Stellantis e il tracollo del capitalismo familiare

- di: Bruno Chiavazzo (giornalista scrittore)
 
Il passaggio generazionale è il problema dei problemi delle aziende cosiddette “familiari”, più grandi sono è maggiore il rischio che tutto vada a rotoli. Si dice che c’è il fondatore, chi le sviluppa e chi le affonda. Questo tipo di aziende sono affette da nepotismo e mancanza di meritocrazia, si diventa capi azienda per legami consanguinei: figli, nipoti, cugini e mogli tendono a perpetuare, nella gestione delle aziende ereditate, le stesse dinamiche familiari, mescolando affetti, rancori, pregiudizi che nulla hanno a che fare con il merito e le capacità, la durezza delle scelte da compiere, la spietatezza e, spesso, anche l’ingiustizia che accompagna la iper competitività che regola un mercato globalizzato.

Stellantis e il tracollo del capitalismo familiare

Sotto questo aspetto la vicenda Stellantis (ex Fiat), con le dimissioni “spontanee” di Carlos Tavares, rappresenta un caso emblematico. I nipoti dell’Avvocato, assurti a capitani d’industria senza mai aver visto una fabbrica, non fanno eccezione. La Fiat, vanto e orgoglio dell’industria italiana, oggi è un ircocervo italo-francese, relegato ad un ruolo marginale e avviata verso un declino inarrestabile.

Sarebbe troppo lungo analizzarne le cause, ma le sappiamo tutti. Il ruolo sacrale della Famiglia Agnelli, i rapporti con la politica da sempre, le centinaia di miliardi che hanno drenato dalle casse dello Stato italiano, tradotti in investimenti sbagliati e una politica industriale fallimentare.

Morto il "Re" abbiamo visto le guerre intestine alla famiglia per la spartizione del bottino accumulato. John Elkann, investito “ex cathedra” dal nonno, di tutto si è interessato, tranne di come costruire automobili competitive che potessero essere vendute perché belle, economiche e funzionanti. Ha preferito affidarsi ad un capitano di ventura, qual è Carlos Tavares, con l’unico mandato di fare soldi per gli azionisti. Il portoghese ha fatto egregiamente il suo dovere se è vero, com’è vero, che ha distribuito utili agli azionisti per 23 miliardi negli ultimi quattro anni. I licenziamenti, la delocalizzazione, la chiusura dei centri di ricerca erano considerati solo effetti collaterali.

Sono stato testimone diretto di come il “familismo” aziendale può distruggere lo sviluppo e la stessa continuità aziendale. Per venti anni ho lavorato in un ruolo apicale, a strettissimo contatto con il presidente e proprietario, di una importantissima industria farmaceutica italiana che occupava oltre 2mila dipendenti, di cui 500 ricercatori, con un fatturato che sfiorava il miliardo di euro. Alla sua morte, nel giro di tre anni, l’azienda, di cui per carità di Patria non faccio il nome, è passata in mano ai figli che l’hanno messa in ginocchio e venduta.

È finita così, senza senso, come se quella realtà produttiva, che aveva dato lavoro e futuro a migliaia di famiglie, non fosse mai esistita. Spero che lo stesso destino non tocchi alla ex Fiat, ma ho più di un dubbio.
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