Via il cumulo con i fondi, risparmi fino a 130 milioni e scontro politico.
La Manovra 2026 segna un punto di svolta sulle pensioni. Il nuovo maxi emendamento del governo, all’esame della Commissione Bilancio del Senato, cancella la possibilità di anticipare la pensione di vecchiaia sommando l’assegno pubblico con la rendita della previdenza complementare. Una scelta che vale risparmi crescenti per lo Stato ma che accende un duro confronto politico.
Salta il cumulo con i fondi complementari
La norma eliminata consentiva, dal 2025, di raggiungere prima l’importo minimo necessario per la pensione di vecchiaia utilizzando anche i fondi complementari. Era pensata soprattutto per i lavoratori interamente nel sistema contributivo, con almeno 20 anni di versamenti.
Secondo la relazione tecnica del Ministero dell’Economia (dicembre 2025), la cancellazione produce minori spese previdenziali progressive: poco più di 12 milioni nel 2026, oltre 70 milioni intorno al 2030, fino a superare i 130 milioni di euro nel 2035.
Giorgetti: «Non era ritenuta strategica»
A spiegare senza giri di parole la decisione è stato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. «Quella è una cosa introdotta l’anno scorso, dal nostro governo, che pare non interessasse a nessuno. A me dispiace ma evidentemente non è stata ritenuta strategica», ha dichiarato rispondendo ai cronisti.
La replica chiarisce la linea dell’esecutivo: la misura non ha prodotto l’effetto sperato e viene sacrificata nel nome del rigore dei conti.
Più tagli anche per i lavoratori precoci
Lo stop all’anticipo con i fondi non è l’unica stretta. La manovra rafforza i tagli all’anticipo pensionistico per i lavoratori precoci, che dal 2034 saliranno a 190 milioni di euro annui. Ridotta anche la dotazione del Fondo per i lavori usuranti, con una decurtazione stabile di 40 milioni l’anno dal 2033.
Il messaggio è chiaro: sul fronte pensioni il governo punta a contenere strutturalmente la spesa, anche a costo di ridurre gli spazi di flessibilità in uscita.
Tfr e previdenza: occasione mancata per i giovani
Il capitolo pensioni si intreccia con quello del Tfr e della previdenza complementare. Nel maxi emendamento resta l’adesione automatica dei neoassunti ai fondi, con possibilità di rinuncia, ma il dibattito politico ha già lasciato il segno.
Secondo Luigi Marattin, deputato e segretario del Partito liberaldemocratico, la norma sul silenzio-assenso del Tfr è stata affossata da un fronte trasversale. «Ad aver bloccato una misura che avrebbe favorito i giovani è stato anche il Pd».
Lo scontro politico esplode
Marattin punta il dito anche contro la maggioranza: «Sul maxi emendamento si sono scontrati l’atteggiamento responsabile di Giorgetti e il populismo di Borghi. Ne è uscito vincitore quest’ultimo, che a questo punto è il vero ministro dell’Economia». Un giudizio durissimo che fotografa il clima attorno alla manovra.
Il risultato è una riforma delle pensioni fatta più di rinunce che di aperture, con l’uscita anticipata sempre più difficile e il peso della sostenibilità finanziaria che prevale sulle promesse di flessibilità.
Una scelta che pesa nel tempo
La cancellazione dell’anticipo della pensione di vecchiaia non è solo un aggiustamento tecnico. È una scelta politica netta che ridisegna il rapporto tra previdenza pubblica e complementare e lascia aperta una domanda: come garantire un’uscita dignitosa a chi avrà carriere discontinue e assegni contributivi più bassi?
Per ora la risposta del governo è una sola: prudenza sui conti. Il prezzo, però, rischia di essere pagato dalle prossime generazioni di pensionati.