La pubblicità della compagnia aerea pakistana che ha acceso il dibattito politico

- di: Giulia Caiola
 

Una torre. Un aereo. Un’immagine che riporta alla mente una ferita ancora aperta. Basta questo per scatenare un’ondata di indignazione globale, quando la compagnia di bandiera pakistana, Pakistan International Airlines (PIA), pubblica una pubblicità destinata al mercato europeo. L’immagine, che raffigura un aereo diretto verso la Torre Eiffel di Parigi, viene subito paragonata agli attacchi dell’11 settembre 2001.

La pubblicità della compagnia aerea pakistana che ha acceso il dibattito politico

Non è servito il tentativo dell’azienda di spiegare che si trattava solo di una composizione grafica "artistica", pensata per celebrare la riapertura delle rotte verso la capitale francese dopo una lunga pausa dovuta a problemi interni e restrizioni internazionali. Il pubblico, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, ha letto in quell’immagine una provocazione, un passo falso che ha il sapore della provocazione politica.

In poche ore, la pubblicità diventa virale sui social media, spinta dall’indignazione di utenti che accusano la compagnia di "insensibilità" e "mancanza di rispetto verso le vittime del terrorismo". L’immagine fa il giro del mondo e approda rapidamente nelle stanze del potere. A Islamabad, il governo viene sommerso dalle richieste di chiarimenti, mentre l’opposizione cavalca la polemica per denunciare la gestione "superficiale" e "irresponsabile" della compagnia di bandiera.

L’ambasciatore francese in Pakistan, in un raro intervento pubblico, definisce l’accaduto "spiacevole" e si augura che simili episodi non si ripetano. Ma è a Washington che la questione assume toni ancora più accesi: alcuni membri del Congresso americano invocano una revisione delle relazioni con il Pakistan, accusandolo di alimentare un clima di "simpatia verso il terrorismo".

Il contesto

Non è un momento facile per Pakistan International Airlines, un simbolo di orgoglio nazionale ormai schiacciato da anni di cattiva gestione e scandali. La compagnia, fondata nel 1955, è stata protagonista di un lento declino, culminato nel 2020 con la sospensione delle rotte verso l’Europa e gli Stati Uniti, dopo che l’Unione Europea aveva revocato la licenza di volo per questioni di sicurezza.

La pubblicità incriminata era stata concepita come parte di una campagna di rilancio, un tentativo di riaffermarsi come vettore competitivo sul mercato internazionale. Ma l’effetto ottenuto è stato opposto: invece di attrarre nuovi passeggeri, ha alienato parte del pubblico internazionale, con un danno reputazionale difficile da quantificare.

Le reazioni

Nel tentativo di arginare la crisi, la PIA ha rimosso la pubblicità e diffuso un comunicato ufficiale in cui si scusa "profondamente per l’involontaria offesa" arrecata. "Non era nostra intenzione evocare alcun riferimento agli eventi dell’11 settembre", si legge nel testo. "L’immagine voleva semplicemente simboleggiare la nostra rinnovata connessione con la città di Parigi."

Ma le scuse non bastano a placare le polemiche. A Islamabad, il primo ministro è costretto a intervenire, promettendo un’indagine interna e l’adozione di linee guida più rigide per le future campagne pubblicitarie. "Il Pakistan condanna fermamente ogni forma di terrorismo e respinge qualsiasi insinuazione contraria", ha dichiarato.

Intanto, il caso solleva interrogativi più ampi sul ruolo delle compagnie di bandiera come strumenti di soft power. In un’epoca in cui la comunicazione globale non conosce confini, un errore apparentemente banale può trasformarsi in un caso diplomatico, con conseguenze imprevedibili.

Un monito per tutti

La vicenda di Pakistan International Airlines non è solo l’ennesimo esempio di una cattiva gestione aziendale. È un promemoria potente di quanto il linguaggio visivo sia potente e delicato, soprattutto in un mondo iperconnesso e ipersensibile come quello attuale.

Certo, non sarà un’immagine a determinare il futuro di una compagnia aerea. Ma nel caso della PIA, il prezzo dell’errore potrebbe essere ben più alto del costo della pubblicità: un’altra ferita per un brand già segnato, e un ulteriore ostacolo sulla strada del rilancio.

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