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Putin rilancia: Donbass o lo prendiamo con la forza

- di: Bruno Legni
 
Putin rilancia: Donbass o lo prendiamo con la forza
Tra minacce militari, mosse sul petrolio e timori europei per un accordo al ribasso.

Vladimir Putin (foto) ha rimesso i puntini sulle “i” del conflitto: o l’Ucraina abbandona il Donbass, oppure Mosca è pronta a prenderselo “con la forza”. È questo, in estrema sintesi, il messaggio che il presidente russo ha affidato a un’intervista rilasciata a un quotidiano indiano durante la sua visita a New Delhi, dove punta a consolidare la proiezione a est della Russia, anche sul piano energetico. 

Sul versante opposto dell’Atlantico, Donald Trump si muove in direzione diversa rispetto alla linea tradizionale di pressione economica su Mosca: Washington ha infatti deciso di allentare una parte delle sanzioni contro il colosso petrolifero russo Lukoil, permettendo alle sue stazioni di servizio fuori dalla Russia di continuare a operare, come emerge da documenti del Dipartimento del Tesoro e da lanci di agenzie statunitensi del 4 dicembre 2025.

In mezzo, a guardare con crescente inquietudine, ci sono Volodymyr Zelensky e le capitali europee. I negoziatori ucraini sono tornati in Florida per un nuovo ciclo di colloqui con gli emissari di Trump, ma a Kiev e nelle principali cancellerie europee serpeggia il timore che tutto si stia muovendo verso un compromesso che rischia di lasciare il conto nelle mani dell’Ucraina.

La “Nuova Russia” non si tocca: le condizioni di Putin

Davanti ai giornalisti indiani, Putin ha riproposto lo schema che guida ormai da mesi la posizione russa: i territori occupati e annessi – Donbass compreso – sono considerati “Nuova Russia” e quindi non negoziabili. “Tutto si riduce a questo: o libereremo questi territori con la forza, oppure le truppe ucraine lasceranno quei territori”, ha sintetizzato il presidente.

Parallelamente, il Cremlino continua a indicare la Nato come principale minaccia strategica. Putin ha ribadito che l’espansione a est dell’Alleanza atlantica rappresenta, a suo dire, “un pericolo diretto per la Russia”, e che qualsiasi accordo di sicurezza sull’Ucraina dovrà escludere in modo chiaro un futuro ingresso di Kiev nella Nato. Le “garanzie di sicurezza” per l’Ucraina, ha lasciato intendere, possono essere formulate solo in modo vago e, soprattutto, sotto veto russo.

New Delhi, petrolio e l’abbraccio con Modi

La tappa indiana non è solo diplomazia di facciata. Putin ha sottolineato con evidente soddisfazione che il premier indiano Narendra Modi non ha ceduto alle pressioni occidentali per ridurre l’acquisto di petrolio russo. New Delhi resta infatti uno dei principali acquirenti di greggio di Mosca, un polmone economico fondamentale per compensare almeno in parte gli effetti delle sanzioni europee e americane.

Le dichiarazioni di Putin – rilanciate da diverse agenzie il 4 dicembre 2025 – insistono su un punto: la Russia sta cercando di trasformare le pressioni occidentali in un’occasione per ribilanciare le proprie relazioni economiche verso Asia e Sud globale, non solo per vendere energia, ma anche per rafforzare legami politici e militari.

Florida, emissari e un piano in 28 punti

Sul versante americano, la partita si gioca in un luogo solo in apparenza lontano dal fronte: la Florida. Qui gli emissari di Zelensky sono tornati per confrontarsi con i rappresentanti di Trump, tra cui l’imprenditore Steve Witkoff e l’ex consigliere e genero dell’ex presidente, Jared Kushner. Putin ha giudicato “molto utile” il loro incontro, pur ammettendo che restano divergenze importanti.

Al centro del negoziato c’è un piano americano in 28 punti, che Washington avrebbe proposto di spezzettare in quattro pacchetti separati, in modo da rendere più gestibile la trattativa. Secondo Putin, invece, ogni punto andrebbe discusso “nel dettaglio”, soprattutto quelli relativi ai confini e alle garanzie di sicurezza. Dietro le formule diplomatiche si intravede la questione decisiva: quanto territorio ucraino potrebbe essere sacrificato sull’altare di una pace negoziata.

