Scuola Normale di Pisa: eccellenza accademica riconosciuta in tutto il mondo

- di: Redazione
 

Tra tradizione e innovazione la Scuola Normale di Pisa si conferma punto di riferimento nel panorama universitario sia a livello nazionale che a livello internazionale. Aperta a un ristretto e selezionato numero di studenti, preparati e molto motivati, consente loro un accesso immediato all’alta ricerca scientifica e risponde a pieno alle nuove esigenze formative. Parliamo di tutto questo con il Professor Luigi Ambrosio Direttore della Scuola.

Scuola Normale di Pisa: eccellenza accademica riconosciuta in tutto il mondo

Professor Ambrosio, qual è il ruolo che la Scuola Normale Superiore ha nel sistema universitario italiano? E sul piano internazionale? Lei ha affermato che “la Normale può fungere da riferimento e stimolo in tema di formazione universitaria, in sinergia con le altre Scuole Superiori a Ordinamento Speciale”, ma tale contributo a livello ministeriale “non è sempre ben percepito e riconosciuto”.

L’idea delle Scuole Superiori di alta formazione è di avere nel sistema universitario italiano delle piccole “isole” in cui alcuni degli studenti più meritevoli del Paese possano accedere per intraprendere un percorso universitario di altissimo livello, gratuitamente. Come riporta il nostro statuto, la Scuola Normale garantisce “un insegnamento volto allo sviluppo delle potenzialità e capacità individuali”. Siamo nati dunque per dare a studenti di grandi potenzialità tutti gli strumenti per affermarsi in qualsiasi ambito, indipendentemente dalla loro estrazione sociale, provenienza geografica, confessione religiosa etc. E per mettere in condizione i docenti di esprimere pienamente le loro capacità di insegnanti e ricercatori. La Normale ospita pochi allievi e allieve del corso ordinario ogni anno, selezionati per concorso, in genere dai 70 agli 80, tutti che hanno dimostrato grande preparazione in sede di esami scritti e orali. Questo fatto, di avere pochissimi studenti ma altamente motivati e preparati, consente di introdurli precocemente all’alta ricerca scientifica, di svilupparne, appunto, pienamente le capacità e potenzialità perché è sicuramente più facile farlo con piccoli gruppi accuratamente selezionati. E ci consente di avere, come testimoniano le classifiche mondiali e i nostri numerosi accordi di scambio, anche un sicuro riconoscimento internazionale. Questi bisogni formativi, su scala nazionale, non possono essere esauriti solo dalla Scuola Normale, di qui la necessità di dialogo con le altre Scuole a ordinamento speciale e i collegi di merito. Fare rete è fondamentale per accedere a determinate opportunità, e segnali positivi che la strada giusta sia questa vengono da recenti importanti finanziamenti ministeriali a progetti congiunti che valorizzano, appunto, la nostra missione di consentire agli studenti più meritevoli, anche di estrazione sociale svantaggiata, opportunità di crescita.

Più in generale, è forte il dibattito su un modello di “università azienda”, in cui la ricerca segue la logica del profitto e la divisione del lavoro è orientata a una produzione misurata in termini quantitativi. A tale proposito ha dichiarato che, “come tutte le istituzioni, siamo chiamati a rispondere dell’investimento pubblico fatto su di noi”, ma che è “importante limitare la deriva quantitativa degli ultimi anni. È una riflessione che deve coinvolgere l’intero sistema universitario”. Qual è lo stato dell’arte?

