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Nexperia, scissione dei chip: l’Olanda teme il travaso in Cina

- di: Marta Giannoni
 
Nexperia, scissione dei chip: l’Olanda teme il travaso in Cina
Nexperia, scissione dei chip: l’Olanda teme il travaso in Cina
Tra tribunali, wafer “locali” e ritorsioni: la guerra silenziosa che può fermare le auto.

(Foto: un chip Nexperia per auto).

C’è un modo molto moderno di fare geopolitica: non con i carri armati, ma con le spedizioni di wafer. E nella partita che sta scuotendo Nexperia, produttore di semiconduttori con testa in Europa e nervi scoperti in Cina, basta un rubinetto chiuso (o riaperto a gocce) per far tremare una catena industriale intera. A partire dall’automotive.

Il punto non è solo “chi comanda” in azienda. È che cosa resta in Europa – competenze, ricette di produzione, forniture – quando una multinazionale è attraversata da una frattura tra governance occidentale e interessi industriali cinesi. In queste settimane la frattura si è fatta concreta: la controllata cinese si è mossa per svincolarsi dalle forniture legate al perimetro olandese, cercando alternative domestiche per sostenere la produzione futura di chip di potenza.

Che cosa è successo davvero: la cronologia di una rottura

La vicenda accelera nell’autunno 2025, quando nei Paesi Bassi esplode lo scontro su governance e rischio di “trasferimenti” tecnologici. Le istituzioni olandesi intervengono e un tribunale adotta misure d’urgenza: il manager al centro della contesa, Zhang Xuezheng, viene sospeso dai suoi incarichi e i diritti di voto delle quote riconducibili a Wingtech vengono affidati, in larga parte, a un amministratore indipendente.

A metà ottobre, la stessa Nexperia rende pubblico che esistono “validi motivi” per dubitare della corretta gestione nel periodo contestato e che la guida operativa passa a un interim management. Sulla carta è un intervento di stabilizzazione. Nella pratica è l’inizio di una guerra a bassa intensità: carte legali, pressioni diplomatiche, e soprattutto forniture che si interrompono.

A fine ottobre-inizio novembre, la casa madre comunica ai clienti lo stop alle forniture dirette di wafer verso un impianto cinese, motivando la decisione con l’impossibilità della unità locale di operare in linea con le regole di governance del gruppo. Poco dopo, dai canali istituzionali e industriali filtrano effetti a catena: un segmento di chip “maturi”, spesso invisibili al grande pubblico, diventa improvvisamente rarissimo per chi produce automobili.

Il cuore industriale: wafer, IGBT e perché l’auto si blocca per chip “non glamour”

Quando si parla di semiconduttori, l’immaginario corre all’AI e ai chip da data center. Ma l’automotive vive anche di componenti meno celebrati: discreti, diodi, MOSFET e soprattutto IGBT e moduli di potenza, fondamentali per inverter, trazione elettrica, gestione energetica e una miriade di centraline. Sono tecnologie “legacy” solo nel racconto: in fabbrica, se mancano, si ferma la linea.

Ed è qui che la scissione Nexperia fa male: la controllata cinese, secondo documenti e ricostruzioni di stampa economica internazionale, avrebbe impostato un piano per sostenere la produzione del 2026 rimpiazzando i wafer in arrivo dal perimetro olandese con forniture locali, avviando verifiche accelerate su materiali e processi per non fermare gli impianti. Una mossa industriale, certo. Ma anche un segnale politico: “possiamo camminare da soli”.

Il nodo Zhang e l’ombra Wingtech: più di una poltrona, è una leva strategica

Il nome di Zhang Xuezheng è diventato un simbolo perché incrocia due paure occidentali: controllo e trasferimento di asset. La battaglia legale è ancora viva: Wingtech ha presentato ricorsi per contestare l’impianto delle misure olandesi e, dall’altra parte, l’esecutivo dell’Aia ha spinto per procedure rapide, sostenendo l’urgenza di evitare spostamenti di asset e capacità operative fuori dall’Europa.

