Su Autostrade per l'Italia il Governo mostra la sua debolezza

 

Se la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai generali, la stessa cosa si può dire della politica che è troppo complessa e irta di difficoltà per metterla in mano a chi di essa ha fatto una professione e non invece una missione. Come chi, non avendo alle spalle esperienze professionali, soprattutto specifiche, degne di tale nome, viene catapultato a dire la sua, a nome di un partito, su argomenti e materie di cui ignora la portata, ma che utilizza per fini propri, che ci si deve augurare siano solo politici e non personali. 

Così accade che un dossier delicatissimo (in senso politico, finanziario, con qualche spruzzata di profilo giudiziario), come quello di Aspi (Autostrade per l'Italia, controllata da Atlantia) resti in balia di valutazioni solo ideologiche o, peggio ancora, fatte sulla base di considerazioni preconcette, che non ci dovrebbero mai essere quando a prendere decisioni è il Governo.

È paludoso il terreno di cui parliamo, perché vi si confrontano due campi - politica e finanza - che, quando non si trovano d'accordo, si scagliano l'una contro l'altra, spesso mandando a quel paese la logica e la consequenzialità del proprio agire. 

Ma, al di là della ragione che ancora non ha trovato ospitalità tra i due contendenti, ad avere la peggio è, per l'ennesima volta, l'immagine che sta dando questo governo - manifestamente debole - in cui si combattono due anime e, peggio, viene messa da parte l'esigenza primaria che è o dovrebbe essere il bene comune. 

Un concetto che non riguarda solo l'oggi (che resta comunque nebuloso, almeno nell'interpretazione che ne sta dando il Governo, ''saldo'' nella sua incertezza), ma anche il domani, su cui vola alto lo spettro di un contenzioso che, magari tra quarant'anni, come nel caso di Itavia, potrebbe vedere lo Stato italiano soccombente e con pesantissime ripercussioni economiche.

Leggendo le cronache politiche, si è costretti ad assistere ad una zuffa in seno al Governo che è disdicevole perché piuttosto che affrontare il cuore della vicenda tecnicamente - parliamo sempre di concessioni, tema complesso e regolato da una montagna di regole - si va avanti a colpi di dichiarazioni che sembrano dettate più da preconcetti che da altro. E così c'è un viceministro che, riferendosi ad Aspi, parla di ricatti (un concetto che non è solo politico) riferendosi alla possibilità, ventilata da Atlantia ed Aspi, di sospendere gli investimenti nelle infrastrutture stradali se non le sarà concesso il prestito - per circa un miliardo e 200 milioni di euro -, a garanzia dello Stato, di cui dice di avere diritto (e su questo, formalmente, ha forse ragione). 

Ma il viceministro delle Infrastrutture, Giancarlo Cancelleri, dei 5S, memore del disastro del ponte Morandi, non tanto sollecita la revoca delle concessioni ad Aspi, quanto accusa il suo ministro, Paola De Micheli, del Pd, di avere intessuto rapporti con la concessionaria di cui nessuno sa nulla, intimandole di rendere noto il dossier. Una cosa - il vice che accusa il suo ministro di 'intelligenza'' col nemico, di fatto un tradimento - che in altri tempi e con altre maggioranze avrebbe portato alle dimissioni di qualcuno dei protagonisti o addirittura di tutto il Governo. Soprattutto perché le parole di Cancelleri costituiscono di fatto una sfiducia nei confronti del suo ''capo'' e, come fa intendere, pronunciate a nome del suo movimento.

Cancelleri, geometra, è stato nominato viceministro da Giuseppe Conte, dopo avere collezionato due sconfitte nella sua corsa alla presidenza della Regione Sicilia, passando dall'Assemblea siciliana al Governo. E fece scalpore il fatto che, nella prima riunione ufficiale da lui convocata come viceministro, al tavolo, come testimoniato dai resoconti fotografici dell'incontro, c'erano anche la sorella Azzura, deputato, ed il di lei marito, l'architetto Santino Lo Porto. 

È difficile riassumere gli ambiti della vertenza.

Dopo il crollo del ponte Morandi di Genova, con il suo devastante impatto in termini di perdita di vite umane innocenti e di contraccolpi durissimi per la vita quotidiana dei genovesi, tra Aspi e Ministero delle Infrastrutture è in corso un confronto che, in due anni, non sembra avere fatto segnare progressi. E mentre le schermaglie vanno avanti, Aspi - come riferito in un comunicato - ''sta sostenendo tutti gli oneri per la costruzione del nuovo ponte di Genova (ormai completato) e ha immediatamente attivato i risarcimenti a persone e imprese, esternalizzando inoltre il sistema di ispezione delle infrastrutturÈ'. 

