Ministro della Difesa israeliano rilancia l’offensiva, tensioni alle stelle e speranze ostaggi messe a dura prova.
Il livello dello scontro si alza ancora. Nella prima mattina di oggi 16 settembre 2025 il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha scandito una linea di ferro: “Gaza sta bruciando”, ha scritto, aggiungendo che le IDF colpiscono con un “pugno di ferro” le infrastrutture militari del movimento islamista. Obiettivo dichiarato: creare le condizioni per il rilascio degli ostaggi e portare a compimento la sconfitta di Hamas. Poi la chiosa che non ammette ripensamenti: “Non cederemo e non torneremo indietro, fino al completamento della missione”.
L’ultima dichiarazione di Katz: cosa ha detto esattamente
Il messaggio è netto e costruisce un frame politico-militare chiaro: “Gaza sta bruciando” — Israel Katz, 16 settembre 2025 — non è solo una formula retorica, ma il segnale di una fase operativa che punta a spezzare la catena di comando e logistica di Hamas. La promessa di “non tornare indietro” implica che la pressione militare proseguirà finché l’esecutivo riterrà raggiunti gli obiettivi strategici.
Sul terreno: sviluppi recenti
Le ricostruzioni dal campo descrivono attacchi incessanti con l’uso combinato di aviazione, artiglieria e droni. Le evacuazioni restano complesse: vie di fuga incerte, infrastrutture civili fragili, popolazione intrappolata in aree ad alta densità. In questo quadro, ogni avanzata tattica rischia di amplificare il costo umano e di complicare il dossier ostaggi.
Le famiglie degli ostaggi: tra rabbia, paura e richieste
Il fronte interno mostra crepe e impazienza. Le famiglie degli ostaggi chiedono priorità assoluta alla salvezza dei propri cari e temono che la linea dura limiti lo spazio negoziale. L’opinione pubblica appare divisa tra la necessità di una risposta militare e il timore di irreversibili effetti collaterali sugli ostaggi.
Le implicazioni strategiche e diplomatiche
Militare. Quanto più l’azione si avvicina a quartieri densamente popolati, tanto più cresce il rischio di perdite civili e di un’erosione del consenso internazionale. Il dilemma è il solito: degradare Hamas senza compromettere la sicurezza degli ostaggi e la stabilità a lungo termine.
Diplomatico. Gli alleati di Israele sostengono il diritto alla difesa, ma chiedono proporzionalità e tutela dei civili. Ogni incremento delle vittime alimenta pressioni per cessate il fuoco o per corridoi umanitari più efficaci.
Umanitario. L’intensificarsi dei raid mette a rischio ospedali, reti idriche ed elettriche, rifugi e punti di distribuzione degli aiuti. La tenuta del sistema sanitario è un indicatore critico della profondità della crisi.
Confronto con dichiarazioni precedenti: continuità o salto di tono?
Katz aveva già preannunciato una strategia di pressione continuativa fino alla liberazione degli ostaggi. La novità sta nella sincronia tra parole e intensità operativa: l’assertività del linguaggio coincide con una fase che punta a ridurre il margine di manovra di Hamas, in termini militari e psicologici.
Possibili scenari futuri
Primo scenario: perseverare nell’offensiva con l’aspettativa di logorare le capacità di comando e costringere Hamas a concessioni sul dossier ostaggi. Rischio: costi umani elevati e ulteriore isolamento diplomatico.
Secondo scenario: finestra negoziale se la pressione militare produce fratture interne e incentivi all’accordo. Variabile chiave: verificabilità degli impegni e meccanismi di garanzia.
Terzo scenario: stallo prolungato, in cui nessuna delle parti ottiene un vantaggio decisivo e il conflitto scivola in una logica di usura, con impatti economici, sociali e politici più profondi.
Gli obiettivi
Le frasi di Katz non suonano come un semplice slogan: sono la cornice politica di una strategia che lega successo militare e gestione del dossier ostaggi. La parola “sconfitta” applicata a Hamas implica un orizzonte che va oltre l’abbattimento di strutture e milizie: riguarda la ricomposizione dell’ordine locale, l’equilibrio regionale e il rapporto con gli alleati. La domanda, per tutti, resta la stessa: quale prezzo sarà considerato accettabile prima di poter dire che la missione è davvero “completata”?