ha messo sul tavolo un’operazione che in finanza suona come “decluttering”: eliminare (o quasi) la storica distinzione tra azioni ordinarie e azioni di risparmio. Il Consiglio di amministrazione ha deciso di portare agli azionisti, in un unico pacchetto, conversione delle risparmio in ordinarie e riduzione volontaria del capitale sociale.

Obiettivo dichiarato: semplificare la governance, ridurre i costi legati a una struttura a più categorie e rendere più liquido il titolo ordinario, ampliandone il flottante. In controluce c’è anche un tema pratico: le risparmio prevedono privilegi economici che, in determinate condizioni, pesano come un “impegno” ricorrente.

Quanto vale la conversione: 1 a 1 e conguaglio cash (due binari)

La proposta prevede due passaggi:

  • Conversione facoltativa: per ogni azione di risparmio, 1 azione ordinaria più 0,12 euro in denaro pagati dalla società.
  • Conversione obbligatoria (per le risparmio rimaste in circolazione alla fine della finestra facoltativa): 1 azione ordinaria più 0,04 euro in denaro.

TIM ha anche pubblicato i premi impliciti calcolati rispetto ai prezzi di mercato, prendendo come riferimento il 19 dicembre 2025: per la conversione facoltativa il premio indicato è positivo, mentre quello della conversione obbligatoria risulta inferiore (valori e metodologia sono nella documentazione societaria).

Come “cornice” dell’operazione compaiono due advisor: Goldman Sachs Bank Europe e Intermonte.

Cedole arretrate e premio statutario: perché TIM parla di “riconoscimento”

Il punto che più interessa i piccoli azionisti è il contenuto economico del conguaglio: la società lega la proposta al riconoscimento di quanto previsto dalle risparmio, comprese cedole privilegiate maturate e un valore aggiuntivo che, nelle intenzioni, remunera il differenziale storico rispetto alle ordinarie.

In altre parole: TIM prova a trasformare una categoria nata per garantire priorità economiche in un “biglietto di uscita” verso il titolo ordinario, mettendo sul piatto liquidità e un rapporto di conversione lineare.

Riduzione del capitale a 6 miliardi: il tassello che finanzia (anche) il conguaglio

La conversione non viaggia da sola. Il CdA propone anche di ridurre il capitale sociale a 6 miliardi di euro, destinando una parte a riserva legale (fino a un quinto del capitale post-riduzione) e il resto a una riserva disponibile.

Questa riserva, nelle carte societarie, viene indicata come “serbatoio” utile anche a coprire il fabbisogno patrimoniale legato al conguaglio della conversione. TIM collega la scelta agli effetti della cessione di FiberCop (chiusa nel 2024), che avrebbe ridotto debito e capitale investito senza una parallela riduzione del capitale nominale.

Recesso e paletti: la clausola dei 100 milioni che può far saltare il banco

La proposta include un tema spesso sottovalutato: il diritto di recesso per gli azionisti di risparmio che non concorreranno all’approvazione della conversione obbligatoria. Il CdA ha indicato un valore di liquidazione pari a 0,5117 euro per azione, calcolato sulla media dei prezzi di chiusura nei sei mesi precedenti l’avviso di convocazione.

Ma c’è un “freno di emergenza”: l’efficacia della conversione è subordinata (condizione rinunciabile dalla società) al fatto che l’esborso massimo per liquidare le azioni oggetto di recesso e non riacquistate/ricollocate non superi 100 milioni di euro.

Tradotto: se il recesso diventasse un’onda troppo alta, la società si è riservata una via d’uscita.

Calendario: il voto è vicino, gli effetti (forse) più avanti

Le assemblee sono state convocate per il 28 gennaio 2026 (ordinaria, straordinaria e speciale per i risparmisti). La conversione e la riduzione di capitale sono presentate come inscindibili: o passano insieme, o non passa nulla.

Inoltre, la riduzione del capitale può essere bloccata da eventuali opposizioni dei creditori nei tempi previsti dal codice civile: un dettaglio procedurale che, nella pratica, può incidere sulla tempistica finale.

Il fattore Poste: una conversione che ridisegna le percentuali

Nel puzzle entra un convitato di pietra: Poste Italiane, oggi primo azionista di TIM. In base a ricostruzioni di mercato, una conversione 1 a 1 avrebbe un effetto “meccanico” di diluizione delle quote sulle ordinarie, potenzialmente portando Poste sotto la soglia che fa scattare l’OPA obbligatoria.

Il tema è caldo perché Poste ha comunicato di voler utilizzare l’esenzione prevista dal regolamento, impegnandosi a rientrare entro i limiti in un periodo definito e a non esercitare i diritti di voto sulle azioni eccedenti nel frattempo. Se la conversione facesse scendere automaticamente la percentuale, cambierebbe anche la traiettoria di quell’impegno.

La benzina di breve periodo: la sentenza sul “canone 1998” e il miliardo che arriva

L’operazione arriva a ridosso di una notizia che ha dato ossigeno alla cassa e al racconto strategico: la Cassazione ha chiuso una controversia ultradecennale legata al contributo richiesto agli operatori dopo la liberalizzazione del settore, riconoscendo a TIM un rimborso che, tra interessi e rivalutazione, supera 1 miliardo di euro.

In sintesi: una sentenza che libera risorse e rende più credibile un’operazione che richiede liquidità (anche solo per il conguaglio e per gestire eventuali recessi).

Governance: una cooptazione in CdA e un’uscita già datata

Nello stesso passaggio, TIM ha anche aggiornato la “plancia” del Consiglio: dopo le dimissioni di un consigliere indipendente (efficaci dal 1° gennaio 2026), il CdA ha cooptato Lorenzo Cavalaglio, indicandolo come amministratore indipendente.

È un dettaglio che conta perché la conversione non è solo una questione di numeri: è anche una riscrittura della struttura azionaria, e la governance in questi snodi diventa parte del messaggio al mercato.

Che cosa cambia per chi ha le risparmio (e per chi ha le ordinarie)

Per gli azionisti di risparmio la domanda è semplice e brutale: conviene? La risposta dipende da tre variabili: valore del conguaglio rispetto alle aspettative di mercato, eventuale recesso e prezzo dell’ordinaria nel periodo della conversione.

Per gli azionisti ordinari, invece, il punto è un altro: diluizione nel breve contro semplificazione e (potenzialmente) maggiore flessibilità nel medio. Il mercato tende a premiare i capitali “puliti” e le governance lineari, ma il conto lo decide sempre il pricing.

C’è infine un passaggio tecnico importante: la società indica che la conversione avrebbe efficacia prima di un’eventuale distribuzione di dividendi riferita all’esercizio 2025, e quindi le risparmio non beneficerebbero per il 2025 di eventuali privilegi economici statutari.

Il vero test: assemblea speciale e quorum qualificati

La conversione non passa “a maggioranza semplice” come una formalità. Serve il via libera dell’assemblea generale e, soprattutto, quello dell’assemblea speciale degli azionisti di risparmio per la parte obbligatoria, secondo le regole del TUF.

In sostanza, TIM può avere un impianto tecnico impeccabile, ma il verdetto lo scrivono due platee con interessi diversi: chi vuole chiudere il capitolo delle risparmio e chi vuole massimizzare il valore di uscita. 

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