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12 dicembre. Le stragi, la memoria e i conti mai chiusi della Repubblica

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
12 dicembre. Le stragi, la memoria e i conti mai chiusi della Repubblica

Il 12 dicembre 1969 non è soltanto una data tragica: è una cesura. Alle 16.37, nella Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana, a Milano, esplode una bomba. Muoiono 17 persone, i feriti sono 88. L’Italia perde, in poche decine di secondi, l’illusione di una normalità fragile ma ancora possibile. Da quel momento, la violenza politica entra nel cuore della vita civile.

12 dicembre. Le stragi, la memoria e i conti mai chiusi della Repubblica

La banca è affollata di agricoltori, persone comuni, lontane da qualsiasi militanza. È un elemento decisivo: la strage colpisce civili inermi. Non è un attentato “dimostrativo”, è un atto pensato per terrorizzare, destabilizzare, orientare.

La strategia della tensione
Col tempo, Piazza Fontana verrà riconosciuta come l’inizio della strategia della tensione: una sequenza di attentati attribuiti a gruppi neofascisti, inseriti in un contesto più ampio fatto di coperture, depistaggi, silenzi istituzionali e interessi internazionali legati alla guerra fredda. L’obiettivo non è la rivoluzione, ma l’opposto: creare paura, invocare ordine, giustificare svolte autoritarie.

Il depistaggio e la seconda ferita
Nelle ore successive alla strage, lo Stato indica un colpevole sbagliato. La pista anarchica diventa la versione ufficiale. Tra i fermati c’è Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico. Tre giorni dopo muore precipitando da una finestra della questura di Milano. La sua morte non verrà mai chiarita in modo definitivo. È la seconda ferita di Piazza Fontana, forse la più duratura: la sensazione che lo Stato non solo non protegga, ma possa mentire.

La verità giudiziaria incompleta
Gli anni successivi vedono processi, inchieste, sentenze. Emergono i nomi di Ordine Nuovo, la matrice neofascista, il ruolo di singoli militanti. Ma nessuno viene condannato in via definitiva come esecutore della strage. La verità storica è largamente ricostruita; la verità giudiziaria resta monca. È un paradosso che segnerà tutte le stragi successive.

Le altre stragi della Repubblica
Piazza Fontana non resta un episodio isolato. Nel 1974, la bomba di piazza della Loggia a Brescia uccide 8 persone durante una manifestazione sindacale. Nello stesso anno, l’attentato al treno Italicus provoca 12 morti. Nel 1980, la strage della stazione di Bologna fa 85 vittime. Ogni volta si ripete uno schema: attentati indiscriminati, indagini deviate, verità che emergono a pezzi, responsabilità che si fermano sempre un passo prima del traguardo finale.

Un filo nero
A legare queste stragi è un filo nero: l’estrema destra eversiva, i rapporti opachi con settori degli apparati, la difficoltà – o la mancata volontà – di fare piena luce. Non è una teoria complottista, ma una constatazione storica: lo Stato ha spesso saputo, ma non sempre ha agito.

Le commemorazioni come rito civile
Ogni 12 dicembre, Milano si ferma. Corone, discorsi, silenzi. Le commemorazioni non sono solo un atto di pietà verso le vittime, ma un rito civile che tiene aperta la domanda sulla verità. Negli ultimi anni, accanto alle cerimonie ufficiali, crescono quelle civiche e associative, con una partecipazione sempre più visibile delle nuove generazioni. È un segnale importante: la memoria non è confinata al passato, ma parla al presente.

Memoria senza giustizia
Eppure, commemorare non basta. Senza una piena assunzione di responsabilità, la memoria rischia di diventare rituale. Le stragi italiane sono ricordate, ma non del tutto risolte. Questo lascia un’eredità pesante: la sensazione che esistano verità accertate ma non riconosciute, colpe storiche senza colpevoli giuridici.

La democrazia davanti allo specchio
Qui si apre la questione centrale. Come può una democrazia andare avanti senza fare fino in fondo i conti con se stessa? Una Repubblica che non chiarisce i propri traumi fondativi porta con sé una fragilità strutturale. La fiducia nelle istituzioni si incrina non solo per ciò che accade, ma per ciò che non viene spiegato.

Il 12 dicembre come domanda aperta
Il 12 dicembre non è solo un anniversario. È una domanda che torna ogni anno: quanto vale una verità parziale? Quanto pesa un silenzio di Stato? E soprattutto: che tipo di democrazia è quella che chiede memoria, ma fatica a offrire giustizia?

Le stragi non appartengono solo al passato. Continuano a interrogare il presente. E finché resteranno misteri irrisolti, la Repubblica continuerà a camminare con una parte della sua storia irrisolta sulle spalle.

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