La strage dopo la festa: Riccardo chiude i conti con il suo malessere, massacrando la sua famiglia

- di: Redazione
 
Riccardo ha 17 anni e, quando ancora nella casa della sua famiglia, risuonavano le risate che avevano accompagnato la festa di compleanno del padre, ha preso in cucina un grosso coltello, di quelli che la madre chissà quante volte aveva usato.
Davanti al corridoio di casa, una villetta a Paderno Dugnano, mentre la sua famiglia già dormiva, ha deciso quale porta aprire per primo, e ha scelto quella di Lorenzo, il fratellino, dodici anni appena, che in lui, così bravo a scuola e in famiglia, aveva il suo idolo. Lo ha visto dormire, nel suo lettino. Si è avvicinato e ha cominciato a colpire, una, due, tante volte, non a casaccio, perché la coltellata mortale è stata quella alla gola del piccolo di casa che, prima di morire, ha gridato, svegliando i genitori, che dormivano nella stanza accanto. Riccardo si è girato e si è trovato davanti la madre, Daniela, 48 anni e quindi il padre, Fabio, 51 anni, e li massacrati, stando bene attento a dove piazzare le coltellate.

La strage dopo la festa: Riccardo chiude i conti con il suo malessere, massacrando la sua famiglia

La telefonata al 112 per dire d'avere ucciso il padre, che aveva ammazzato il fratellino e la madre, è stato solo un tentativo di sfuggire alle sue responsabilità.
Una storia di follia? Forse, anche se, avanti ai carabinieri e, quindi, ai magistrati (quelli della procura dei minori), Riccardo è sembrato lucido, facendo seguire, all'iniziale distacco dalle cose che raccontava, una presa di coscienza dell'enormità di quanto aveva fatto.
Ma Riccardo non è pazzo, non nell'accezione che noi comunemente attribuiamo a questo termine.
È disconnesso dalla realtà che lo circondava, non riconoscendosi più nella sua famiglia, verso cui guardava con crescente distacco, quasi fosse un ambiente ostile, ma che si manifestava solo ai suoi occhi, che percepiva solo lui.

Perché, a sentire i vicini di casa e i parenti, la famiglia era l'immagine in terra della felicità, tutti - lui compreso - sempre gentili e sorridenti, sempre disponibili a dare una mano a chi ha bisogno.
Questo all'esterno, perché, dentro, Riccardo si è portato il demone della ribellione. Avrebbe potuto scappare di casa oppure affrontare i genitori, sempre che fossero loro alla radice del suo malessere. Invece ha deciso di regolare la partita affidandosi alla violenza, alla lama e alla punta di un coltello che hanno chiuso il libro del suo percepito dolore. A Riccardo poco è interessato che questo gesto sia passato dallo scannare, letteralmente, chi gli aveva dato la vita e chi, il piccolo Lorenzo, pendeva dalle sue labbra, sperando di diventare come lui.

Ora, dicono gli inquirenti, il ragazzo si rende conto di quello che ha fatto e che non può tornare indietro. Bella forza, direbbe qualcuno, prendere atto di questo quando ancora sulle sue mani non si è seccato il sangue dei suoi familiari. Davanti a sé Riccardo ha un percorso comunque giù segnato: il carcere minorile oggi, la intuibile trafila di perizie psichiatriche domani, poi una condanna che, probabilmente, non sarà di quelle che gli impediranno di avere un futuro fuori dalla cella.
Lui un futuro ce lo avrà, quando ancora sarà un uomo nel vigore degli anni, sempre che abbia la forza di prendere atto di quel che ha fatto e di venirne fuori, psicologicamente.
Lui un futuro lo vedrà.
Lorenzo no, perché ora è in quel paradiso di vittime innocenti di cui ci si dimentica presto.
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