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Raid a Rafah, l’Idf colpisce nei tunnel. Netanyahu lega la riapertura del valico agli ostaggi

- di: Alberto Venturi
 
Raid a Rafah, l’Idf colpisce nei tunnel. Netanyahu lega la riapertura del valico agli ostaggi
A Rafah, nel sud della Striscia, la guerra continua a scorrere sottoterra. L’Idf ha annunciato di aver ucciso cinque miliziani di Hamas, “emersi da un tunnel nella zona orientale della Linea Gialla”, un’area ormai sotto controllo israeliano. È uno dei tanti segmenti della rete sotterranea che da mesi sfida l’intelligence militare: secondo le stime israeliane, circa 150 combattenti restano asserragliati nei cunicoli, trasformati in trincee invisibili da cui riprendere l’iniziativa, anche solo per brevi sortite.

Raid a Rafah, l’Idf colpisce nei tunnel. Netanyahu lega la riapertura del valico agli ostaggi

Il raid conferma la strategia che Israele ha adottato nella fase finale del conflitto: operazioni rapide, chirurgiche, che cercano di logorare ciò che resta della struttura militare di Hamas senza ricadere nelle grandi manovre degli inizi. Non una svolta, ma un lento scavo nel cuore di Rafah, dove i tunnel rappresentano ancora l’unico spazio in cui l’organizzazione mantiene margini di movimento. Per Tel Aviv, neutralizzarli fino all’ultimo è diventato sinonimo di vittoria, anche se il controllo della superficie non basta più a decretarla.

Netanyahu e la diplomazia condizionata

Sul fronte politico, Benjamin Netanyahu ha confermato la linea dura: “Il valico di Rafah riaprirà solo dopo la consegna dei tre ostaggi deceduti rimasti a Gaza”. Una condizione che lega qualunque normalizzazione — anche minima — al nodo irrisolto degli ostaggi, trasformato ormai in leva negoziale e in collante interno per un governo che vive di equilibrio precari.

Il premier, sotto pressione internazionale per garantire un accesso stabile agli aiuti e sotto pressione interna per le critiche dei familiari degli ostaggi, sceglie ancora una volta la via del vincolo. Nessuna apertura, nessun gesto unilaterale: prima gli ostaggi, poi il resto.

Rafah come simbolo della fine che non arriva

Il valico resta quindi bloccato, non solo fisicamente. È fermo il passaggio degli aiuti, resta ferma la diplomazia regionale e soprattutto resta ferma l’idea che la guerra sia vicina a una conclusione. Rafah è diventata il simbolo di questo stallo: un punto di pressione per l’Egitto, un dossier delicatissimo per gli Stati Uniti, un’emergenza continua per la popolazione civile. Finché la questione degli ostaggi resterà sospesa, anche il varco meridionale continuerà a essere più un nodo strategico che un confine.

Un conflitto che scorre ancora sottotraccia

Il raid di oggi, apparentemente uno dei tanti, rivela invece la natura persistente e sotterranea di questa guerra. Nei cunicoli di Rafah si gioca la sopravvivenza dell’apparato militare di Hamas. Sulla superficie, tra promesse di riaperture rinviate e condizioni poste da Netanyahu, si gioca invece la sopravvivenza politica del governo israeliano.
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