Comunque, a fine aprile, il dossier è stato valutato dall'Esecutivo, ma poi si si è fermato, determinando evidenti ricadute negative per tutto il gruppo Atlantia, che opera in 23 Paesi e che, anche per questo, ha su di sé l'attenzione degli analisti internazionali, cui non è certo passata inosservata la brutta aria che si respira intorno al gruppo stesso.

Tutto questo soprattutto quando nel decreto Milleproroghe, segnatamente all'art.35, sono state inserite delle modifiche che si sono abbattute su Atlantia ed Aspi, per le quali è arrivata la scure del taglio della valutazione che sta rendendo difficilissimo accedere ai mercati finanziari. 

Al punto tale che, tenendo anche conto dei danni causati dagli effetti del Covid-19, Atlantia ha messo 900 milioni sul piatto, come linea di credito in favore della sua controllata. A questa situazione di difficoltà si è aggiunta anche la linea di condotta della Cassa Depositi e Prestiti, con cui nel 2017 era stata definita una linea di finanziamento di cui restano ad oggi inutilizzati 1,3 miliardi di euro. Cdp, ad inizio aprile, ha ricevuto da Aspi la richiesta di potere accedere a 200 milioni di euro; richiesta abbastanza comprensibile visto il ''buco'' determinato dalle conseguenza dell'epidemia. Ma, ad oggi, la Cassa non ha dato corso al perfezionamento della pratica, anche sulla base delle modifiche apportate all’art. 35 del Milleproroghe. 

Nella ricerca di liquidità, comune peraltro a molte aziende italiane, Aspi si è messa in movimento per potere ottenere un prestito garantito da SACE, nell'ambito del DL Liquidità che ha proprio questa finalità, supportare le imprese in difficoltà finanziaria a causa dell'epidemia. Nella valutazione delle richieste si deve tenere conto della “incidenza su infrastrutture critiche e strategiche” e dell' “impatto sui livelli occupazionali e mercato del lavoro” delle richiedenti. L'Aspi riteneva che i numeri fossero dalla sua parte, avendo subito, per effetto del periodo di lockdown, una nettissima contrazione (''un tracollo'', secondo l'azienda) negli incassi, fino all'80%, generando una perdita di ricavi per il 2020 stimata, oggi, in più di un miliardo di euro.

Per questo il CdA di Atlantia ha espresso ''forte preoccupazione'' per le dichiarazioni di un ''esponente del Governo'' (appunto Cancelleri, messosi per traverso all'accesso al prestito garantito), ''peraltro contrastanti con lo spirito e il dettato del decreto e basate piuttosto su valutazioni e criteri di natura ampiamente discrezionale e soggettiva verso chi sta dando un importante contributo allo sviluppo infrastrutturale del Paese, mediante un piano di investimenti di 14,5 miliardi di euro, dai rilevanti effetti sull’occupazione diretta e indiretta''.

Perché prima abbiamo fatto riferimento alle ultradecennali vicende giudiziarie dell'Itavia, dopo la strage di Ustica del giugno del 1980? Solo perché di recente la corte d'appello di Roma ha dato ragione all'Itavia (deliberando quindi un risarcimento per la compagnia aerea) sostenendo che la revoca delle concessioni di volo, a seguito del disastro aereo, non era giustificata. La revoca, peraltro, fu un atto che, adottato dal Ministro dei Trasporti del tempo, trovò una giustificazione non tanto su evidenze tecniche sull'accaduto, quanto sul fatto che s'era determinato un fronte politico ampio che chiedeva la ''punizione'' della compagnia. Ma ora, con il consolidarsi dell'idea che quel disastro non fu causa di negligenza dell'Itavia, ma di un fattore estero (un missile con ogni probabilità), è arrivata la decisione della Corte d'appello di Roma a favore della compagnia aerea che ha avuto riconosciuta la circostanza che la revoca delle concessioni non fu giustificata. 

Una mancanza di giustificazioni fondate che, in sostanza, è la linea che Aspi ed Atlantia sembrano in procinto di sostenere nelle sedi competenti, a difesa di quelli che ritengono accordi al momento non cancellabili.

La revoca delle concessioni è atto politicamente fortissimo. Ma, appunto per questo, necessita di fondate giustificazioni di merito che evitino di cadere nell'errore di prendere decisioni molto gravi su una spinta emozionale che non dovrebbe mai condizionare le scelte di un Governo. 

Se il provvedimento non è fortemente suffragato da evidenze, il rischio è quello di un contenzioso oltre che lungo, anche potenzialmente molto dannoso per la collettività di domani, costretta a farsi carico di oneri determinati da errori commessi oggi. 

 

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