Assobirra entra con decisione nel dibattito sulla Legge di Bilancio 2026 e rilancia una proposta che, nei numeri, pesa poco sul bilancio dello Stato ma molto sul futuro di un’intera filiera: ridurre l’accisa sulla birra da 2,99 a 2,97 euro per ettolitro e grado Plato. Una misura da 4,7 milioni di euro nel 2026, “contenuta ma strategica”, secondo l’associazione che rappresenta produttori industriali e artigianali, nonché l’80% della birra consumata in Italia.
Manovra, Assobirra all’attacco: “Tagliare subito le accise o la filiera rallenta”
A sostegno della richiesta, Assobirra snocciola una serie di dati che fotografano un settore non solo vivo, ma essenziale. La filiera della birra genera 10,4 miliardi di euro di valore condiviso, dà lavoro complessivamente a 112 mila persone, e si distingue per un moltiplicatore occupazionale unico: ogni addetto alla produzione crea 31 posti di lavoro lungo la filiera, dalla logistica all’agricoltura, fino alla distribuzione e al canale Horeca.
Negli ultimi dieci anni il comparto ha prodotto 92 miliardi di euro di ricchezza e 24 mila nuovi posti di lavoro. Sul versante fiscale, il contributo è costante e significativo: circa 4 miliardi di euro l’anno a favore della fiscalità generale. Nel solo 2024, tra 1,5 miliardo di Iva e 689 milioni di accise, la birra ha confermato un ruolo strutturale nei conti pubblici.
Un settore che si è fermato: consumi, export e produzione in frenata
Nonostante la storica vitalità, il comparto ha registrato negli ultimi due anni una flessione diffusa. I consumi sono arretrati dell’1,5%, mentre l’export – che rappresenta una voce sempre più importante per le grandi aziende e per i birrifici craft più strutturati – è calato del 7,8%. Una contrazione che, sottolinea Assobirra, non deriva da un cambiamento nelle abitudini dei consumatori, ma dal combinato disposto tra inflazione, aumento dei costi energetici e incremento delle accise, cresciute di 20 milioni di euro nel solo 2024.
L’associazione insiste su un punto: l’accisa è un’imposta regressiva, perché colpisce indistintamente consumi di fascia alta e bassa, pesando soprattutto sui formati più popolari. Su una bottiglia da 66 cl può arrivare a rappresentare il 40% del prezzo al consumo, mentre per una birra media alla spina incide per circa 80 centesimi.
Un impatto che non si scarica solo sul consumatore finale, ma lungo tutta la filiera: dai produttori ai birrifici artigianali, dai distributori ai bar e ristoranti, con una compressione dei margini che rischia di compromettere investimenti, programmazione e capacità di innovazione.
Il precedente: quando il taglio delle accise ha generato crescita
Assobirra ricorda come tra il 2017 e il 2022 le precedenti riduzioni dell’accisa abbiano prodotto risultati tangibili e rapidi. In quel periodo si sono registrati:
+10% nei consumi nazionali,
+11% nella produzione,
+5% nella coltivazione di orzo distico,
l’avvio dei primi progetti strutturati per la produzione di luppolo italiano, oggi ancora coperta per una quota minima dal mercato nazionale, ma considerata strategica per la competitività futura.
Ridurre le accise, argomenta l’associazione, non è dunque un costo, ma un investimento che attiva economie di scala lungo la catena produttiva. “Non significa solo alleggerire un’imposta regressiva, ma dare impulso a occupazione, innovazione e sostenibilità”, sottolinea Federico Sannella, presidente dell’associazione (nella foto).
Una filiera agricola che chiede stabilità
La birra non è solo industria e Horeca: è soprattutto una filiera agricola che negli ultimi anni ha visto crescere gli ettari coltivati a orzo distico e i primi progetti sperimentali di luppoleto nazionale. Il settore chiede ora che questo percorso non venga interrotto proprio nel momento in cui i consumi rallentano e la pressione fiscale sale.
Secondo i dati forniti da Assobirra, la produzione italiana utilizza ogni anno oltre 800 mila tonnellate di orzo e coinvolge migliaia di aziende agricole, soprattutto nel Nord Italia. Le prospettive di crescita futura passano anche da investimenti su sostenibilità, filiere corte, efficienza energetica e packaging innovativi: tutte azioni che richiedono dunque condizioni fiscali stabili e favorevoli.
La misura per i piccoli birrifici non basta
La Legge di Bilancio 2025 ha introdotto una riduzione pluriennale delle accise per i microbirrifici fino a 60 mila ettolitri di produzione annua, molto apprezzata ma giudicata limitata perché coinvolge solo il 3% della produzione nazionale. Il restante 97% del settore resta esposto al pieno impatto dell’accisa.
Per Assobirra, una manovra che voglia sostenere davvero la filiera deve dunque includere un intervento più ampio e uniforme.
Un messaggio politico chiaro: servono condizioni per tornare a crescere
La richiesta è semplice: una piccola riduzione fiscale per riattivare un settore che ha dimostrato di reagire rapidamente a ogni incentivo. Un taglio di due centesimi può sembrare marginale guardando solo ai conti pubblici, ma per l’associazione rappresenta un tassello essenziale per sostenere investimenti, qualità, export e presidio agricolo.
La birra italiana, conclude Assobirra, “ha dimostrato negli anni di essere una filiera solida, trasparente, redistributiva e capace di generare valore. Per continuare a farlo servono condizioni fiscali coerenti con gli obiettivi di crescita”.
In un bilancio pubblico sotto pressione, la proposta da 4,7 milioni prova dunque a inserirsi come misura ad alto rendimento industriale: ridurre per crescere.