Ritengo che non ci debbano essere derive in un senso o nell’altro. È giusto che anche la ricerca di base scientifica e umanistica venga in parte valutata, ma sarebbe sbagliato e grave per il nostro Paese ridurre tutto, per esempio i progetti di ricerca, a meri conteggi in termini di mera utilità economica. Come Scuola Normale abbiamo adottato un modello che, senza snaturare la nostra propensione alla ricerca di base, cioè quella che non ha immediata ricadute per esempio tecnologiche, esplora anche questa possibilità. Ci sono tante start-up che potrei menzionare, penso per esempio ai settori della diagnostica medica, o dei computer quantistici, nate su argomenti di ricerca teorica in seno alla Scuola che più si prestano a tradursi in tecnologia. Ma continuiamo a perseguire con convinzione la ricerca di base. Bisogna sempre ricordare, poi, che molta della tecnologia, delle apparecchiature, degli strumenti “fabbricati” industrialmente, hanno a monte tantissima produzione scientifica che nasce in istituzioni come la nostra, gran parte della quale non nacque per avere ricadute immediate sui mercati. Inoltre, l’Italia è un paese che ha una fortissima tradizione per esempio nella tutela e conservazione del patrimonio artistico, ha un livello scolastico medio alto, e la Scuola Normale ha dato e sta dando contributi mirati con iniziative di Terza missione. Come non considerare, poi, le tantissime personalità che si formano nelle nostre aule e che poi contribuiscono con le loro carriere a salvaguardare e promuovere la nostra cultura, popolando le istituzioni del Paese. Tutto questo è difficilmente quantificabile in termini di ricaduta economica, ma infinitamente necessario.

Se da un lato la Scuola Normale svolge come da tradizione il compito di fertilizzazione del sistema universitario, dall’altro il Paese presenta criticità sulle risorse destinate alla ricerca di base. Il gruppo di lavoro da lei coordinato aveva prospettato per l’Italia un piano quinquennale di risorse aggiuntive per Ricerca e Sviluppo nel settore pubblico, necessarie per stabilizzare l’investimento almeno a una quota dello 0,70% del Prodotto interno lordo. Come sta andando nelle realtà dei fatti? Quale argine c’è oggi sul fenomeno della fuga all’estero dei migliori talenti italiani?

Qualunque metrica uno voglia adottare (ad esempio il costo pro-capite per studente) il sistema universitario italiano risulta sottofinanziato rispetto ad altre nazioni avanzate. Negli ultimi anni si è vista una certa inversione di tendenza, con piani straordinari e norme più flessibili di reclutamento, combinati con finanziamenti infrastrutturali e finanziamenti per posizioni a tempo determinato basati sul PNRR. Nel 2022 ho coordinato un tavolo tecnico proprio mirato alla prospettiva di far sì che tutto questo non fosse un dato transiente, dopo la fine nel 2026 del PNRR, in particolare per il personale di ricerca formato grazie a questi finanziamenti aggiuntivi. In questi giorni tutto il sistema universitario vive giorni di grande preoccupazione a causa di una riduzione significativa del fondo di finanziamento ordinario. Il mio auspicio è che, nonostante le note difficoltà globali di bilancio dovute al rispetto delle regole europee per il rientro dal deficit eccessivo, questo allarme sul futuro delle nostre generazioni venga colto dall’opinione pubblica e dal Governo.

Il fattore dei finanziamenti non è però l’unico a determinare un bilancio molto negativo tra talenti in uscita e talenti in entrata. Chi decide di intraprendere una carriera, spesso lunga, nel mondo della ricerca ha bisogno di certezze anche sulle regole del gioco. Anche in questo ambito, viviamo da troppo tempo una situazione di grande incertezza, in una transizione tra vecchie e nuove regole. Nonostante tutto questo, le statistiche sui grant internazionali più competitivi, come gli esiti del più recente Starting Grant dell’European Research Council, mostrano la competitività dei nostri ricercatori e la qualità del nostro sistema formativo.

Lei è un matematico di fama mondiale. Secondo l’Istat, nel 2022 il 23,8% dei giovani tra 24 e 35 anni aveva una laurea nelle aree disciplinari STEM: ma la percentuale sale al 34,5% per gli uomini, mentre precipita al 16,6% per le donne. Cosa fare per superare questo gender gap?

