La nostra biblioteca: tocca ad una storica americana demolire l'iconografia sulla genesi dell'Impero britannico

- di: Diego Minuti
 
L'Impero, in Gran Bretagna, non è solo il ricordo di anni che non torneranno, ma è ancora un modo per celebrarsi, guardando a cosa è stato, al culmine della sua parabola, e non anche a come esso ha raggiunto le sue vette, in termini di estensione, di influenza, ma anche economiche.
Non è certo casuale che, a minare alla base la considerazione che, nel Regno Unito, si ha dell'Impero sia un ''non britannico'', capace di guardare al passato sgombrando la mente da preconcetti. È quello che ha fatto la storica americana Caroline Elkins, tornata a scrivere dell'Impero a dieci anni dalla sua precedente opera che svelò il lato oscuro dell'imperialismo britannico in Kenya, quando, davanti ad una ribellione (quella dei guerriglieri Mau Mau), non esitò ad usare la violenza indiscriminata, applicata su larga scala, come metodo di coercizione.

La nostra biblioteca: tocca ad una storica americana demolire l'iconografia sulla genesi dell'Impero britannico

Quel primo libro, ''Britain's Gulag'', divenne un caso anche giudiziario perché i dossier che la storica portò alla luce, dopo un oblio di oltre cinquant'anni dalla rivolta dei Mau Mau, diedero il via a procedimenti che portarono a risarcimenti per oltre cinquemila sopravvissuti keniani, che, hanno detto i processi, erano stati sottoposti prolungate pratiche di sistematiche torture e abusi. Nei campi di concentramento furono segregati, scrisse Elkins, fino a 320.000 kikuyu keniani, come parte di una campagna di terrore che "aveva lasciato decine di migliaia, forse centinaia di migliaia di morti" e un numero imprecisato di vite rovinate da lavori forzati, fame, torture e stupri.

L'opera di Caroline Elkins fu bollata negativamente dagli storici ''ortodossi'', ossequiosi dell'agiografia intorno all'Impero, che però sono stati smentiti concretamente dopo che è saltato fuori che, in un deposito di massima sicurezza del Ministero degli Esteri britannico, a Hanslope Park, erano stati nascosti 240 mila file top secret sulle vicende keniane. Dossier che diedero ragione alla storica americana, infondendole la voglia di approfondire le sue tesi, a scavare nel passato, a svelare pagine frettolosamente chiuse, soprattutto per ampliare il suo giudizio sull'Impero in Kenya anche ad altri Paesi e possedimenti, per verificare se esisteva un metodo, con un solo obiettivo e magari filtrato da motivi pratici.

Il frutto di questa rivisitazione dell'Impero, alla luce della esperienza accumulato guardando al solo Kenya degli anni '50, è divenuto anch'esso un libro, ''Un'eredità di violenza'' (Einaudi - pag.989 - euro 48), che, quasi automaticamente, ha aperto un dibattito acceso in Gran Bretagna, con la prevalenza di coloro che dicono che Elkins ha sovrapposto situazione ed epoche diverse a quella che lei ha definito per il Paese dei Mau Mau.
Una contrapposizione, quindi, tra coloro che parlano sempre e comunque di un "impero illuminato" e "benigno" e altri che vedono appannarsi l'immagine prevalente da un paio di secoli.
I dossier custoditi (o forse nascosti) ad Hanslope Park, sono stati una miniera perché hanno ampliato la conoscenza su metodi e obiettivi perseguiti dalla Gran Bretagna non solo in Kenya, ma in altre 37 ex colonie.
Caroline Elkins, basandosi in parte sui file di Hanslope Park, sostiene che i metodi sadici che hanno caratterizzato gli ultimi atti dell'impero in Kenya non erano un'aberrazione anomala, ma comportamenti appresi dal potere imperiale.

Un quadro dettagliato di una verità che ha imposto all'autrice una decostruzione dell'autoinganno, della mitologia seducente e del linguaggio ambiguo del più grande impero della storia umana, ma anche della deliberata distruzione ufficiale di gran parte della sua documentazione storica, quasi a volere nascondere il passato, nella consapevolezza di cosa esso sia stato e della necessità di stendere su di esso una cappa di silenzio.
In pratica, per la storica, la definizione che lei ha coniato, "illegalità legalizzata", descrive il modo in cui la Gran Bretagna ha diffuso lo stato di diritto, sempre e comunque, a dispetto anche della cultura dei Paesi in cui l'Impero veniva imposto.

''Legacy of Violence'', questo il titolo in inglese, è una ricerca che ha l'ambizione si definire come il potere della Corona si sia dipanato per due secoli ed espanso, territorialmente, in quattro continenti. Il volume si prefigge l'ambizione di identificare il carattere del potere britannico nel corso di due secoli e quattro continenti, spaziando dalla guerra boera, a quella d’indipendenza irlandese, alle rivolte in India, Iraq e Palestina, ma anche a Cipro, Malesia e Kenya. Una delle conclusione cui l'autrice giungere è che le esplosioni di insensata violenza contro la popolazione civile che non accettava il nuovo ordine furono una consuetudine predefinita e non atti isolati ed episodici. Non furono quindi, come disse Winston Churchill in parlamento, per raccontare il massacro di Amritsar, in India (che, nel 1919, provocò circa 380 morti tra i civili), ''un evento che si erge in un isolamento singolare e sinistro''.
L'Impero che viene fuori dall'opera di Caroline Elkins, basandosi su quella "illegalità legalizzata" con cui l'autrice descrive i metodi con cui la Gran Bretagna diffuse lo stato di diritto. è un continuum, che ha avuto protagonisti diversi (da Benjamin Disraeli a Clement Attlee), ma uno stesso fine, da perseguire con una determinazione che spesso si è tradotta in ferocia.
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