Putin dice di apprezzare la “sincerità” di Trump nel voler cercare una soluzione politica al conflitto, ma non manca di ricordare che la prima bozza del piano statunitense, trapelata a fine novembre su varie testate internazionali, risultava in molti passaggi molto favorevole agli interessi russi.

Trump, Lukoil e il segnale al mondo del business

Mentre sul tavolo delle trattative si discute di confini e garanzie, sul piano economico arriva una mossa che suona come un segnale di distensione verso Mosca. Il Dipartimento del Tesoro Usa ha emanato una licenza che consente a Lukoil di continuare a far operare le sue stazioni di servizio al di fuori della Russia, purché i flussi finanziari non vadano a beneficio diretto della casa madre russa.

Per gli osservatori europei si tratta di un gesto dal forte valore simbolico. Trump, che ha rimarcato come Witkoff e Kushner abbiano avuto “l’impressione” che Putin voglia realmente mettere fine alla guerra, manda così un messaggio al mondo degli affari: il ritorno al business con Mosca non è più un tabù assoluto.

In Europa, però, questa scelta viene letta in modo meno benevolo: diversi analisti temono che l’allentamento verso Lukoil possa essere il preludio a un accordo più morbido nei confronti della Russia, a scapito delle richieste ucraine sulla restituzione dei territori e sul pieno ripristino della sovranità.

Macron, Merz, Stubb: il fronte europeo tra paura e prudenza

È in questo contesto che esplode il caso delle parole attribuite a Emmanuel Macron. Secondo una ricostruzione del settimanale tedesco Der Spiegel, ripresa anche da testate internazionali il 4 dicembre 2025, durante una call tra leader occidentali il presidente francese avrebbe avvertito che esiste il rischio che gli Stati Uniti “tradiscano l’Ucraina sul piano territoriale”, senza garantire una cornice chiara di sicurezza.

Nella stessa conversazione, il leader della Cdu tedesca Friedrich Merz avrebbe invitato Zelensky a essere “molto cauto nei prossimi giorni”, aggiungendo che “stanno giocando sia con voi che con noi”. Parole che riflettono il timore, sempre secondo la ricostruzione di Der Spiegel, che la trattativa Usa-Russia possa prendere una piega poco trasparente per gli alleati europei.

Ancora più diretta sarebbe stata la posizione del presidente finlandese Alexander Stubb, secondo cui non si può lasciare “l’Ucraina e Volodymyr” da soli “con questi tizi” – riferimento a Witkoff e Kushner, gli interlocutori privilegiati di Putin in questa fase. Una frase che fotografa l’ansia del fronte nordico, storicamente molto sensibile alla minaccia russa.

Da Parigi, tuttavia, l’Eliseo ha fatto sapere che Macron “non si è espresso in quei termini”; la cancelleria tedesca ha invece scelto la via del silenzio, limitandosi a ricordare che non è possibile commentare contenuti di riunioni riservate. Lo stesso Der Spiegel, pur difendendo la sostanza della sua ricostruzione, ha spiegato che alcuni partecipanti alla call hanno confermato il quadro d’insieme senza però voler entrare nel merito delle singole frasi, proprio per la natura confidenziale dell’incontro.

Zelensky in equilibrio tra Washington e Europa

Per Volodymyr Zelensky, il momento è delicatissimo. Da un lato non può permettersi di rompere con Washington, che resta il principale fornitore di aiuti militari e finanziari. Dall’altro, vede crescere in Europa la preoccupazione per un’intesa che potrebbe essere scritta in gran parte sopra la testa delle capitali europee.

Gli emissari del presidente ucraino tornano in Florida sapendo che il margine di manovra si sta restringendo: le posizioni militari sul campo sono complesse, le risorse si assottigliano e la pazienza dell’opinione pubblica occidentale non è infinita. Al tempo stesso, però, qualsiasi concessione territoriale – soprattutto nel Donbass e nei territori annessi – sarebbe difficilmente digeribile dall’opinione pubblica ucraina, che ha pagato un prezzo enorme in termini di vite e distruzioni.

