Welfare, allarme del Censis: anatomia di una crisi

- di: Barbara Bizzarri
 
Le famiglie italiane si trovano sempre più esposte in materia di salute, assistenza e previdenza, con una crescente vulnerabilità nella gestione della non autosufficienza e la consapevolezza di dover far fronte alle necessità ricorrendo principalmente alle proprie risorse economiche. È questo lo scenario delineato nel capitolo dedicato al welfare nel 58° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese del 2024.

Welfare, allarme del Censis: anatomia di una crisi

Il rapporto evidenzia come il sistema di welfare italiano, ancora incompleto e frammentato, non riesca a offrire una risposta adeguata ai bisogni crescenti delle famiglie, alimentando un senso di insicurezza e di sfiducia nella capacità del sistema di proteggere i cittadini nei momenti di maggiore fragilità. Dal 2013 al 2023 la spesa sanitaria privata pro-capite è cresciuta in termini reali del 23,0%, invece quella pubblica dell’11,3%. Nel periodo 2015-2022 le retribuzioni dei medici nel Servizio sanitario nazionale hanno subito un taglio in termini reali del 6,1%. Non sorprende, quindi, che l’87,2% degli italiani ritenga una priorità migliorare le retribuzioni e le condizioni di lavoro dei medici, considerati la risorsa più importante della sanità. Il 92,5% considera prioritario assumere nuovi medici e infermieri.

L’83,6%, dopo la traumatica esperienza dell’emergenza Covid, che ha visto la sanità impreparata ad affrontare il picco di domanda di prestazioni sanitarie, si aspettava investimenti massicci e un più intenso impegno per potenziare il sistema sanitario, anche perché negli ultimi 24 mesi il 44,5% degli italiani ha sperimentato, direttamente o indirettamente tramite i propri familiari, il sovraffollamento nelle corsie di ospedale o in altri servizi sanitari. Ogni 100 tentativi di prenotare prestazioni nel Servizio sanitario, il 34,9% degli italiani finisce poi nella sanità a pagamento, cioè in intramoenia o nel privato puro, con il pagamento per intero in capo ai cittadini a causa della lunghezza delle liste di attesa.

Essere costretti a ricorrere a soluzioni intramoenia o nel privato puro riguarda tanto il 37,1% delle persone con redditi medio-alti, quanto il 32,0% di quelle con redditi bassi. Lo sforzo economico per acquistare prestazioni sanitarie coinvolge anche i livelli di reddito inferiori, dunque, ed è alto il rischio di una sanità per censo, visto che i benestanti possono ricorrere alla sanità a pagamento con maggiore facilità. Così, l’84,2% degli italiani è convinto che i benestanti possano curarsi prima e meglio dei meno abbienti. Il 36,9% degli italiani in effetti ha dovuto tagliare altre spese per finanziare le proprie spese sanitarie, quota che sale al 50,4% tra le persone con redditi bassi e scende al 22,6% tra quelle con redditi alti.

Le odissee sanitarie indotte dalle difficoltà di accesso al Servizio sanitario hanno implicazioni più generali sulla psicologia collettiva, tanto che il 63,4% degli italiani dichiara di provare sfiducia nel Servizio sanitario, perché teme di non poter contare su cure appropriate, mentre solo il 27,9% ha fiducia e si sente con le spalle coperte.
La percezione che il livello di copertura del welfare pubblico si sia drasticamente ridotto nel tempo è notevolmente diffusa, in netto contrasto rispetto alle generazioni precedenti. Attualmente il giudizio prevalente è che il sistema di tutele pubbliche si limiti alle prestazioni essenziali, mentre per il resto si paga direttamente di tasca propria: lo pensa il 50,4% degli italiani. Il 49,4% è convinto che sia necessario adottare strumenti di autotutela, come polizze assicurative e fondi integrativi. E il 61,9% pensa che sia più importante usare i risparmi per proteggersi dai rischi sociali come sanità, vecchiaia e inabilità, piuttosto che per ottenere alti rendimenti da investimenti finanziari. Da strumento di copertura dai grandi rischi sociali e fonte di sollievo per le famiglie, il welfare pubblico si tramuta in un costo che grava sui budget familiari. Per il 65,9% degli italiani le spese di welfare pesano molto o abbastanza sul bilancio della propria famiglia.

L’Italia, soprattutto, presenta una percentuale di persone a rischio di povertà prima dei trasferimenti sociali pari al 27,2% e al 18,9% dopo di essi, mentre i dati della media Ue sono pari rispettivamente al 24,8% e al 16,2%. Secondo un’indagine del Censis il 9,8% degli italiani maggiorenni vive in famiglie in cui il reddito non è sufficiente a coprire le spese mensili. Inoltre, l’8,4% degli italiani si trova in una condizione di povertà alimentare, il 9,5% in povertà energetica e 2,7 milioni di maggiorenni in condizione di povertà oculistica. Sono alcuni esempi di forme specifiche di povertà che spiegano la crescente complessità dei fenomeni di disagio sociale, non solo di natura economica. Il 7,0% degli italiani riceve regolarmente soldi da membri della rete familiare, ovvero genitori, nonni e altri parenti, e un ulteriore 30,6% ne riceve saltuariamente.
l 65,2% degli italiani sostiene il diritto alla libertà individuale di andare in pensione prima dell’età prefissata, accettando eventuali penalità. Per il 59,6% sarebbe opportuno consentire ai pensionati di continuare a lavorare se lo desiderano, una percentuale che sale al 77,6% tra gli anziani. Inoltre, l’84,7% ritiene necessario introdurre nelle aziende meccanismi che favoriscano il trasferimento di competenze dagli anziani ai giovani. Tuttavia, l’81,5% riconosce che la previdenza, con pochi giovani e molti anziani, affronterà inevitabilmente grandi difficoltà. Tra i giovani, l’81,2% considera essenziali i risparmi per una vecchiaia serena, mentre il 60,6% attribuisce grande importanza allo sviluppo della previdenza complementare.

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