De Felice (Intesa Sanpaolo): "Industria italiana in crisi ciclica, ma modello resta solido"

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 

Ventidue mesi consecutivi di calo della produzione industriale stanno sollevando timori tra gli operatori economici e preoccupano l’opinione pubblica. Ma è davvero una crisi di sistema? Secondo Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo, intervistato da L’Economia del Corriere della Sera, la risposta è no. L’Italia non sta vivendo una crisi strutturale generalizzata, bensì una fase ciclica intrecciata a difficoltà specifiche di alcuni settori, come l’automotive e gli elettrodomestici.

De Felice (Intesa Sanpaolo): "Industria italiana in crisi ciclica, ma modello resta solido"

"Non è in discussione il modello industriale italiano – afferma De Felice –. Alcuni comparti stanno attraversando una fase di contrazione fisiologica, ma non bisogna dimenticare che negli ultimi anni la nostra industria ha registrato performance eccellenti, e il nostro avanzo commerciale, al netto del petrolio, rimane un punto di forza importante. Le imprese italiane sono oggi più solide patrimonialmente rispetto al passato e presentano livelli di redditività in crescita, nonostante il contesto macroeconomico complesso".

Moda e meccanica: due pilastri tra sfide e opportunità

Due dei settori più rappresentativi del made in Italy, la moda e la meccanica, stanno affrontando sfide diverse. Secondo De Felice, la moda, pur trovandosi in una fase di rallentamento, è destinata a recuperare: "Il settore non resterà in crisi per sempre. Le aziende devono ricalibrare il rapporto tra offerta e prezzi, ma secondo le previsioni di Altagamma e Bain la ripresa è già all'orizzonte. La domanda internazionale per i prodotti di lusso italiani rimane forte, e ci sono segnali positivi da mercati chiave come gli Stati Uniti e la Cina".

Per quanto riguarda la meccanica, l’economista di Intesa Sanpaolo ritiene che il settore resti uno dei pilastri della manifattura italiana: "La meccanica è il motore della nostra industria e non desta particolari preoccupazioni. Tuttavia, i ritardi nelle negoziazioni con la Commissione europea hanno rallentato l’attuazione del piano Industria 5.0, con ripercussioni sugli investimenti e sull’innovazione tecnologica".

Automotive: una transizione difficile e rischi di dipendenza

Il settore automobilistico italiano è uno dei più colpiti, complice la transizione accelerata verso l’elettrico. De Felice mette in guardia sugli effetti delle scelte europee: "Abbiamo sottovalutato l’impatto delle decisioni della Commissione UE. Non si può pensare di realizzare una transizione così rapida senza garantire le infrastrutture necessarie e un approvvigionamento sicuro di materie prime critiche. Attualmente, l’industria europea dipende fortemente dalla Cina per le batterie dei veicoli elettrici, rendendoci vulnerabili su prezzi e forniture".

A livello nazionale, la rete di distribuzione dell’energia elettrica si presenta ancora insufficiente per sostenere il fabbisogno dell’industria automotive, aggravando le incertezze per le imprese.

Elettrodomestici: una crisi cronica
Anche il comparto degli elettrodomestici continua a subire pressioni competitive da parte dei produttori asiatici. "Questa non è una crisi recente – precisa De Felice –. Da anni, i prodotti cinesi hanno prezzi di gran lunga inferiori a quelli italiani ed europei, e le aziende del settore faticano a reggere la concorrenza. Servono interventi mirati per favorire l’innovazione e la sostenibilità, altrimenti il declino rischia di diventare irreversibile".

Le differenze rispetto alla crisi del 2008

Secondo De Felice, nonostante il calo della produzione industriale, l’attuale situazione non è paragonabile alla crisi del 2008. "Oggi esportiamo quasi il 50% della nostra produzione, mentre nel 2008 eravamo intorno al 30%. Inoltre, il mix produttivo si è evoluto, con un maggiore orientamento verso prodotti di alta qualità e alto valore aggiunto".

Un altro aspetto positivo è la solidità finanziaria delle imprese: "Non c’è una crisi di liquidità. Il ministro Giancarlo Giorgetti ha confermato che la liquidità delle imprese depositata presso le banche ha raggiunto il 25,2% del PIL nel secondo semestre 2024, quattro punti percentuali in più rispetto al 2019".

Investimenti in stand-by e la questione della politica industriale

Un tema cruciale rimane la scarsa propensione agli investimenti. "Gli imprenditori aspettano un calo dei tassi di interesse e maggiore chiarezza sulle politiche pubbliche – spiega De Felice –. I ritardi del PNRR e le incertezze normative non stanno aiutando a sbloccare gli investimenti".

Sulla tanto discussa politica industriale, De Felice esprime una posizione chiara: "C’è bisogno di una strategia mirata. Sostenere indistintamente tutti i settori con incentivi a pioggia non è la soluzione. Dobbiamo decidere su quali comparti puntare per rafforzare la competitività del Paese, come fanno altri grandi attori globali".

Globalizzazione e nuove geografie della produzione

Un altro aspetto da tenere in considerazione è il cambiamento della geografia della manifattura. "Stiamo assistendo a una progressiva delocalizzazione verso nuovi poli produttivi – osserva De Felice –. Il Marocco è diventato il primo produttore di auto in Africa, la Tunisia sta accogliendo numerose aziende del mobile italiane, e la Romania è il secondo Paese per investimenti diretti italiani dopo gli Stati Uniti".

Questo fenomeno rappresenta una sfida ma anche un'opportunità per le imprese italiane, che dovranno adattarsi e sfruttare le nuove dinamiche della globalizzazione.

Conclusioni: un futuro ancora promettente

Nonostante le difficoltà attuali, De Felice si dice fiducioso sulle prospettive dell’industria italiana: "Abbiamo attraversato crisi ben più gravi, come quelle degli anni ’70 e quella finanziaria del 2008. L’Italia ha dimostrato di saper reagire grazie alla flessibilità delle sue imprese e alla diversificazione dei mercati. Se riusciremo a gestire con saggezza questa fase, possiamo uscirne rafforzati".

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