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Suicidio assistito, donna di 44 anni presenta ricorso urgente: “Ho diritto a non soffrire”

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Suicidio assistito, donna di 44 anni presenta ricorso urgente: “Ho diritto a non soffrire”

FOTO: Luca Cappato

“Ho diritto di non essere condannata a soffrire”. Con queste parole una donna campana di 44 anni, affetta da sclerosi laterale amiotrofica (SLA), ha deciso di rivolgersi ai giudici dopo il diniego ricevuto dalla propria azienda sanitaria alla richiesta di suicidio medicalmente assistito. La vicenda, resa nota dall’associazione Luca Coscioni, rappresenta la terza richiesta in Campania di accesso alla procedura di morte volontaria assistita, diritto che in Italia rimane sospeso tra pronunce giurisprudenziali e incertezze legislative.

La donna campana di 44 anni presenta ricorso urgente: “Ho diritto a non soffrire”

La donna, la cui identità non è stata resa pubblica, ha presentato la domanda seguendo il percorso stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale 242/2019 (caso Cappato-Dj Fabo), che ha riconosciuto la non punibilità dell’aiuto al suicidio in precise condizioni. Nonostante la documentazione medica e l’assistenza legale, la Asl ha negato l’autorizzazione, costringendola così a rivolgersi al tribunale di Napoli con un ricorso d’urgenza. “La mia vita è ormai priva di autonomia e dignità, non voglio continuare a sopportare sofferenze inutili”, avrebbe scritto la donna nella richiesta inoltrata ai giudici.

Il quadro normativo ancora incompiuto

La battaglia della paziente mette nuovamente in evidenza il vuoto legislativo che circonda il suicidio assistito in Italia. Dopo la storica sentenza della Consulta, il Parlamento non ha ancora approvato una legge organica in materia. Alcune regioni hanno avviato protocolli locali, ma le differenze territoriali creano una situazione di incertezza e diseguaglianza. Così, mentre alcuni malati riescono a ottenere l’accesso alle procedure, altri si trovano costretti a rivolgersi ai tribunali o a intraprendere lunghi percorsi burocratici che finiscono per amplificare la sofferenza.

Il ruolo dell’associazione Luca Coscioni


Ad affiancare la donna nella sua battaglia c’è l’associazione Luca Coscioni, da anni in prima linea per la libertà di scelta sul fine vita. L’associazione ha denunciato come il rifiuto della Asl rappresenti una violazione del diritto riconosciuto dalla Corte costituzionale e un ostacolo ulteriore in un momento già segnato da dolore e fragilità. “Non è accettabile che cittadini in condizioni gravissime debbano combattere contro le istituzioni per veder riconosciuto un diritto sancito dalle sentenze”, hanno dichiarato i rappresentanti del movimento, chiedendo un intervento immediato del Parlamento.

Il dibattito politico e sociale

La vicenda riapre un dibattito che da anni divide la politica italiana. Le forze progressiste chiedono una legge chiara e rispettosa delle libertà individuali, mentre le componenti più conservatrici del Parlamento temono derive etiche e si oppongono a una regolamentazione che possa aprire la strada a un’estensione delle pratiche di fine vita. Nel frattempo, i tribunali diventano l’unico punto di riferimento per i cittadini, costringendo i giudici a colmare un vuoto normativo che il legislatore non è riuscito a colmare.

Una battaglia di dignità personale


Per la donna campana la questione non è politica, ma profondamente personale. Ogni giorno convive con una malattia progressiva e invalidante, che le impedisce di compiere anche i gesti più semplici. La sua richiesta non nasce dal desiderio di abbandono, ma dal bisogno di decidere come e quando mettere fine a una vita che percepisce come solo sofferenza. La voce della paziente si aggiunge a quella di altre persone che negli ultimi anni hanno intrapreso battaglie simili, trasformando il proprio dramma in una richiesta collettiva di dignità e libertà.

In attesa della decisione dei giudici

Ora sarà il tribunale di Napoli a pronunciarsi sul ricorso. L’attesa è carica di speranza e di timore, perché una decisione favorevole potrebbe costituire un precedente importante per altri malati nella stessa condizione, mentre un nuovo diniego rischierebbe di alimentare la sensazione di isolamento e di ingiustizia. Nel frattempo, il caso continua a far discutere, riportando al centro dell’agenda politica e mediatica un tema che tocca le coscienze di tutti: fino a che punto lo Stato può imporre la vita e negare il diritto di scegliere una morte senza dolore?
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