Lavoro domestico: un motore sommerso da 21,9 miliardi di euro

- di: Giulia Caiola
 

Presentato oggi al Senato il VI rapporto dell’Osservatorio Domina, un documento che svela l’enorme impatto economico e sociale del lavoro domestico in Italia. Nonostante i numeri impressionanti che emergono dal settore – un valore economico generato di 21,9 miliardi di euro, pari all’1,1% del Pil – il lavoro domestico resta un comparto marginalizzato, spesso ignorato dalle politiche pubbliche e dall’opinione collettiva.

Lavoro domestico: un motore sommerso da 21,9 miliardi di euro

Le famiglie italiane spendono complessivamente 13 miliardi di euro per garantire assistenza e cura all’interno delle proprie case. Di questa cifra, 7,6 miliardi sono destinati a lavoratori regolari, mentre 5,4 miliardi finiscono per alimentare il segmento del lavoro irregolare. Questo investimento familiare non solo garantisce una risposta immediata ai bisogni di cura, ma comporta anche un risparmio per lo Stato stimato in sei miliardi di euro l’anno: una cifra che sarebbe necessaria se gli anziani oggi accuditi a domicilio venissero trasferiti in strutture pubbliche.

Eppure, il rapporto evidenzia chiaramente le fragilità strutturali di un settore che si muove a metà tra regolarità e irregolarità. Il tasso di lavoro non dichiarato, pari al 47,1%, è oltre quattro volte superiore alla media nazionale, che si ferma al 9,7%. Anche il numero di datori di lavoro regolari è in calo: nel 2023 sono 918mila, con una diminuzione di 60mila rispetto al 2022. Lo stesso vale per i lavoratori regolari, scesi a poco meno di 834mila, con un calo di 68mila unità.

Dietro queste cifre ci sono volti e storie che meritano attenzione. I lavoratori domestici sono perlopiù donne (88,6%), con una significativa componente di lavoratrici straniere (69%), molte delle quali provenienti dall’Est Europa (35,7%). Tuttavia, il secondo gruppo più rappresentativo è costituito da italiane, che rappresentano il 31,1% del totale. Tra i lavoratori, i badanti che si occupano di anziani non autosufficienti costituiscono il segmento più rilevante, un chiaro riflesso dell’invecchiamento della popolazione italiana e delle necessità crescenti di assistenza domiciliare.

Il lavoro domestico, come sottolineato dal rapporto, non si limita a rispondere a bisogni individuali o familiari, ma rappresenta un pilastro del sistema economico. Ogni euro speso dalle famiglie si traduce in un volano economico che alimenta la produzione nazionale, generando complessivamente 253,8 milioni di ore di lavoro e 15,8 miliardi di valore aggiunto diretto. Inoltre, se si amplia lo sguardo a tutto il settore della cura – includendo farmaci, servizi sanitari e assistenza sociale – l’impatto economico complessivo sale a 84,4 miliardi di euro, pari al 4,4% del Pil.

A fronte di questi numeri, però, il settore rimane fragile e poco tutelato. Il rapporto Domina evidenzia come la riforma dell’assistenza, attesa da anni, avrebbe potuto rappresentare una svolta per garantire maggiore regolarità, formazione e tutele. Tra gli obiettivi della riforma, ora in fase di implementazione parziale, vi era l’introduzione di incentivi e sussidi graduati in base al livello di bisogno, così da promuovere l’emersione dal lavoro nero. Tuttavia, a oggi, l’attuazione di queste misure resta limitata, e le famiglie continuano a portare da sole il peso di un sistema di welfare incompleto.

"Lavoro domestico e cura degli anziani non sono solo una questione economica, ma di riconoscimento sociale e dignità per chi lavora e per le famiglie che investono risorse personali",
ha dichiarato Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina (nella foto). Un concetto che richiama l’urgenza di rivedere le politiche pubbliche per offrire un supporto concreto a un settore che è insieme un motore economico e un collante sociale.

L’analisi di Domina invita dunque a una riflessione più ampia sul ruolo del lavoro domestico nella società italiana. Non si tratta solo di valorizzare un segmento dell’economia, ma di garantire dignità e tutele a milioni di persone – lavoratori e famiglie – che vivono ai margini di un sistema ancora carente. Per trasformare questo motore sommerso in una risorsa strategica per il Paese, serve una visione di lungo termine, capace di coniugare equità, regolarità e sostenibilità.

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