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Maga, Big Tech e intelligenza artificiale: la nuova crepa di Trump

- di: Marta Giannoni
 
Maga, Big Tech e intelligenza artificiale: la nuova crepa di Trump

Dentro il movimento ultraconservatore creato da Trump cresce un dissenso inatteso: tecnologia vs populismo.

(Foto: un membro del movimento ultraconservatore MAGA).

La coalizione che fino a pochi mesi fa appariva monolitica, unita intorno al ritorno al potere di Donald Trump, sta invece mostrando una frattura profonda. Il nodo che sta provocando la spaccatura è l’intelligenza artificiale (IA) e il ruolo crescente delle grandi corporation tecnologiche — le cosiddette Big Tech — all’interno del progetto politico trumpiano. Da una parte c’è chi vede nell’IA un volano di crescita e supremazia nazionale; dall’altra chi denuncia un tradimento dei valori popolari e una minaccia per la classe media americana. 

Due anime dentro il movimento

Il mondo che oggi si identifica come MAGA (Make America Great Again) non è più un blocco omogeneo. Una prima componente — chiamiamola “tecno-MAGA” — è incarnata da imprenditori come Elon Musk e da parte della Silicon Valley: promuovono investimenti massicci in data center e nello sviluppo dell’intelligenza artificiale, con la convinzione che ogni regolamentazione rappresenti un freno alla competitività degli Stati Uniti, soprattutto nella sfida con la Cina.

Dall’altra parte si trova la componente più tradizionalista e populista del movimento: ex fedelissimi del Tea Party, “uomini dimenticati” dalla globalizzazione, nostalgici del potere della working class bianca. Per questi, l’alleanza con i miliardari del tech è un tradimento: l’IA significa perdita di posti di lavoro, erosione di valori culturali, e la Silicon Valley rappresenta un’élite globalista che poco ha a che fare con le radici della loro mobilitazione politica. Tra i critici spicca Steve Bannon, già architetto della vittoria di Trump nel 2016, che non ha mai nascosto il proprio disprezzo per Musk e i suoi pari.

Il tentativo di moratoria federale e la reazione degli Stati

Nel corso del 2025 l’Amministrazione Trump ha dato sostegno a un’iniziativa di legge — frammento di un più ampio piano legislativo noto come One Big Beautiful Bill Act — che prevedeva una moratoria di dieci anni su ogni regolamentazione statale dell’intelligenza artificiale, per evitare “un mosaico” di norme diverse nei 50 Stati

Ma la proposta ha incontrato resistenze inattese: lo stesso Senato, a luglio 2025, ha rigettato la norma decidendo con un voto praticamente unanime (99 a 1) di non impedire ai singoli Stati di varare leggi sull’IA.

La tensione però non si è attenuata. Secondo fonti recenti l’amministrazione presidenziale starebbe preparando un ordine esecutivo per affidare al governo federale il potere di contestare le leggi statali sull’IA: un meccanismo che coinvolgerebbe il Dipartimento di Giustizia, la Federal Trade Commission e altre agenzie, con l’obiettivo di imporre un’unica regolamentazione nazionale.

Le ragioni del dissenso interno

Perché tanti militanti MAGA — abituati a sostenere Trump su ogni fronte — trovano oggi difficile accettare la nuova rotta? Le ragioni sono molteplici e radicate.

Primo: per la componente tradizionalista, la alleanza con le Big Tech significa derogare ai principi populisti che hanno fondato il movimento: protezione dei lavoratori, ostilità all’immigrazione, rifiuto delle élite globaliste. L’IA, con automazione e outsourcing, rischia di cancellare posti di lavoro e di favorire le classi più agiate.

Secondo: c’è una preoccupazione culturale. In eventi come la conferenza annuale conservatrice del 2025—chiamata “NatCon” — l’intelligenza artificiale è stata descritta come una “forza anti-umana”, capace di erodere valori tradizionali, minare l’identità, e sostituire l’autorità morale con algoritmi. L’IA non è vista come progresso, ma come un agente di alienazione.

Le conseguenze politiche e strategiche

La spaccatura in atto rischia di avere effetti destabilizzanti per la destra americana. Se il movimento si frammenta sulla questione tecnologica, le campagne elettorali future — già in vista delle elezioni di medio termine del 2026 e delle presidenziali del 2028 — potrebbero perdere coesione. Bannon e altri leader tradizionalisti avvertono: “Se continuiamo a favorire i miliardari del tech, perderemo i forgotten men”.

Inoltre, la sfida all’interno del GOP riflette un conflitto più ampio sulla visione del futuro: sviluppo tecnologico e competizione globale da un lato; tutela del lavoro, delle comunità e della sovranità culturale dall’altro. In un contesto dominato dalla corsa all’IA — e dall’impegno a rivaleggiare con potenze come la Cina — la tensione tra modernizzazione e identità appare insanabile.

Perché è una crepa destinata a crescere

Il conflitto non è episodico, ma strutturale. L’IA non è una semplice questione tecnica o economica: è un tema che tocca appartenenza, valori, lavoro, identità. Nella misura in cui la Silicon Valley e i suoi alleati continueranno a spingere per deregulation, investimenti e centralizzazione federale, il muro di divisione con i nostalgici della working class si allargherà. Il rischio è che il movimento MAGA, che ha dominato la scena politica negli ultimi anni, si dilati in più fazioni inconciliabili. Quanto a Trump, sarà costretto a scegliere tra il suo establishment tecnologico e la base populista che lo aveva portato alla Casa Bianca. E questa scelta non sarà indolore.

Il futuro dell’America conservatrice potrebbe non essere più definito da un unico blocco, ma piuttosto da un braccio di ferro tra chi scommette sull’IA e chi rimpiange la centralità della classe lavoratrice. Con conseguenze che vanno ben oltre la politica, fino al cuore del tessuto economico e culturale del paese.

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