Il cancelliere tedesco scopre il prezzo dell’azzardo.
Ha puntato tutto su una sola carta, convinto che bastasse l’insistenza per piegare le resistenze europee. E invece il Consiglio europeo di dicembre ha restituito l’immagine di un cancelliere isolato, costretto alla ritirata e politicamente ammaccato. Il dossier sul finanziamento all’Ucraina, costruito attorno all’uso degli asset russi congelati, si è trasformato nel simbolo di una leadership che fatica a fare i conti con il consenso.
Secondo ricostruzioni pubblicate dalla stampa italiana e tedesca (Repubblica, Corriere della Sera, Der Spiegel), le alternative esistevano. Una proposta tecnica era circolata negli uffici della Commissione europea già nelle settimane precedenti. Un’altra, più prudente, era stata evocata in ambienti della Banca centrale europea. Ma Merz ha scelto di ignorarle, insistendo pubblicamente su una linea che non aveva ancora raccolto una maggioranza solida.
Il vertice e lo scontro politico
Il risultato è stato un Consiglio europeo teso e inconcludente. Diplomatici presenti alla riunione raccontano di ore spese non per negoziare una soluzione, ma per convincere il cancelliere tedesco a fare un passo indietro. Un funzionario europeo ha sintetizzato così il clima, in dichiarazioni raccolte il 20 dicembre: «Con Merkel si parlava poco in pubblico e molto prima. Qui è successo l’opposto».
Non è passato inosservato neppure il metodo. Alcuni leader, tra cui il premier belga, avrebbero appreso i dettagli della proposta sugli asset russi dalla stampa. Un errore di stile che a Bruxelles pesa quanto una sconfitta politica.
Il confronto inevitabile con Merkel
Il paragone con Angela Merkel è diventato inevitabile. Non per nostalgia, ma per metodo. L’ex cancelliera era famosa per costruire le decisioni nel tempo, accumulando consenso prima ancora che la questione arrivasse sul tavolo. «Parlava alla fine – ricorda una fonte diplomatica citata dalla stampa tedesca – ma quando parlava, la partita era già chiusa».
Merz, al contrario, ha scelto una strategia muscolare, più adatta a un capo dell’opposizione che a un cancelliere. Un approccio che oggi mostra tutti i suoi limiti.
Le crepe nella maggioranza
Le difficoltà non si fermano a Bruxelles. Sul fronte interno, il cancellierato di Merz è iniziato con un episodio senza precedenti: la mancata elezione al primo voto al Bundestag, con diciotto franchi tiratori emersi all’improvviso. Un segnale ignorato troppo in fretta.
Nei mesi successivi, le tensioni nella Cdu/Csu si sono moltiplicate. Dal pacchetto pensioni, approvato per pochi voti dopo giorni di incertezza, fino alla recente scelta della Fondazione Adenauer, che ha indicato una presidente diversa da quella sponsorizzata dalla cancelleria. Un’altra sconfitta politica, maturata nel silenzio.
Il fattore consenso
Secondo analisi pubblicate da Süddeutsche Zeitung e Frankfurter Allgemeine Zeitung, il problema centrale resta uno: Merz parla poco con il suo stesso partito. Dove Helmut Kohl telefonava a ogni deputato, il cancelliere attuale sembra affidarsi alla forza dell’annuncio pubblico.
Una scelta che espone il governo a continui rischi parlamentari e rafforza l’idea di una leadership più impulsiva che inclusiva.
Uno snodo decisivo
Il Consiglio europeo di dicembre segna dunque uno spartiacque. Non solo per la politica europea sull’Ucraina, ma per il futuro stesso del cancellierato Merz. Le prossime settimane diranno se il leader della Cdu saprà correggere la rotta, tornando a tessere alleanze, o se continuerà a confidare nella prova di forza.
Per ora, il verdetto politico è netto: la linea dura senza consenso non basta. E in Europa, come a Berlino, il conto arriva sempre.