In parallelo, emerge un dettaglio che pesa come un macigno: secondo documenti citati dalla stampa britannica, gli Stati Uniti avrebbero segnalato già mesi prima che la presenza del CEO contestato potesse complicare i rapporti commerciali e le esportazioni verso il mercato americano. Tradotto: non è solo una lite societaria, è un dossier dove export control e sicurezza economica entrano dalla porta principale.

Ritorsioni e “rubinetto” commerciale: l’effetto domino sull’industria

Quando una filiera è tesa, basta un gesto per farla vibrare. Dopo l’intervento olandese, Pechino reagisce con misure che – in varie fasi – hanno limitato l’uscita di prodotti assemblati o confezionati in Cina, aumentando l’incertezza per i clienti internazionali. Il risultato è un clima da “fornitura contingentata”: consegne più lente, verifiche extra, e pianificazione industriale che diventa un esercizio di equilibrismo.

Il segnale più rumoroso arriva dal mondo auto: alcuni costruttori dichiarano stop temporanei o riduzioni di produzione in stabilimenti tra Asia ed Europa a causa della carenza di chip legati a questa catena di approvvigionamento. Il messaggio è brutale: la geopolitica dei semiconduttori non riguarda solo i chip avanzati, ma anche quelli che tengono in piedi la manifattura quotidiana.

Un caso europeo, non solo olandese: che cosa rischia l’Ue

La storia Nexperia è un promemoria per Bruxelles: l’Europa può costruire piani industriali ambiziosi, ma resta vulnerabile se perde il controllo su anelli specifici della catena. Qui non parliamo di un singolo brevetto. Parliamo di processi, “ricette” produttive, relazioni di fornitura, personale specializzato e conoscenza tacita: quella che non sta nei manuali, ma nelle fabbriche.

Per questo il caso viene letto anche come laboratorio di sovranità industriale: quanto è realistico proteggere asset strategici restando un’economia aperta? E quali strumenti servono per intervenire prima che una crisi di governance diventi una crisi di produzione?

Il contesto più ampio: la corsa cinese a “fare da sé” (anche sulle macchine)

La frattura Nexperia non nasce nel vuoto. Nello stesso periodo, una grande inchiesta internazionale descrive l’accelerazione cinese sul “collo di bottiglia” più ambito: la litografia EUV. Secondo la ricostruzione, Pechino avrebbe messo in piedi un programma coordinato per sviluppare un prototipo capace di generare luce EUV, pur senza essere ancora in grado di produrre chip finiti con continuità industriale. La logica è la stessa che si vede nel caso Nexperia: ridurre dipendenze e stringere la catena dentro i confini.

In parallelo, l’industria cinese continua a spremere ciò che già possiede, aggiornando e ottimizzando macchinari di litografia meno avanzati, cercando margini produttivi dove i controlli export lasciano spiragli. È un mosaico: un pezzo sono le macchine, un pezzo sono le persone, un pezzo sono le forniture “mature” ma cruciali. E ogni pezzo ha impatto su un’Europa che, nel frattempo, scopre quanto sia sottile la linea tra competizione e dipendenza.

Che cosa può accadere adesso: tre scenari (e un punto fermo)

1) Separazione operativa di fatto. Anche senza uno “split” formimo, la controllata cinese può consolidare forniture domestiche e procedure autonome. L’azienda diventerebbe una federazione: stesso nome, due muscoli che non rispondono più allo stesso cervello.

2) Compromesso politico-aziendale. Una de-escalation è possibile se i governi riducono la pressione e la governance viene ristrutturata con garanzie verificabili su asset e controlli interni. Ma resta il problema: la fiducia, una volta incrinata, costa anni.

3) Nuova stretta regolatoria europea. Il caso può spingere l’Ue a irrigidire screening sugli investimenti e ad alzare l’asticella sulle tecnologie “dual use”, includendo più componenti automotive e di potenza nelle liste di attenzione.

Un punto fermo: nel 2026 l’auto non potrà permettersi sorprese. E ogni attore – governi, fornitori, costruttori – sta imparando la lezione più semplice e più scomoda: un chip da pochi euro può valere più di una campagna pubblicitaria miliardaria, perché può fermare una fabbrica. 

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