Non ci sono ricette magiche, è un problema anche a livello internazionale nei paesi avanzati simili al nostro, e direi che sarebbe non realistico pensare di colmare questo gap nell’immediato. Bisogna senz’altro favorire un processo graduale di inclusione. Alla Normale lo stiamo facendo con tour nelle scuole delle nostre allieve, invitando le scolaresche e in particolare le ragazze a svolgere stage e tirocini da noi, portando esempi positivi di scienziate illustri che si sono formate alla Normale e non solo: ne cito una che ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti anche quest’anno, Maria Colombo, matematica al Politecnico di Losanna. Cerchiamo di seminare la consapevolezza che certe strade non sono precluse in partenza a nessuno. È un lavoro importante di cui non necessariamente raccoglieremo i frutti nell’immediato, visto che ci rivolgiamo anche a studentesse molto giovani. A questo bisognerebbe naturalmente aggiungere più decisi interventi normativi volti al riconoscimento del lavoro parentale, che continua a ricadere in modo prevalente sulle donne, per incoraggiare non solo l’inizio degli studi in ambito STEM, ma anche le carriere. Si tratta secondo me di favorire con tutti i modi possibili un avvicinamento ma sarebbe sbagliato operare forzature. Sono convinto che tra qualche anno questo sbilanciamento sarà meno evidente, come è già avvenuto in altri campi (Medicina, Ingegneria) e sarà alla fine interamente colmato.

È al penultimo anno accademico come suo Direttore della Normale, già comunque ben oltre i due terzi del mandato. Indubbiamente, guardando ai dati, la Scuola è cresciuta e sta crescendo. Qual è il bilancio che può fare? Quali le luci, ma quali anche le difficoltà non superate?

La Scuola Normale è pienamente inserita nel sistema universitario del paese come istituzione di eccellenza accademica. È un partner solido in tantissime collaborazioni scientifiche. È un interlocutore proattivo su numerose tematiche riguardanti, per esempio, la Terza Missione dell’Università. Tutto questo si ottiene con un lavoro molto intenso non solo del sottoscritto ma di tutta la squadra di governo e da tutto il personale che mi ha affiancato nel corso di questi anni. Anni difficili di per sé, basti pensare alla pandemia che esplose subito l’anno successivo al mio insediamento, oppure ai conflitti internazionali e alle prese di posizione che anche il mondo universitario ha dovuto affrontare. Il mio intento è sempre stato quello di condividere i passi che via via dovevamo intraprendere e di affrontarne insieme le conseguenze, assecondando la naturale progettualità del corpo docente. Altri dovranno valutare con più precisione gli esiti finali, io posso solo dire di essermi impegnato al massimo.

Collegandoci alla domanda precedente, quali le scelte strategiche chiave per il futuro della Normale?

Penso che a questa domanda abbia più ragione di rispondere il futuro Direttore, che eleggeremo tra poco, a novembre. Dal canto mio, pur considerando la rapidità del cambiamento degli scenari nei quali siamo immersi, ritengo che la strada da intraprendere non sia così diversa, basata sulla combinazione tra innovazione e tradizione che da sempre ci caratterizza. Non c’è da inventare nulla sugli elementi di fondo, ma bisogna proseguire nella direzione di sempre: valorizzazione del talento, forte propensione internazionale, disponibilità ad esplorare e sperimentare, attenzione al territorio. La ricetta è questa, certo di difficile attuazione se si perseguono gli alti standard cui la Scuola Normale deve ambire, ma credo che abbiamo tutte le carte in regola perché funzioni anche in futuro.

Cosa significa in concreto, per un’università di eccellenza come la Scuola Normale Superiore di Pisa, la sostenibilità economica e ambientale?

È un tema su cui riflettiamo sempre più spesso, e su cui agiamo concretamente cercando di investire sull’efficientamento delle nostre strutture, monitorando i processi di riduzione dell’uso della plastica, per esempio, o agevolando chi si reca nelle varie sedi della Scuola utilizzando mezzi pubblici oppure la bicicletta. Abbiamo intrapreso uno studio dei consumi degli edifici, con diagnosi energetiche per programmare nuove opere di riqualificazione. L’obiettivo nei prossimi anni sarà quello di raggiungere il minor impatto possibile sull’ambiente del nostro patrimonio immobiliare, compatibilmente con le caratteristiche storiche di alcuni dei nostri immobili e dei tempi di ritorno degli investimenti. Su questi temi le nuove generazioni hanno molta propensione e sensibilità, quindi le misure che adottiamo e adotteremo per rendere la Normale sempre più efficiente da questo punto di vista troveranno largo consenso e collaborazione.  

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