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Gaza brucia e Katz non arretra: “fino alla sconfitta di Hamas”

- di: Bruno Coletta
 
Gaza brucia e Katz non arretra: “fino alla sconfitta di Hamas”
Gaza brucia: Israel Katz non arretra fino alla sconfitta di Hamas
Ministro della Difesa israeliano rilancia l’offensiva, tensioni alle stelle e speranze ostaggi messe a dura prova.

Il livello dello scontro si alza ancora. Nella prima mattina di oggi 16 settembre 2025 il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha scandito una linea di ferro: “Gaza sta bruciando”, ha scritto, aggiungendo che le IDF colpiscono con un “pugno di ferro” le infrastrutture militari del movimento islamista. Obiettivo dichiarato: creare le condizioni per il rilascio degli ostaggi e portare a compimento la sconfitta di Hamas. Poi la chiosa che non ammette ripensamenti: “Non cederemo e non torneremo indietro, fino al completamento della missione”.

L’ultima dichiarazione di Katz: cosa ha detto esattamente

Il messaggio è netto e costruisce un frame politico-militare chiaro: “Gaza sta bruciando”Israel Katz, 16 settembre 2025 — non è solo una formula retorica, ma il segnale di una fase operativa che punta a spezzare la catena di comando e logistica di Hamas. La promessa di “non tornare indietro” implica che la pressione militare proseguirà finché l’esecutivo riterrà raggiunti gli obiettivi strategici.

Sul terreno: sviluppi recenti

Le ricostruzioni dal campo descrivono attacchi incessanti con l’uso combinato di aviazione, artiglieria e droni. Le evacuazioni restano complesse: vie di fuga incerte, infrastrutture civili fragili, popolazione intrappolata in aree ad alta densità. In questo quadro, ogni avanzata tattica rischia di amplificare il costo umano e di complicare il dossier ostaggi.

Le famiglie degli ostaggi: tra rabbia, paura e richieste

Il fronte interno mostra crepe e impazienza. Le famiglie degli ostaggi chiedono priorità assoluta alla salvezza dei propri cari e temono che la linea dura limiti lo spazio negoziale. L’opinione pubblica appare divisa tra la necessità di una risposta militare e il timore di irreversibili effetti collaterali sugli ostaggi.

Le implicazioni strategiche e diplomatiche

Militare. Quanto più l’azione si avvicina a quartieri densamente popolati, tanto più cresce il rischio di perdite civili e di un’erosione del consenso internazionale. Il dilemma è il solito: degradare Hamas senza compromettere la sicurezza degli ostaggi e la stabilità a lungo termine.

Diplomatico. Gli alleati di Israele sostengono il diritto alla difesa, ma chiedono proporzionalità e tutela dei civili. Ogni incremento delle vittime alimenta pressioni per cessate il fuoco o per corridoi umanitari più efficaci.

Umanitario. L’intensificarsi dei raid mette a rischio ospedali, reti idriche ed elettriche, rifugi e punti di distribuzione degli aiuti. La tenuta del sistema sanitario è un indicatore critico della profondità della crisi.

Confronto con dichiarazioni precedenti: continuità o salto di tono?

Katz aveva già preannunciato una strategia di pressione continuativa fino alla liberazione degli ostaggi. La novità sta nella sincronia tra parole e intensità operativa: l’assertività del linguaggio coincide con una fase che punta a ridurre il margine di manovra di Hamas, in termini militari e psicologici.

Possibili scenari futuri

Primo scenario: perseverare nell’offensiva con l’aspettativa di logorare le capacità di comando e costringere Hamas a concessioni sul dossier ostaggi. Rischio: costi umani elevati e ulteriore isolamento diplomatico.

Secondo scenario: finestra negoziale se la pressione militare produce fratture interne e incentivi all’accordo. Variabile chiave: verificabilità degli impegni e meccanismi di garanzia.

Terzo scenario: stallo prolungato, in cui nessuna delle parti ottiene un vantaggio decisivo e il conflitto scivola in una logica di usura, con impatti economici, sociali e politici più profondi.

Gli obiettivi

Le frasi di Katz non suonano come un semplice slogan: sono la cornice politica di una strategia che lega successo militare e gestione del dossier ostaggi. La parola “sconfitta” applicata a Hamas implica un orizzonte che va oltre l’abbattimento di strutture e milizie: riguarda la ricomposizione dell’ordine locale, l’equilibrio regionale e il rapporto con gli alleati. La domanda, per tutti, resta la stessa: quale prezzo sarà considerato accettabile prima di poter dire che la missione è davvero “completata”? 

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