Xi, Macron e l’asse Pechino-Parigi

In questo quadro, entra in scena la diplomazia cinese. Macron è volato a Pechino per incontrare Xi Jinping – viaggio annunciato e poi documentato dai media europei e cinesi nei primi giorni di dicembre 2025 – con l’obiettivo di convincere il presidente cinese, principale partner strategico di Mosca, a giocare un ruolo più attivo per frenare il conflitto.

L’Eliseo presenta la missione come un tentativo di evitare che l’Europa resti spettatrice di un accordo scritto altrove, tra Washington e Mosca, con Pechino sullo sfondo. La Cina, tuttavia, ha finora mantenuto una posizione di sostegno politico alla Russia, pur evitando di violare apertamente le sanzioni occidentali e proponendosi come mediatore neutrale. Per Macron, spingere Xi a un ruolo più esplicito significa scommettere su un fragile equilibrio: parlare con il principale alleato di Putin per cercare di imporre limiti proprio a Putin.

La Nato, l’ombra della “pace cattiva” e lo scenario per l’Europa

Mentre i negoziati si muovono su più tavoli, la Nato continua a ribadire il proprio sostegno a Kiev e la disponibilità a “fare quanto necessario” per difendere il territorio degli alleati. Ma neppure al quartier generale dell’Alleanza sfugge il rischio di una “pace cattiva”: un accordo rapido, politicamente spendibile, che però congeli una situazione favorevole a Mosca sul terreno e lasci l’Ucraina in una zona grigia, senza garanzie di sicurezza chiare né un futuro nell’Unione europea e nella Nato.

Le recenti analisi di think tank europei e nordamericani – pubblicate fra fine novembre e i primi giorni di dicembre 2025 – vanno tutte nella stessa direzione: l’apertura economica verso Lukoil, le parole concilianti di Trump su Putin e la dura linea del Cremlino sul Donbass sono tasselli di uno stesso mosaico. Per l’Europa, l’incubo è che il mosaico finale ritragga un’Ucraina ridimensionata, un fronte orientale più fragile e una Russia che, nonostante le perdite, riesca a presentare ai propri cittadini la guerra come un successo strategico.

Cosa rischia davvero Kiev

Nella fase che si apre, Kiev rischia su più fronti. Sul terreno, affronta un nemico che continua a investire nella macchina bellica e che non dà segnali di voler rinunciare ai territori occupati. Sul piano diplomatico, deve fare i conti con una trattativa che si dipana soprattutto tra Mosca e Washington, con l’Europa costretta a inseguire.

Se l’esito dei colloqui dovesse suggerire una rinuncia al Donbass o a parte dei territori annessi, Zelensky si troverebbe di fronte a un bivio: accettare, assumendosi il peso politico di una scelta che molti ucraini considererebbero un tradimento, oppure rifiutare, rischiando di perdere sostegno e aiuti cruciali dall’Occidente.

È questo il nodo che nei prossimi mesi potrebbe definire non solo il futuro dell’Ucraina, ma anche quello dell’ordine europeo. Se la guerra dovesse concludersi con un compromesso al ribasso, il messaggio agli altri attori internazionali sarebbe chiaro: la forza militare paga, e i confini in Europa possono ancora essere ridisegnati.

Uno scenario aperto

Per il momento, il quadro resta fluidissimo. Putin non arretra di un millimetro e rivendica la “Nuova Russia”; Trump apre spiragli economici e diplomatici verso Mosca; l’Europa oscilla tra paura di essere tagliata fuori e volontà di difendere Kiev; la Cina osserva e misura i propri vantaggi potenziali.

Dietro le formule dei comunicati ufficiali e i sorrisi nelle foto di rito, si consuma una partita ad altissima posta, in cui territori, sanzioni, petrolio e alleanze sono pezzi dello stesso gioco. Il Donbass, nelle parole di Putin, “sarà russo” – con la forza o con un trattato. Il resto dipenderà da quanto gli Stati Uniti, l’Europa e l’Ucraina saranno disposti a pagare per fermare i combattimenti e che tipo di pace accetteranno di firmare. 

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